Il lontano presente. l'esperienza coloniale italiana
Anna Di Sapio - Marina medi

Anna Di Sapio - Marina Medi
Il lontano presente: l'esperienza coloniale italiana
Emi, 2009
Euro 14,00

 

Non può esistere futuro senza memoria, è quindi importante recuperarla soprattutto per le nuove generazioni, quelle chiamate appunto a costruire il futuro. Ci sono pagine della nostra storia che abbiamo rimosso, come il periodo dell’espansione coloniale. Come viene studiato a scuola il colonialismo italiano? Come lo raccontano i libri di storia? Per coglierne la complessità non può più servire un modello storiografico cronologico-lineare, evoluzionista ed etnocentrico, ma occorre partire da punti di vista diversi, utilizzare anche fonti alternative come romanzi, film, perché nell’ottica delle civiltà e delle mentalità i prodotti artistici e i saperi quotidiani diventano fondamentali per capire il passato e il presente.

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IL LONTANO PRESENTE: L'ESPERIENZA COLONIALE IN ITALIA

Introduzione

Il futuro non esiste senza memoria. Una volta ho conosciuto una donna, si chiamava Susan Sontag. Era andata in Vietnam ed era tornata. La incontrai per caso, un giorno, a New York e mi disse: “Sai perché i vietcong hanno vinto la guerra? Sai perché la guerriglia è riuscita a sconfiggere gli Stati Uniti d’America, la più grande potenza economica e militare del mondo? Perché i vietnamiti hanno memoria. Perché per ogni situazione del presente, loro hanno da richiamare un ricordo del passato dal quale attingere esperienza e saggezza (...)”. Per questa ragione, secondo lei, erano riusciti a vincere. Il male peggiore del nostro tempo, invece, è la fuga in avanti. Quest’ansia di sviluppo, di crescita senza fine, che ci condanna a scoppiare come la rana che si è fatta più grossa del bue. (...)
Per i capricci della storia e del destino, vivo e lavoro in Italia da abbastanza anni per essermene innamorato e per aver capito quanto sia smemorato questo Paese. (...) Questo è il Paese dove ogni scheletro si sistema nell’armadio, in cui tutto viene rimosso, in cui tutto cade nel pozzo dell’indifferenza. (...)
Questa affermazione di Jean-Marie Straub permette d’introdurre le considerazioni che ci hanno spinto a preparare il presente Quaderno, la consapevolezza di questa perdita della memoria e l’importanza della stessa soprattutto per le nuove generazioni, quelle chiamate a costruire il futuro.
Oggi – sostiene Marc Augé, l’antropologo francese approdato dalle ricerche sul campo in Africa all’antropologia dei mondi contemporanei – regna l’ideologia del presente e questo blocca lo sforzo di pensare il presente come storia, un’ideologia che tende a rendere obsolete le lezioni del passato ma anche il desiderio d’immaginare il futuro. Predomina il linguaggio spaziale su quello temporale perché il presente è il regno delle immagini, soprattutto televisive. Viviamo in un mondo saturo di messaggi e d’immagini. I media e la televisione impongono una visione del mondo e così l’immaginario rischia di uniformarsi. L’organizzazione della vita è centrata sul presente e il presente vede gli spazi della politica, della religione, della cultura colonizzati dal vuoto del chiacchiericcio televisivo, assoggettati alle logiche inflessibili del mercato. Il modello ottocentesco della colonizzazione non è finito con il Novecento, si perpetua nei meccanismi che dominano la globalizzazione.
Viviamo in un mondo in cui il fossato che divide ricchi e poveri non cessa di accrescersi, ma la disuguaglianza dei saperi è ancora più grande e aumenta il fossato tra la somma delle conoscenze che si accumulano nei laboratori ben equipaggiati e lo stato d’ignoranza in cui versa la maggior parte della popolazione mondiale, nei paesi poveri come in quelli industriali. Scompaiono i saperi tradizionali ma i nuovi saperi non sono accessibili a tutti.
In questa situazione come preparare un futuro che sia il futuro di tutti? Abbiamo bisogno di un nuovo sguardo critico per individuare i meccanismi di potere, per capire qual è la posta in gioco, dobbiamo reimparare a percepire il tempo e a riappropriarci della storia, a comprendere il presente senza abbandonarci ad esso.
