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L’opera di Luciano Chiappini Gli Estensi, saggio storico fondamentale ed ancora imprescindibile per chiunque voglia occuparsi di storia ferrarese (e tanto apprezzato e noto da rendere superflua ogni altra considerazione da parte di chi scrive), ci offre una valutazione, all’inizio dell’undicesimo capitolo, che si pone come una delle sue tante illuminanti conclusioni storiche sulla lunghissima signoria degli Este, o, per usare le parole dell’autore stesso, sui "Due secoli di civiltà estense a Ferrara": per il modo in cui questo casato conquista e consolida il proprio potere si determinano condizioni in cui è naturale lo sviluppo di una cortigianeria "fatta di nobili e di plebei arricchiti, di grossi borghesi e di funzionari" alimentata da un "sottobosco" (sono ancora parole del Chiappini) di pubblicani, di piccoli impiegati e di delatori, un mondo "brulicante di interessi e passioncelle" di cui fanno parte, in buona sostanza, anche gli stessi artisti e poeti di corte.
Gli anni che vedono Lucrezia Borgia duchessa di Ferrara, dal 1505 al 1519 (ma è sposa di Alfonso I già dal 1502), sono pienamente calati in questa atmosfera che, adattandosi ai tempi, si mantiene per tutto il periodo della signoria estense, durata , di fatto, ben più di due secoli.
La successione di Alfonso ad Ercole I, nel 1505, avvenuta senza scosse o turbamenti, sembra confermare il consolidamento del potere degli Este, in ragione anche della "collaborazione" di cui gode il nuovo duca da parte del fratello, l’implacabile cardinale Ippolito I. Ma è Lucrezia, dopo tre anni dal matrimonio con Alfonso, a presentarsi come la figura più idonea per essere la naturale reggente del ducato in assenza del marito, la più autorevole referente per quanti fanno parte della corte. Con il seguito "romano" e "spagnolo" che si porta dietro, Lucrezia Borgia apre la strada a nuove tendenze culturali e a nuovi orientamenti letterari che, a corte, cominciano ad apparire come facenti capo ad Ercole Strozzi e a Pietro Bembo e che su di lei manifestamente convergono.
Ad onor del vero, la "presenza" di Lucrezia Borgia o anche la semplice comparsa del suo nome nei documenti conservati presso l’Archivio Storico Comunale, sia del suo tempo che successivi, è scarsissima per non dire quasi nulla, ma nel Fondo familiare antico e nei volumi delle Deliberazioni dei XII Savi è possibile rintracciare la maggior parte dei nomi di famiglie, e delle figure più eminenti che ad esse appartengono, che la migliore e più accreditata storiografia ci ha tramandati come costituenti l’ambiente di corte durante gli anni vissuti a Ferrara dalla figlia di papa Alessandro VI.
Il nome del già ricordato Ercole Strozzi negli anni che precedono la sua tragica morte per assassinio, nel 1508, è presente nelle Deliberazioni dei XII Savi proprio come appartenente a quel Maestrato cittadino (l’istituzione del governo municipale, anche se i suoi componenti sono di nomina ducale); questa importante figura di poeta e letterato, di attivo amministratore e contabile dei XII Savi è, fra le persone della corte, quella più vicina di ogni altra a Lucrezia Borgia nei suoi primi anni a Ferrara.
La presenza di nomi di letterati e dotti in documenti dell’epoca, come appunto le suddette Deliberazioni, riflette più o meno il loro ambiente cortigiano e i loro rapporti col casato estense. Oltre ad Ercole Strozzi, nel 1507 vi troviamo Pellegrino Prisciani, definito come eques et conservator ; questa seconda qualifica attesta chiaramente le sue attività di umanista, uno dei più colti nella Ferrara del suo tempo e considerato da qualche storico come l’ "ispiratore", almeno sul piano teorico e letterario, dell’Addizione Erculea realizzata da Biagio Rossetti. Oltre ad essere il primo storiografo ducale ufficiale, il Prisciani presta servizio in diversi periodi come astrologo di corte, come bibliotecario e come diplomatico.
Fra i nomi dei componenti il Maestrato dei Savi che più spesso si incontrano nelle Deliberazioni degli anni di Lucrezia Borgia a Ferrara figurano un Giovanni Muzzarelli ed un Ettore Sacrati, un Girolamo Roverella ed un Francesco Gualengo. Anche se, nell’attività strettamente culturale, non si tratta di figure paragonabili per notorietà ed importanza ai già ricordati Strozzi e Prisciani, ad un Celio Calcagnini (autore, fra l’altro, proprio dell’orazione funebre per lo stesso Ercole Strozzi) o ad un Ludovico Ariosto, bisogna riconoscere che ci troviamo comunque di fronte a dotati dilettanti, nel senso proprio del termine, che diventano il tipo più genuino di professionisti delle lettere.
