Nel
1598, a seguito della Convenzione faentina, stipulata il 12 gennaio,
che portò alla devoluzione di Ferrara allo Stato Pontificio
con la conseguente partenza degli Estensi per Modena, assurta a nuova
capitale del Ducato oramai significativamente ridimensionato nei suoi
territori per la perdita di Comacchio, delle relative Valli e di altre
località in Romagna, l’intero e cospicuo patrimonio librario
estense, congiunto all’archivio, seguì, condividendone
il destino, nella loro sede definitiva, quei signori, la cui dinastia
per più di tre secoli aveva segnato, nel bene e nel male, la
storia della città di Ferrara. Tuttavia già un secolo
prima del “tramonto” ferrarese della Casa d’Este
la preziosa biblioteca di corte poteva vantare un numero consistente
di codici e di libri a stampa il cui incremento può dirsi sostanziale
a partire dall’ultimo decennio del XV secolo. Ne è testimonianza
l’inventario redatto nel 1495 da Girolamo Giglioli, assistito
nella sua opera di bibliotecario da Andrea da le Vieze e da Bartolomeo
Nigrisoli, che mostra come la libreria di Ercole I annoverasse nel
suo posseduto ben 512 pezzi fra libri manoscritti e a stampa. Una
biblioteca ricchissima di fronte alla quale non si può che
rimanere ammaliati per l’eterogeneità delle opere che
la costituirono e per la molteplicità delle tematiche e delle
dottrine accolte negli orientamenti culturali della corte: letteratura,
filosofia, religione, agiografia, alchimia, e tante altre differenti
discipline presenti. Certamente nella biblioteca di Ercole confluirono
anche esemplari posseduti dai signori che lo precedettero nel governo
della città come nel caso di un superstite codice estense,
ora conservato presso l’Ariostea, proveniente dalla biblioteca
di Borso che ne fu il committente: La Spagna poema cavalleresco in
ottave che narra le imprese di Carlo Magno.
Purtroppo i codici appartenuti, in virtù di commissioni o di
eredità, ad esponenti del casato estense identificati con esattezza
e attualmente custoditi presso la Biblioteca Comunale Ariostea rappresentano
una vera e propria rarità. Ciò nonostante la varietà
tipologica che contraddistingue i codici estensi rimasti o ritornati
a Ferrara, dopo varie vicende o percorsi più o meno accidentati,
li connota quali fulgidi testimoni di un illustre passato che trova
la sua piena concretazione e giustificazione nel clima culturale e
intellettuale dell’enturage cortese della Ferrara del Quattrocento
e del Cinquecento. Uno scenario, quello della Corte estense fra Umanesimo
e Rinascimento, caratterizzato da una viva sensibilità intellettuale
ed artistica, che unicamente in un crogiuolo di così raffinata
cultura poteva trovare la sua realizzazione.
E’ in questo articolato contesto che si colloca uno dei manoscritti
estensi che forse solo la fatalità ha sottratto alla ineluttabile
sorte toccata alla libreria Ducale nella sua quasi totalità.
Si tratta della Vita Beati Ioannis Tosignani Episcopi Ferrariensis
in un codice pergamenaceo di particolare eleganza scritto da un anonimo
membro della Congregazione dei Gesuati, alla quale anche il vescovo
Giovanni Tavelli appartenne, tra il 1501 e il 1505. L’accuratezza
riservata alla confezione del manoscritto è evidente non solo
dall’esecuzione delle miniature di comprovata raffinatezza,
che sono state attribuite al Maestro del Plinio di Pico, ma anche
da altri elementi quali: la qualità della pergamena, la scrittura,
la delicata rubricatura dei titoli dal color ruggine al rosa e al
rosso. Il codice che è un esemplare di dedica ad Ercole I d’Este,
del quale reca lo stemma con l’iscrizione DIVI. HER. nel bas
de page a c. 1r, potrebbe essere stato donato dal duca medesimo alla
comunità conventuale dei padri Gesuati di Ferrara data la sua
ben conosciuta ed esibita fede religiosa sagacemente promossa, con
fervore, mediante la fondazione di opere religiose e la protezione
di istituti monastici e conventuali in quanto espressioni della sua
profonda pietas. Tra gli impegni che esprimono l’emozionalità
di carattere religioso di Ercole, si ricorda l’intervento a
favore della canonizzazione del vescovo Giovanni Tavelli che pareva
particolarmente sostenibile in virtù degli stretti legami tra
il duca e il pontefice Alessandro VI. Sinceri la devozione e l’interessamento
di Ercole che proprio dal Tavelli, il 26 di gennaio dell’anno
1432, insediatosi da poco nella diocesi di Ferrara, ricevette il sacramento
del battesimo.