È necessario rendersi conto che lo choc inflitto dall’Occidente all’immaginario degli altri ha avuto conseguenze anche sul nostro immaginario. La colonizzazione e l’occidentalizzazione – secondo Augé – hanno provocato una sorta di big bang ideologico le cui conseguenze ricadono oggi in un apparente disordine sul mondo mondializzato. Parole come globalizzazione e immigrazione le troviamo quasi quotidianamente sulle pagine dei giornali, ma quanti sono in grado di spiegare il legame fra le due? Questo legame traspare nelle pagine dei libri di testo? Con la “scoperta del nuovo mondo” inizia una migrazione di europei alla conquista di vaste aree del pianeta che si trovarono così ad essere colonizzate. Gli europei riuscirono in tempi brevi a sconvolgere le realtà politiche, economiche, sociali di antiche civiltà. I popoli colonizzati furono privati della loro identità e della libertà di decidere del proprio futuro, si videro imporre i valori economici, politici, sociali e religiosi del colonizzatore, videro negate la propria storia e cultura, ritenute inferiori di fronte alla superiore civiltà europea che il colonizzatore aveva il dovere d’imporre al colonizzato.
Per il senso comune l’epoca del colonialismo è lontana, qualcosa che esiste nei libri di storia, che non sembra avere alcun legame con il presente, un presente segnato da migrazioni internazionali che in Europa hanno avuto come meta proprio le antiche capitali imperiali. Per lo storico burkinabé Ki Zerbo l’incontro tra Europa e Africa è stato un incontro mancato, non fu infatti una relazione tra pari, ma tra chi si credeva superiore e chi veniva considerato un essere inferiore da civilizzare.3 L’era del colonialismo e dell’imperialismo ha prodotto delle relazioni deformate fra culture diverse instaurando rapporti di dominio e di sopraffazione, innescando processi d’inferiorizzazione degli uni per affermare la superiorità degli altri.
Ma questa – come sostiene Iain Chambers – non è la storia che la modernità occidentale è abituata a raccontare a sé stessa. Schiavitù e razzismo sono considerati aberrazioni, incidenti storici che non scalfiscono il cuore della modernità contrassegnata dal progresso, dalla democrazia e dalla cultura illuminista. Diamo per scontato che gli atteggiamenti intolleranti e razzisti siano semplicemente deviazioni ed eccezioni di una cultura sostanzialmente buona e liberale.
Non è un caso se in Europa, negli ultimi anni, si nota un ritorno della “questione coloniale”: in Francia nel 2006 la Cité nationale de l’histoire de l’immigration organizza un incontro internazionale su “Histoire et immigration: la question coloniale”; a Torino si tiene il convegno “Italiani brava gente”, a Milano “L’Italia e l’Etiopia, 1935-1941, a settant’anni dall’impero fascista”; nel 2007 esce Retours sur la question coloniale un numero monografico della rivista letteraria “Cultures Sud-Notre Librairie”; nello stesso anno in Belgio il Ceges (Centre d’étude et de documentation guerre et sociétés contemporaines) organizza un convegno dal titolo “Congo. Enjeux d’histoire, enjeux de mémoire”; l’International Slavery Museum apre i battenti a Liverpool con l’obiettivo di prendere coscienza dell’eredità dello schiavismo; il Museum in Docklands londinese inaugura la mostra permanente “London, Sugar & Slavery” in occasione del bicentenario dell’abolizione del commercio degli schiavi; sempre nel 2007 all’università di Metz si tiene un convegno “L’Europa face à son passé colonial” che vede riuniti storici di vari paesi europei compresi gli italiani Rochat e Labanca.
Altri eventi, che si sono succeduti in Europa, stanno a dimostrare che il passato coloniale non è stato ancora “digerito” e che ci sono ancora ferite aperte. In Francia il dibattito si è riacceso a partire dalla legge del febbraio 2005, che mirava a riconoscere il “ruolo positivo della colonizzazione” soprattutto nei libri di testo scolastici e che, in seguito anche alle reazioni d’insegnanti e storici, è stata poi ritirata. Il dibattito che ne è scaturito ha mostrato la difficoltà di capire le formidabili trasformazioni postcoloniali che hanno portato alla creazione della società francese attuale, una società pluriculturale, attraversata da flussi intensi di uomini e d’idee, che vede nella scuola studenti di origini diverse i cui genitori hanno vissuto sotto un regime coloniale prima di emigrare in Francia.
La crisi non appartiene solo alla Francia, colpisce anche altre metropoli imperiali. In Gran Bretagna nel 2005 l’apparizione di Britain’s Gulag. The Brutal End of Empire in Kenya di Caroline Elkins e di History of the Hanged: Britain’s Dirty War in Kenya and the End of the Empire di David Anderson ha provocato un dibattito pubblico piuttosto acceso che ha portato il “Guardian” a titolare un articolo La nostra Guantanamo e “The Economist” a stabilire un parallelismo tra i metodi britannici in Kenya e la politica estera dell’amministrazione Bush.