Per questi umanisti e studiosi il "servizio", come rapporto col signore e la sua corte, è una specie di passaggio obbligato che si traduce in incarichi pubblici come in missioni diplomatiche, in governatorati come in regie degli spettacoli teatrali e delle feste. A tale riguardo è addirittura emblematica l’ampiamente nota esperienza fatta da Ludovico Ariosto; ma si può ricordare ancora l’umanista Battista Guarino, compresso (e spesso confuso) fra la figura del padre, Guarino Veronese, e quella dell’omonimo nipote autore del Pastor Fido. Questo uomo di corte, e diplomatico, è stato prima precettore di Isabella d’Este poi consigliere di Eleonora d’Aragona (di cui ha composto l’orazione funebre), rispettivamente sorella e madre di Alfonso I, per poi diventare segretario dello stesso duca.
Negli anni di Lucrezia Borgia a Ferrara troviamo anche, nel Maestrato cittadino, la presenza di più di un appartenente alla stessa famiglia; così, ad esempio, nelle Deliberazioni, un Antonio Costabili, menzionato sempre per primo fra i Sapientes
seguiti dagli Adiuncti, è qualificato come "consigliere ducale segreto" ed è affiancato da un Girolamo Magnanini, di Fanano, dal 1505 a Ferrara ed onorato da Alfonso I di "privilegi ed esenzioni", qualificato come "primo segretario"; Camillo Costabili è invece qualificato come "luogotenente" (locumtenens); della famiglia Bendedei, un Nicolò figura come "segretario ducale" mentre il figlio Alberto è qualificato come "cancelliere ducale". Vi sono, ancora, nomi come Giacomo Aventi, prima, e Francesco de Argenta, in seguito, che figurano come "notaio dei XII Savi", mentre Giacomo de Savana è qualificato come "notaio camerale"; questi titoli attestano e confermano la compresenza di cariche della magistratura cittadina che rispettano, almeno formalmente, la tradizione dell’istituzione municipale e di cariche "funzionali" alla signoria estense. E ancora si trovano, in questi atti, molti altri nomi di famiglie che, sia in quegli anni che nei secoli successivi, fanno parte della storia ferrarese come i conti Bevilacqua e i Trotti.
Dal registro delle Deliberazioni che copre gli anni di Alfonso e Lucrezia come "duchi regnanti" emerge, con particolare evidenza ed interesse, il coinvolgimento di queste famiglie nella contribuzione attraverso provvedimenti fiscali come la collecta : si tratta di una vera e propria imposta sul patrimonio che viene considerata di pertinenza comunale; se ne trova ampia documentazione nei momenti in cui il casato estense deve far fronte a richieste straordinarie di pubbliche esigenze, come nel 1509 e 1510 durante e dopo la guerra con Venezia, quando si procede alle spoliationes contra venetos , o come per la guerra del 1512.
Le disponibilità di censo, dunque, fornivano notevoli e sicure possibilità di accesso agli ambienti di corte quanto la nobiltà di sangue. Le fonti documentarie dell’Archivio Storico Comunale danno conferme di tali "accoglimenti" e dei rapporti che ne derivano, ma bisogna precisare che non tutte le famiglie più illustri ed importanti nella storia ferrarese del tempo, i cui nomi sono presenti nelle Deliberazioni, hanno un fascicolo a propria intestazione nel Fondo familiare antico; in non pochi casi certe famiglie vengono menzionate in atti e documenti contenuti in fascicoli che riguardano altri nomi, alcuni dei quali già ricordati. Per portare qualche esempio, i Pasqualetti, grazie alle fortune accumulate da un Giannone Pasqualetti, nei primi anni del XVI risultano essere proprietari di una cappella privata nella chiesa di San Domenico; i Cestarelli, con il commercio, acquisiscono enormi ricchezze ed un Filippo Cestarelli si trova ancora in importanti posizioni a corte negli anni fra il matrimonio di Alfonso e Lucrezia e la morte di Ercole I; dei Machiavelli, un Baldassarre è giureconsulto e fa parte del Maestrato dei Savi dal 1506, ma assieme ad un Giacomo è anche esponente di questa famiglia di banchieri ferraresi. Ci troviamo di fronte ad un mondo in cui tutti i cortigiani sono fedeli e devoti sudditi della signoria estense, ma fra un atto notarile riguardante un’eredità e i verbali di un processo per dei diritti di proprietà o per contese su confini di terreni, emergono contrasti fra alcune di queste famiglie (e a volte all’interno della stessa famiglia) che possono essere anche aspri e spesso duraturi. Riguardo a questioni del genere nel Fondo familiare antico vi è una ricca documentazione su una causa fra la famiglia Pasqualetti e la famiglia Bonlei di cui, pure, un Nicola fa parte dei XII Savi nel 1507.
