Dante Alighieri

Il più grande poeta italiano nacque a Firenze nel 1265 e, ancora giovanissimo, si innamorò di Beatrice (Bice di Folco Portinari) che fu l’ispiratrice di tutta la sua opera poetica. Allievo di Brunetto Latini e amico dei poeti stilnovisti Cino da Pistoia, Lapo Gianni e Guido Cavalcanti si dedicò con interesse alla politica ricoprendo importanti cariche pubbliche: fu mandato, infatti, come ambasciatore presso Bonifacio VIII durante la guerra tra guelfi e ghibellini contro i quali lui stesso, nato da famiglia guelfa, combatté nel 1289 a Campaldino.
Nel 1302, accusato di ostilità verso il papa, fu mandato in esilio ed in seguito, non essendosi presentato per giustificarsi, fu condannato al rogo in contumacia. Dopo diversi tentativi di rientrare in Firenze, errò per diverse città italiane dove trovò ospitalità presso corti importanti come quella degli Scaligeri a Verona e dei Malaspina in Lunigiana. Nel 1313, crollate definitivamente le ultime speranze di rivedere la sua città natale, trovò asilo a Ravenna presso Guido Novello da Polenta e qui morì nel 1321. Nella stessa città sono tuttora conservate le sue spoglie.
Durante il suo esilio compose la Divina Commedia, iniziata forse intorno al 1307, poema in volgare e in terzine di endecasillabi, chiamata dall’autore “Commedia” e solo in seguito, verso il 1555, fu aggiunto l’appellativo divina da L. Dolce. Nell’opera, divisa in tre cantiche (Inferno, Purgatorio e Paradiso) ciascuna di trentatré canti, il poeta descrive un suo viaggio immaginario nei tre regni dell’oltretomba popolati da una folta serie di personaggi, con la guida prima di Virgilio, poi di Beatrice ed infine di S. Bernardo. Il significato è allegorico: il viaggio è quello dell’uomo attraverso la redenzione dal peccato fino alla felicità eterna, dopo la morte.
Oltre alla Divina Commedia compose opere minori, tra queste: “Vita nuova” (1292) opera in prosa del suo amore per Beatrice poi “Convivio” (1304) in volgare, “De vulgari eloquentia” (1304) in latino e “Monarchia” (1312), sempre in latino, sulla necessità di separare l’autorità spirituale da quella temporale.