La Germania preoccupata di assumersi la memoria del nazionalsocialismo e dell’Olocausto, tutta presa dalla riunificazione del paese, sembrava aver dimenticato le due brutali guerre coloniali condotte in Namibia e in Tanzania. Le autorità avevano sempre evitato di porgere scuse ufficiali, solo nel 2004 Heide Wieczorek-Zeul, ministro della Cooperazione allo sviluppo, in visita nella capitale namibiana chiedeva ufficialmente scusa con parole anche commosse, suscitando però in patria forti preoccupazioni che questo gesto finisse per costare miliardi ai contribuenti. Si temeva infatti da parte namibiana una richiesta d’indennizzo, che nella realtà non ci fu.7 Secondo diversi ricercatori questo ritorno della questione coloniale non è fortuito ma chiama in causa la rimozione, l’occultamento di questa pagina della storia, che ha permesso di credere che il processo di decolonizzazione fosse terminato e che riguardasse soprattutto le colonie.
Anche per questo torna ad essere di attualità il pensiero di Frantz Fanon cui nel settembre 2007 a Roma è stato dedicato il convegno “Fanon e la condizione postcoloniale”. In quell’occasione Iain Chambers ha affermato che la modernità rifiuta di “riconoscere la centralità dell’esperienza coloniale per la costituzione economica, storica, culturale, razziale e ‘democratica’ della nazione: quella dell’Algeria per la Francia, ovviamente, ma anche quella dell’impero coloniale britannico per l’Inghilterra odierna o dell’Eritrea, della Libia e della Somalia per la formazione dell’Italia attuale, o quella del mondo degli schiavi e del genocidio dei nativi americani per la costituzione degli Stati Uniti”.
Il fenomeno migratorio attuale non è un’emergenza – sostiene Chambers – è invece una delle caratteristiche principali della modernità. Il migrante di oggi s’inserisce in un processo in atto da cinque secoli, fa parte di una realtà strutturale spesso ignorata, rimossa o negata. L’affermazione di Fanon “la morte del colonialismo è insieme la morte del colonizzato e del colonizzatore” provoca alcune domande: il mondo che ha formato il colonialismo è veramente morto? I rapporti di potere che hanno plasmato il pianeta in modo unilaterale, sono veramente scomparsi?
Come si studia questa storia a scuola, come la raccontano i libri di testo? L’insegnamento della storia sembra essere segnato ancora pesantemente dall’eurocentrismo: del resto del mondo si parla solo quando entra in contatto con l’Europa. Si continua a raccontare una storia che è stata costruita nell’Ottocento, quando si perseguiva l’affermazione degli stati nazionali europei, in quest’ottica i rapporti tra l’Occidente e le altre culture venivano relegati ai margini. Certo oggi i manuali stanno cercando di correggere questa tendenza, ma si tratta sempre di soluzioni contingenti e non organiche.
Per capire la complessità del presente e del passato non può più servire un modello storiografico che propone un racconto della storia cronologico-lineare, evoluzionista ed etnocentrico. Un’altra storia è possibile, recita il titolo di un testo di Giorgio Dal Fiume,9 una storia che parta da punti di vista diversi, utilizzi anche fonti diverse come romanzi, film, perché nell’ottica delle civiltà e delle mentalità i prodotti artistici e i saperi quotidiani diventano fondamentali per capire il passato e il presente. Occorre costruire senso storico insegnando a cogliere le tracce che rivelano il passato, a percepire il passato in sé stessi e nelle proprie vite, per comprendere il proprio futuro.
La storia non è dominio dell’oggettività, ricorda Dal Fiume, ma luogo dove la memoria viene interpretata e ricostruita, secondo le percezioni del presente. Partendo dal presente quindi, si riconosce e si ricostruisce il passato.
L’antropologo Marco Aime recensendo il testo di Dal Fiume scrive: “Oggi assistiamo sempre più a una sorta di etnicizzazione della storia e dei conflitti. (...) Si evocano scontri di civiltà o di culture, utilizzando questi concetti allo stesso modo in cui si utilizzava quello di razza nel secolo scorso. Oggi assistiamo sempre di più al diffondersi di fondamentalismi culturali che finiscono per condurre a un razzismo senza razza. Il tutto per mascherare tensioni e conflitti di tipo economico e politico. (...) In nome della superiorità dell’Occidente (...) oggi si esportano sviluppo, democrazia e altri ‘gadget’ culturali. (...) Se non riusciamo a uscire da questo paradigma etnocentrista e a formulare un nuovo racconto della storia, finiremo per diventare sempre più fondamentalisti e ciechi, diretti verso un imbarbarimento progressivo”.