Per tornare alle parole del Chiappini, in questa "brulicante" cortigianeria accadono anche tragici fatti di sangue, che esplodono a causa di invidie, di gelosie e delle "più grosse e spudorate ingordigie". Ancor prima dell’assassinio dell’amico Ercole Strozzi, a Lucrezia Borgia tocca di "assistere" ad episodi come la cruenta aggressione del cardinale Ippolito a don Giulio, a Belriguardo nel 1505, e come le condanne seguite dalle feroci esecuzioni ordinate da Alfonso per reprimere la congiura ordita dallo stesso don Giulio, scoperta nel 1506. Si è indotti a constatare che certi drammatici avvenimenti non sono estranei nemmeno ad ambiti fra i più importanti e rappresentativi della vita di corte come, ad esempio, l’attività musicale.
Negli anni durante i quali Lucrezia è accanto ad Alfonso la cappella musicale di corte degli Este è, come organico, la maggiore d’Europa; sono attivi a Ferrara i più grandi musicisti del tempo come, per fare solo qualche nome, Josquin Desprez nel 1503-1504, Jacob Obrecht nel 1504-1505, Bartolomeo Tromboncino nel 1513 e Adrian Willaert nel 1516; in una lettera (oggi conservata a Modena) del 30 Settembre 1518 Enrico VIII Tudor, re d’Inghilterra, ringrazia Alfonso I per aver ricevuto uno strumento musicale tramite un inviato estense, Giovan Pietro de’ Busti da Brescia. Eppure, con la scoperta della già ricordata congiura di don Giulio, proprio un "procacciatore" di cantori e musicisti per il duca di Ferrara presso altre corti italiane e in Francia, Gian Guascone d’Artiganova detto Gian Cantore, viene mandato a morte dopo crudeli torture e poi letteralmente fatto a pezzi in quanto implicato nel complotto.
Questo ed altri argomenti su fatti e persone della vita di corte presso il casato estense negli anni in cui Lucrezia Borgia è duchessa di Ferrara, sono stati già ampiamente e magistralmente trattati da storici e letterati (oltre al Chiappini, basterebbero i nomi del Gregorovius, di Maria Bellonci e di Riccardo Bacchelli): chi scrive non è uno storico e ne è consapevole; perciò la "ricognizione" che si è cercato di tracciare non vuole essere un contributo originale in sede storica, ma soltanto un tentativo di contestualizzare quelle fonti documentarie possedute dall’Archivio Storico Comunale, come le Deliberazioni dei XII Savi e il Fondo familiare antico, che, per quanto non abbondanti e "indirette", nel loro genere restano comunque testimonianze uniche sugli ambienti e le persone che si muovono attorno a questa rara figura di donna. Le indubbie lacune di questa "ricognizione" sono dovute anche a quel tipo di carenze; questo dato di fatto, a conclusione delle presenti considerazioni, suggerisce a chi scrive una singolare analogia con un’altra "assenza": quella di Biagio Rossetti dagli scenari della vita di corte estense. Analogia "singolare", si è detto, del tutto casuale e priva indubbiamente di un qualche valore sul piano storico, ma che si vorrebbe suggerire come chiusura "ideale" di questo limitato "percorso" sulla cortigianeria estense. Secondo la tesi di Bruno Zevi esposta nel suo saggio Saper vedere l’urbanistica, infatti, un maestro come Biagio Rossetti si presenta come l’antitesi del cortigiano; egli è un cittadino suddito che non partecipa alla vita dell’ "alta società" del ducato, non gode della protezione economica della corte: anzi, realizzate le opere, egli scompare senza lodi e senza riconoscimenti, a volte senza nemmeno aver ricevuto un compenso. E’ significativo il fatto che quattro giorni dopo la morte di Ercole I, avvenuta il 21 Gennaio 1505, il già ricordato Filippo Cestarelli fa causa all’architetto per una questione risalente a qualche anno prima: segno che qualcosa sta cambiando nei suoi confronti da parte della corte. I rapporti col nuovo duca Alfonso, infatti, non sono cordiali e Biagio Rossetti nel 1505 abbandona la carica di Architetto ducale, cioè non è più il responsabile delle opere pubbliche nel loro insieme; nel 1508 entra al servizio del cardinale Ippolito I, ma nel 1510 è riconosciuto ancora come judex aggerum, ("giudice degli argini", carica importantissima in una città come Ferrara) perché nessuno lo supera in quanto a competenza in questa materia.
Biagio Rossetti, però, non fa parte degli artisti eruditi, dei letterati dotti ed egocentrici, degli intellettuali scaltri e conformisti che si nobilitano nel servilismo dell’élite; egli erige palazzi sontuosi ma non viene invitato ai banchetti che vi si tengono, dà gloria e lustro con le sue creazioni ad antiche e titolate famiglie come i Bevilacqua e i Roverella ma non è ammesso a frequentarle. Il maestro muore nello stesso anno in cui vengono a mancare Giovanni Bellini e Giuliano da Sangallo, il 1516, tre anni prima di Lucrezia Borgia: ha lavorato tutta la vita per i principi ma si è sempre mantenuto nei ranghi di un’altra classe.