Da Mediterranea
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Di Alberto Masala
Gesturi questo sole stracolmo sprofondava pulsando in immagine selvaggia di granito antico senza ombre e d’erba devastata dal fuoco siamo di fuoco quando
siamo di vento quando
siamo di fiume quando
possiamo essere d’acqua
ormai fa notte e guardo senza percezione e solo lì mi accorgo siamo di notte ..................... Discendo dalla nave in un archeologico mattino
di sole di settembre di fronte al cieco arrampicarsi saldamente
di Castello in questo impassibile geografico ideale. Cagliari, ora noi siamo mattina insieme, a quella stessa distanza dal sole dove le voci si staccano cercando altre forze, altre ragioni per assorbire altra vita in un forsennato ed indolente battersi a morte anche nei passi abituali stanchi di cosa troveranno dopo. Partiamo deportando queste salde visioni
perché conviene seguire l’andatura andando nei luoghi
inaccessibili dove l’intelligenza è ben nascosta. Dimmi come ingoiare questa lingua di partenze. Attenta, Cagliari... attenta... non credere a quest’uomo quando cammina pronunciando parole da europeo è così che alimenta un
avvoltoio
non
credere a quest’uomo quando cammina attraversando campi di
guerra
è così che alimenta un avvoltoio
non
credere a quest’uomo quando cammina descrivendo la storia...
acuta... dolorosa... eccetera...
è così che
alimenta un avvoltoio
non credere a quest’uomo quando cammina dalle nostre parti ariano armato di dei bianchi è così che
alimenta un avvoltoio
non credere a quest’uomo che innalza
case inabitabili da cui esce raramente
è così che
alimenta un avvoltoio
non credere a quest’uomo
che ha trapiantato ai nostri padri polmoni di miniera
è così che
alimenta un avvoltoio
non credere a quest’uomo
che ti ha costretto alla lingua e alla parola di un padrone
è così che alimenta un avvoltoio
pero cuando se atreven a olvidar che vacillando da generazioni facendo dondolare conoscenza e corpo noi sappiamo ballare queste danze che cominciano sempre progettando forti simboli di pietra duratura in strade immaginarie costruite in un tempo illuminato che sono dove a volte ansimando ci rechiamo e dove solo il ritmo ci trattiene e da dove sempre ritorniamo a restituirci la nostra sorte traboccanti di sogni descritti in ogni vento che il vento ha stabilito di voler allontanare è per diversità che si resiste solo di volontà nasciamo in minoranza .................................... Istanbul questa volta la città mi riceve risvegliando lontani ricordi di febbre visionaria smaltita su una sordida branda e un pavimento dove la polvere si accumulava rigata da scarafaggi brulicanti e dai passaggi di un angelo svizzero che puntuale mi dava acqua fatta bollire ed il bactrim che mio padre prudente mi aveva messo in tasca salutandomi prima di partire. “Istanbúl... Istanbúl... Istanbúl...” quasi vent’anni dopo il grido si ripete con uguale esaltazione nella felicità dei viaggiatori per l’avvenuta liberazione dell’arrivo. Con solennità una cornice espande i suoi deformi arruffamenti come barocchi riccioli dorati intorno alla nuca semicalva che lampeggia spettrale irradiando lentamente le assorte riflessioni che il portiere annerito dal tempo rovescia nello specchio che mi accoglie sospettoso all’ingresso antico dell’albergo. “Non sono tanti gli stranieri che arrivano a Beyoglu... e qui di solito trovano occupato...” mi dice con orgoglio anticolonialista mentre mi assegna la stanza migliore all’ultimo piano nominandomi turista regolare con signora e parafulmine delle perquisizioni poliziesche. Colonne emergono consunte ad ogni barlume di un instabile neon che illumina le scale di legno cigolanti al passaggio delle prostitute. Ragazze pulite. Così si mantengono agli studi. Un giro discreto solo per turchi in visita d’affari alla città, che dalla mia finestra si stende nel colore del mare o del cielo, dove si sgretola e si consuma molto rapidamente in grigio impolverando quella prospettiva che sempre rivedo differente come un polverizzarsi della vita. Di notte la vista si forma sulle bische illuminate e la luna si aggancia alle terrazze sui tetti dove i bambini preparano i giacigli per dormire. “Caffè italiano per tutte!” ripeto ogni mattina scendendo trionfalmente quelle scale con una enorme moka rossa in un festoso brindisi che apre ritualmente il giorno. Poi tutti dal vecchio kurdo: peperoni piccanti,
uova e pane fresco. “tu italiano...” Parliamo dell’onore e dell’appartenenza che si trasporta solo di persona. Un soldato sarebbe appagato dai simboli, ma noi, gente di pace... siamo sempre traditi… anche quando si vince. L’indaco di un settembre che tramonta si mescola alla folla insolente di fame nell’inebriante inferno dei vicoli, agli arabeschi del sole nell’oscurità azzurrina di un bagno, al fumo nei caffè, ai logori broccati nei locali... “che cosa scrivi? sei un poeta? tutti vengono qui... hashish?... una danza eccitante?... cambio?... oppio?... che cosa cerchi?...” Non trovo mai silenzio... pausa.... sosta...
A contemplare il passaggio dei secoli sulla costa le massicce distese di interminabili scogliere di roccia levigata o scritta in geroglifici di pietra e sabbia bianca e I’acqua limpida anche sotto e in fondo palme lontane e sottili come dita di una mano di sabbia che indica orizzonti fino al mare
dove anche le voci hanno radici e prendono colore le voci religiose delle donne anziane avvolte in un oscuro canto sacro e divinante che incombe di grandezza frantumata che da sempre appartiene a quella casa che ho da sempre abitato e abbandonato
e ritrovando irrequietezza di monotonia che suona come musica di mosche vorrebbe urlare pietre quel silenzio
guarda questo infinito che attraversa l’aria rendendo impersonale anche il tuo corpo come tempo di nebbia
ma sempre si ritorna in questa terra
Nel mio mediterraneo non ci
sono vincitori ................................ Note (…) Ecco dunque il manuale che mi ha condotto:
il nome l’ho visto deformarsi e scomparire
nelle pronunce per ascoltarlo rinascere nel fantastico canto cristallino
di voci ‘altre’ (Màssala, Masàla, Masalha,
Masalà, Mashalà, Mash Allah...). la lingua ho ascoltato ogni lingua come se fosse mia.
Ho atteso sempre di vederla impugnare nelle modulazioni della voce
e volgere come un’ingenua arma senza punta contro il dolore
della sua violazione, dove incombe una patria o dove si subisce
il piano santo di chi decide scienza cultura e sapere nazionale. la memoria dappertutto ho trovato i miei antenati nei
metaforici racconti degli anziani fertili di sogno e di leggende
che ho sempre riascoltato uguali. Sono loro che ci hanno insegnato
a fissare lo sguardo per vedere i contorni segreti delle cose come
bestie che nella notte avvistano la preda. i simboli della terra in ogni terra ho ritrovato i miei segni e
ne ho letto i presagi. --- Dappertutto ho visto gente che non ha più
fierezza di zanne, mentre le nuove mitologie che affiorano con rapidità
chiedono di starcene seduti davanti allo spettacolo di un presente
irresistibile, che dirama messaggi inattendibili generando e alimentando
conformismo. Per questo continuo ancora ad utopico amare l'universo barricato di selvaggia determinazione. Alberto Masala
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