La figura di Ercole I è inoltre celebrata in una vignetta miniata
con cui si apre il manoscritto, e più precisamente nell’incipit
della dedicatoria a lui rivolta dall’anonimo autore che ne esalta
le virtù. Il duca, al centro della scena, riceve la Vita da
un membro della Congregazione dei Gesuati seguito ad un passo da un
confratello; assiste all’avvenimento un gruppo di persone, disposto
alla sua sinistra, fra i quali è riconoscibile il figlio primogenito
Alfonso I abbigliato di nero.
La scelta di proporre, come editio princeps telematica, il codice
della Vita del beato Tavelli, che contiene altresì i miracoli
dello stesso, è stata dettata, in un primo momento, più
da esigenze di tipo tecnico, dato che l’esemplare si prestava
ad essere riprodotto agevolmente, che da un’immediata necessità
di analisi trattandosi di un pezzo d’indiscutibile notorietà.
L’immissione in rete di questo prezioso esemplare manoscritto
vuole rappresentare solo il primo atto di un tentativo di ricostruzione
e di ricomposizione di un’opera in itinere: la “percezione”
di ciò che resta di una biblioteca di corte, del suo illustre
passato, oramai patrimonio della memoria, e dei suoi “membra
disiecta”.
A
distanza di un anno dalla presentazione pubblica del suddetto manoscritto,
avvenuta il 5 dicembre 2003, si replica con l’inserimento in rete
di un ulteriore codice che per vicende connesse alla sua origine e alla
sua storia richiede di essere esaminato da una particolare prospettiva
che non è esclusivamente affine all’ambito estense. Sebbene
appartenuto ad un esponente del casato degli Este, Isabella (1474-1539)
figlia di Ercole I e di Eleonora d’Aragona, non è propriamente
un pezzo proveniente dalla biblioteca della Corte estense. Difatti il
manoscritto a cui si fa riferimento, l’Elysium Atestinum di Giulio
Cesare Scaligero o Bordoni (Classe II, 154), è un esemplare di
dedica ad Isabella d'Este, databile agli anni 1512-1520, all’epoca
già marchesa di Mantova per via del matrimonio con Francesco
Gonzaga avvenuto nel 1490. Vari elementi intrinseci ed estrinseci al
codice concorrono di fatto a contestualizzarne il momento storico e
a delinearne meglio i contorni. Una “reliquia” visibile
è la presenza nel bas de page dello stemma degli Este e dei Gonzaga
a suggellare l'unione nuziale. Entrando più specificatamente
nel merito dei contenuti e nelle trame letterarie del poemetto è
possibile rilevare alcuni dati di carattere storico. In primis il riferimento
alla battaglia di Ravenna dell’11 aprile 1512 (verso 322) in cui
l’artiglieria di Alfonso I si distinse combattendo vittoriosamente
a fianco degli alleati francesi contro gli spagnoli difensori del pontefice
Giulio II; l’allusione all’Isola del Belvedere sul Po fatta
realizzare da Alfonso I negli anni fra il 1514 e il 1516; l’implicito
riferimento a Francesco Gonzaga (vv 311-312) e ai venti di guerra che
coinvolgono il territorio di Mantova (vv 301-303) insidiata dai nemici
(Francia); l’espressa menzione del cardinale Ippolito d’Este
(v 286), fratello di Isabella, morto il 2 settembre 1520 ma all’epoca
del poemetto ancora in vita. In conclusione per una datazione del codice
gli estremi cronologici, a più ampio spettro, sono da ritenersi
il 1512 quale terminus post quem, e il 1520 come terminus ante quem.
L’autore, che dedica il poemetto ad Isabella, la cui immagine
è “divinamente” celebrata, elogia non di meno il
fratello Alfonso I divenuto duca di Ferrara nel 1505, alla morte del
padre Ercole I. Vi è, da parte del Bordoni, un intento indubitabilmente
encomiastico, certamente in armonia con lo spirito cortigianesco aleggiante
nelle corti del Rinascimento, nei confronti della domus Atestina, calibrato
magistralmente con altrettanta magnificazione del casato dei Gonzaga
di cui l’Estense Isabella era divenuta domina indiscussa.
