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Piero
Gargiulo scena
e musica
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"E
tal festa fu facta con soni de diversi instrumenti
intermedii
a li acti, perché fu facta in modo de sciena o tragedia"
[Bernardino
Zambotti, Diario ferrarese dall'anno 1476 sino al 1504]
Riprendo volentieri, nel titolo di questo saggio, la calzante definizione che Elena Povoledo volle conferire a "quel tipo di apparato scenico" sperimentato sotto il ducato di Ercole I per eventi festosi e celebrativi (il carnevale del 1486 e del 1487; il matrimonio di Isabella con Francesco Gonzaga nel 1489; quello del quattordicenne principe Alfonso con Anna Sforza nel 1491; ancora il carnevale del 1499 e del 1501) e poi ancora più vistosamente definito nel 1502, in occasione delle nuove nozze di Alfonso con Lucrezia Borgia. Così infatti la Povoledo descrive le novità della circostanza:
Per la prima volta la rappresentazione teatrale viene allestita in un ambiente diverso da quello del convito e delle feste da ballo. [...] Questa idea di città, cioè di un ambiente unico e costante, è effettivamente alla base della scena ferrarese e rigetta il principio della pluralità contemporanea di differenti luoghi scenici [...]. Più che una scenografia risolta, la "città ferrarese" fu dunque una situazione scenica ben individuata, e individuata esclusivamente in funzione di un testo drammatico e recitato.[...] Quello che rende le rappresentazioni ferraresi eccezionali è che furono assorbite nella festa [...] e con una continuità che non mancò di creare, nel tempo, uno stile e una tradizione.
E la novità non consiste tanto nella scelta dei soggetti prescelti per gli spettacoli (le cinque commedie plautine inscenate negli altrettanti giorni di festeggiamento che incorniciarono le nozze, dal 3 all'8 febbraio 1502), quanto piuttosto - come giustamente osservava Nino Pirrotta - nel fatto che le rappresentazioni ferraresi, primi esempi di volgarizzazione di drammi classici, furono "concepite non più come appendice ed ornamento ad una cerimonia o trattenimento della corte, ma come una funzione a sé stante e per di più, almeno nominalmente, pubblica". Si delinea cioè quella nuova dimensione sociale del teatro, in cui il collaudo dei cosiddetti "intermedi apparenti" (ovvero quella forma di intrattenimento in qualche misura già sperimentato proprio a Ferrara sul finire del Quattrocento), consente al pubblico di 'visualizzare' (e non soltanto 'udire') la trama e i contenuti scenici che "appaiono" tra un atto e l'altro delle varie commedie: ad accogliere pertanto più che degnamente "Lucrezia estense de Borgia", è un'affascinante cornice di eventi, corredati da uno spettacolo musicale, ricco di voci, strumenti, danze, coreografie e dunque esito collettivo di una specifica programmazione artistica.
Di tale scenario testimoniano ampiamente alcuni insigni diaristi ferraresi e le loro doviziose cronache: un campionario di descrizioni già ampiamente note per tradizione bibliografica, ma da cui mi pare lecito rivisitare in questa sede qualche esempio tra i più significativi, estratto dalle cronache abbinate alle commedie inscenate per l'occasione:
Epidicus (Terzo intermedio)
[...] sopra uno caro, menato da un cavalo in forma de unicorno, conducto da una gioveneta, sopra il quale herano alligati ad uno troncho alchuni homini, e quattro cantarini con uno leuto... Quali poi forno disligati da dicta damixella e usciti fecero la morescha cantando quattro canzone bellissime.
Asinaria (primo intermedio)
[...] quattordici satiri, fra quali havea uno in mano uno capo de asino deargentato cum una fistula entro e uno altro uno tamburo a la turchesca e uno zuffolo, quali sonando uscèteno ad uno ad uno. E interim intrati, uscèteno cum una fistula di canna sorda per uno in bocha, quali tutti sonando balavano a la morescha.
Casina (primo intermedio)
[...] venne fuora uno homo salvatico cum uno corno sonando cum una bella damixella, ch'el seguitava cum altri homeni salvatichi, balando a la morescha tuti ch'el seguitava cum altri homeni salvatichi, balando la morescha tutti dignamente. E subito vi apparse il Dio d'amore, che scazava e percoteva dicti homini salvatici, accompagnato da certi musici, quali tolsero dicta damixella in mezo cantando suavemente.
Casina (secondo intermedio)
[...] venne fora una grossissima pala [palla], qual in mezo del proscenio se aperse in due, e ivi dentro ge hera una bellissima musica cum lyre et armonie suave cantando.