Il testo che presentiamo vuol essere un contributo a chi si propone di studiare questo periodo storico così poco conosciuto, ma anche a coloro che volessero informarsi su questa pagina della nostra storia. Nella prima parte vengono presentati brani di romanzi o di racconti che narrano storie ambientate nell’epoca dell’espansione coloniale italiana. Oggi in Italia disponiamo di opere letterarie scritte da autori provenienti dalle ex colonie italiane o da autori nati in Italia ma di origine africana per cui ci è sembrato interessante far interagire il loro punto di vista con il punto di vista di autori autoctoni. La scelta di partire da testi letterari è dovuta anche alla convinzione che spesso un’opera letteraria può rivelare quello che un’analisi oggettiva non riesce a comunicare. Poiché la letteratura tocca la sfera affettiva e l’immaginazione, offre la possibilità d’influire sull’atteggiamento delle persone nei riguardi di altre culture in modo più efficace del puro e semplice apprendimento cognitivo.
Nella seconda parte si è cercato di ricostruire le principali vicende del colonialismo dalla fine dell’Ottocento al secondo dopoguerra e di vedere come la storiografia lo ha affrontato tra resistenze e voglia di rimozione. Per aiutare la collocazione spazio-temporale e per restituire spessore umano ai protagonisti di questa storia vengono forniti una carta geografica dei possedimenti italiani in Africa e una tavola cronologica che ne mostra la durata.
Dato il ruolo del cinema nel raccontare la storia del Novecento, un capitolo presenta una rassegna di film dedicati al tema coloniale, analizzando i messaggi che venivano affidati a questo strumento di comunicazione di massa.
Nella terza parte, infine, abbiamo cercato di analizzare il modo in cui il colonialismo è affrontato nella scuola. Per prima cosa abbiamo esaminato come il tema viene trattato nei libri di testo di storia del Novecento. Abbiamo poi condotto una breve indagine su studenti di scuola secondaria di I e di II grado, per mettere in luce sia le conoscenze che essi possiedono sul colonialismo italiano, sia l’immagine e il giudizio che ne hanno ricavato. Infine abbiamo provato a proporre come sia possibile e opportuno realizzare nella scuola un percorso di studio su questo periodo, in modo da sviluppare negli studenti competenze sia storiche sia di educazione alla cittadinanza democratica.
Il volume si conclude con una serie d’indicazioni bibliografiche e sitografiche per chi volesse approfondire l’argomento.

 

 


Le autrici:


Anna Di Sapio- Marina Medi
Da anni formatrici nelle scuole, fanno parte del CRES (Centro Ricerca Educazione allo Sviluppo), un'associazione di insegnanti che mira a realizzare iniziative di ricerca e innovazione didattica.


 

 

 


 

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