L’esemplare di dedica, la cui presenza è documentata nell’inventario
dei libri di Isabella conservato presso l’Archivio Gonzaga di
Mantova, fece parte della libreria della marchesa nel periodo di tempo
in cui si trovava a risiedere a Mantova alla Corte dei Gonzaga, ragion
per cui non si poteva prescindere da una disamina che fosse più
strettamente in relazione a quella biblioteca. Ci sono noti gli eventi
che portarono alla dispersione della libreria di Isabella la cui sorte
è strettamente connessa a quella dei codici dei Gonzaga. L’unitarietà
di essi, difatti, andò smembrata già nel primo Seicento
e poi nel corso del Settecento. Di converso sarebbe stato arbitrario
anche solo estrometterlo dal contesto estense. Non si deve dimenticare
che Isabella, donna di raffinata ed elevata cultura, aveva avuto come
suo precettore Marco Equicola, ed era cresciuta in una Corte, quale
era quella di Ferrara, che si connotava per l’intensa vivacità
culturale. Fu il duca Ercole I l’artefice del rinnovamento del
teatro italiano che proprio a Ferrara trovò immediata realizzazione
con la rappresentazione sia di opere di autori classici volgarizzate,
che di autori contemporanei. E come si è già avuto modo
di apprezzare la preziosa libreria di Ercole I, è necessario
evidenziare come il duca accolse, altresì favorevolmente, il
cambiamento originato dall’invenzione della stampa, comprendendo
appieno i vantaggi che sarebbero derivati da quell’innovativo
strumento di comunicazione del sapere che incarnava anche un potente
mezzo di promozione d’immagine in grado di incidere a livello
propagandistico sulla società dell’epoca. Da parte sua,
la madre Eleonora, figlia del re di Napoli Ferdinando I d’Aragona,
si era formata in un clima culturale cosmopolita e plurilinguistico
quale era la corte napoletana, crogiuolo di raffinata cultura in cui
era ancora molto intenso l’influsso catalano e castigliano. La
sua educazione era avvenuta secondo i precetti della tradizione e della
cultura spagnola, e quando giunse a Ferrara nel 1473 li introdusse a
Corte.
Ma Isabella, che non si distinse unicamente per la sua ricchezza di
sapere, si rivelò molto abile anche nel governare; la sua acuta
intelligenza, l’affascinante personalità e la sua inclinazione
all’esercizio del potere e del comando, di cui si mostrò
consapevole e degna erede delle due illustri dinastie da cui discendeva,
le permisero di conquistare consensi a Mantova, sua nuova città,
e ovunque ella si recasse.
Tornando al codice, è per tutta questa serie di argomentazioni
che non era pensabile privare la città della conoscenza di uno
dei suoi gioielli che è da ritenersi, all’unisono, una
sorta di trait d’union tra le due corti: degli Este a Ferrara
e dei Gonzaga a Mantova.
Proponimento
per gli anni a venire è l’inserimento integrale in internet
degli altri codici superstiti appartenuti agli Este, facenti parte della
biblioteca Ducale, o indirettamente legati ad alcune illustri personalità,
o ad esponenti, della famiglia estense, conservati a Ferrara: La Spagna
(Classe II, 132) commissionato da Borso d’Este, negli anni 1452-1453,
che ne fece eseguire le miniature a Giorgio d’Alemagna e la rilegatura
a Nicolò Nigrisoli; il De laudibus Estensium carmina di Matteo
Maria Boiardo (Classe I, 318) esemplare di dedica al duca Ercole I d’Este
il cui epigramma di dedica autografo, con firma autografa dell’autore
medesimo, indurrebbe a datare il manoscritto fra il 1471, anno in cui
Ercole divenne il nuovo signore della città, e il 1494, anno
di morte del poeta; il De venenis et morsibus venenosis di Battista
Massa (Classe I, 352), datato al 1472, che ancora una volta vede coinvolto
Ercole I trattandosi di un esemplare di dedica a lui rivolto; le Tabulae
Astrologiae di Giovanni Bianchini (Classe I, 147) databile agli anni
1452-1457 che merita un discorso a parte rispetto ai codici estensi
in senso stretto, dato che potrebbe trattarsi di un dono di Borso al
Bianchini a conclusione di una brillante carriera al servizio degli
Estensi.
Una vetrina di tesori miniati evocativi di una stagione artistica che
coinvolse la città e la sua dinastia. Una Wunderkammer in rete
per mostrare le mirabilia dell’Ariostea: dai codici estensi, alle
miniature più preziose, alle opere museali queste ultime, fin
da ora, godibili nel sito Arte in Ariostea. A completamento e ad integrazione
del ricco apparato illustrativo un corrispondente corredo di schede
scientifiche in linea con i parametri e le direttive ufficiali, necessarie
per un migliore coordinamento e una maggiore uniformità descrittiva,
da applicarsi alle relative aree di competenza. Indubbiamente un progetto
ambizioso, impegnativo, ancora in nuce la cui realizzazione potrà
essere possibile solo intessendo, armonizzandole, quelle che sono le
competenze codicologiche, filologiche, storiche, artistiche messe “in
arte” dai ricercatori con le conoscenze informatiche messe a disposizione
dai tecnici del sistema informativo al fine di abbreviare i confini
tra fruitori ed emissari di un servizio preposto alla valorizzazione
del patrimonio locale. Un percorso virtuale espositivo che ha come esclusivo
desiderio di far conoscere, di presentare e di condividere le bellezze
conservate nel principale istituto culturale, l’Ariostea, che
le ospita, di una città, Ferrara, riconosciuta dall’Unesco
patrimonio dell’Umanità.
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