Bachide (secondo intermedio)
[una moresca] de dece homini, fincti nudi, cum un velo a traverso: il capo capillato di stagnolo, cum corni de divicia in mano, cum quatro dopiroli accesi dentro, pieni di vernice, quali nel movere li corni se avampavano. Nanti a questi era uscita una giovane che passò spaventosamente senza sono, et andò in capo de la scena.
Se poi da altri resoconti si ricavano notizie ancora più mirate su strumenti (liuti, tamburini, timpani, fistule, lire, zufoli), danze e ritmi tipicamente coreutici (chiaranzane, brandi, moresche), azione pantomimica, movimenti scenici, apparati veicolanti, il quadro di riferimenti all'apparato musicale (le cinque commedie assommarono un totale di 22 intermedi) avrebbe potuto impreziosirsi di ulteriori dettagli, grazie al contributo di una spettatrice sensibile e preparata come Isabella d'Este, cronista d'eccellenza degli spettacoli. Ma, come già noto, l'"annoiata e indispettita" marchesa di Mantova (oltre che forse condizionata da certa invidia per la festeggiata Lucrezia) si limitò a registrare gli eventi con malcelata indifferenza, solo sporadicamente soffermandosi sulla qualità delle musiche, sull'identità degli esecutori e sulla vera e propria resa artistica degli spettacoli.
Le sue testimonianze tuttavia, pur se non esaurienti e in qualche misura riduttive dell'effettiva consistenza dei mezzi impiegati, restano le più celebri, oltre che le uniche di un certo rilievo per le perdute musiche delle nozze Borgia-Este, come rivelano altri celebri estratti di citazioni, da cui fortunatamente si ricava qualche spunto di valutazione e, soprattutto, indicazioni utili a identificare almeno un insigne protagonista della polifonia italiana protocinquecentesca, il frottolista veronese Bartolomeo Tromboncino:
Epidicus
[...] de voci et versi non fu già bello, et la musica fu tristissima, ma le moresche che fra li acti furono facte, comparsero molto bene et cum grande galanteria
Bachide
[...] fu tanto longa et fastidiosa et senza balli intramezzi...Due moresche soltanto furono tramezzate
Asinaria
[...] al tertio acto uscì la musica del Tromboncino, Paula, Pozino e compagni, cum la quale se fece maggiore honore a Mantuani che a Ferraresi
Casina
[...] prima uscì la musica del Tromboncino cantando una barcelletta in laude degli sposi
[...] al tertio atto venne la musica de le viole a sei fra le quali era el Sr. Don Alphonso
Reduce da tumultuosi eventi di vita privata, Tromboncino trova proprio a Ferrara un completamento importante per la sua professione e per la sua qualifica: già prediletto da Isabella, lascia Mantova nel 1505, per entrare l'anno successivo al servizio diretto di Lucrezia (con una retribuzione di gran lunga superiore a quella percepita da altri quattro musici fino al 1508; resta poi a Ferrara (ma alle dipendenze del cardinale Ippolito e della sua "camera della musica", costruita all'interno del suo palazzo) almeno fino al 1513, quando quando la "capella" estense, grazie all'operato di Ercole (scomparso nel 1505) e poi di Alfonso, era stata degnamente ricostituita, vantando una consistenza in grado di concorrere con le corti di Milano, Napoli e Firenze.
Insieme al conterraneo Marco Cara, Tromboncino è certamente il più accreditato musicista di questo scorcio di inizio secolo, oltre che il più duttile a cimentarsi con testi di sicura provenienza teatrale, tramandati in alcune sue celebri frottole, fortunatamente conservate e diffuse, tramite le preziose stampe di Ottaviano Petrucci e di Andrea Antico tra il 1504 e il 1520. Oltre infatti alla "musica" eseguita per le nozze di Lucrezia, che lascia supporre una già specifica propensione al comporre per la scena (sperimentata nella Mantova di Isabella), possono registrarsi alcuni esempi come Crudel, fuggi se sai (scritta per la favola Le Nozze di Psiche e Cupidine di Galeotto del Carretto) come Chi se fida de fortuna, un testo di matrice moralistico-proverbiale leggibile in chiave di commento a trame di commedie.
Più apprezzato come esecutore e infatti non menzionato nel Cortegiano di Castiglione, che riserva invece una significativa citazione al "nostro Marchetto Cara", esaltato per la "dilettevole passione" che il suo canto sa evocare), Tromboncino ha il merito di aver impresso alle coeve vicende musicali il marchio più autorevole, prima del definitivo tramonto della frottola a favore del madrigale, che nei primi anni '20 del Cinquecento assurgerà progressivamente alla forma polifonica profana più coltivata e più diffusa.
Ed è proprio la presenza di Tromboncino presso la corte estense a consentire, come rilevato da William Prizer, non soltanto di datare con plausibile fondatezza la sua consistente produzione (quasi duecento frottole a quattro voci), divisa tra la fase mantovana (1489-1505) e appunto quella ferrarese (1506-1513), ma anche di accreditare il ruolo di Lucrezia e la sua influenza su alcuni testi poetici di frottole. Si pensi a Quando la speranza es perdida e Muchos son che van perdidos, in cui la lingua è una chiara testimonianza dell'omaggio alle origini della donna (figlia di un papa spagnolo), alla sua formazione culturale (nelle letture) a certo suo indubbio gusto estetico (negli abiti) e di intrattenimento (i danzatori e buffoni spagnoli che l'avevano seguita da Roma a Ferrara), come testimonia anche un breve estratto di cronaca dei festeggiamenti nuziali. Composta in Ferrara, pur non sotto espressa committenza di Lucrezia, dovette essere anche la frottola Queste non son più lagrime (che Tromboncino intona forse tra il 1511 e il 1512, quando è al servizio di Ippolito), primo testo ariostesco (Orlando Furioso, XXIII, 126) musicato in assoluto: pubblicato nel 1517 e poi ristampato nel 1520, il brano confermerebbe una quasi certa frequentazione di Ariosto (che dal 1503 era al servizio di Ippolito) con il compositore, che forse aveva in qualche modo contribuito al corredo musicale degli intermedi della Cassaria rappresentata nel 1508.
Si pensi infine ai testi petrarcheschi che Tromboncino intona proprio nel periodo ferrarese o ancora ai componimenti latini (tratti da Ovidio e Orazio) o ad altri testi di netta matrice classico-umanistica: si tratta di un approccio a certa tipologia poetica che il musicista veronese ha senza dubbio mutuato anche attraverso i gusti di Lucrezia, attenta e sensibile estimatrice del petrarchismo protocinquecentesco, che ella coltiva anche grazie all'amicizia di Pietro Bembo, suo convinto ammiratore e a lei legato da intensi affetti amorosi. Lecito è pertanto ribadire nella figura di Lucrezia un modello "patron of music", autonoma fino a quando le priorità finanziarie della corte imposero un vistoso ridimensionamento economico e il conseguente 'taglio' di spese per la sua pur ristretta équipe di cantori ed esecutori, ma sempre in grado di circondarsi, come Isabella a Mantova, di quel consesso di elevati ingegni, che le consente di proporsi come autentica figura catalizzatrice della cultura estense di quegli anni. Lei stessa danzatrice, omaggiata da innovativi allestimenti scenici, attiva cultrice di raffinati gusti musicali, ma soprattutto felice protagonista di una stagione irripetibile per Ferrara, che prelude ad un intero secolo di fasti artistici. Non superfluo è qui infatti ricordare - accanto a quella di Tromboncino- la presenza, nel ventennio lucreziano, dei più titolati musici fiamminghi, stipendiati da Ercole, da Alfonso e da Ippolito: Josquin Desprez (1503-04), Jacob Obrecht (1504-05), Antoine Brumel (1505-1510) e persino il giovane Adrian Willaert (1516-1519) transitano da Ferrara, incrementando il prestigio estense e affinando quel clima culturale cui la nobildonna - anche grazie alla frequentazione di poeti e letterati (Antonio Tebaldeo, Ercole Strozzi, Ludovico Ariosto, Pietro Bembo) che onorano la corte in quel periodo - aveva in pregevole misura contribuito.
Doti e meriti (certamente uniti al ritratto di moglie e madre esemplare che proprio il periodo ferrarese ci restituisce) che il più illustre tra i poeti appena citati avrebbe saputo esaltare, come privilegiato testimone di quegli anni, nel canto dell'Orlando Furioso in cui celebra i protagonisti della dinastia estense. Così i suoi versi per la duchessa, nei quattro endecasillabi a lei dedicati, che ne evocano tutto il fascino e la destinano ad un perenne ricordo artistico e umano:
Lucrezia Borgia, di cui d'ora on ora
la beltà, la virtù, la fama onesta
e la fortuna crescerà, non meno
che giovin pianta in morbido terreno.