Il
parto:
A
trentasei anni ha deciso di avere il primo figlio. Appena saputo della
gravidanza, ha fissato con esattezza la data e l’ora del micro-cesareo
secondo la congiunzione astrale consigliatale dall’astrologo di
sua fiducia.
Nella maternità in cui si è ricoverata già dal
giorno prima, una sua amica che presenta il tg della sera, sua coetanea,
ha da poco dato alla luce una bambina. Le è sembrato di buon
augurio.
Quando l’ago dell’anestesista ha penetrato la colonna iniettando
il liquido attorno alla duramadre, erano presenti nella sala parto,
oltre all’anestesista stesso, l’ostetrica, il pediatra,
l’infermiera circolante, un’ausiliare, la strumentatrice,
il padre del nascituro con una DV Cam, e il direttore-clinico dell’ospedale,
in visita di cortesia alla prestigiosa paziente.
Il bambino è uscito attraverso una piccola incisione che ha seguito
la linea superiore dei peli pubici. L’ostetrica ha legato il cordone
ombelicale con pinzette di plastica usa e getta, e ha chiesto all’anestesista
di fare un’iniezione di oxitocina, per permettere all’utero
di rilasciare agevolmente la placenta. La circolante l’ha poi
consegnata al laboratorio di analisi per gli esami istopatologici.
È allora che l’ostetrica, per chiudere l’incisione,
ha cominciato a dare i punti con fili di nylon della sottigliezza di
un capello, mentre la madre, prima di chiedere di vedere il neonato,
le raccomanda massima precisione nella sutura perché ha intenzione,
già dalla prossima estate, di indossare un tanga brasiliano.
Mentre è aspirato dal pediatra, Il bambino mostra il disagio
provocato dal fuoco di luce sulla DV Cam che il padre incide su di lui,
piangendo e scuotendo la testina, ma è subito sistemato dentro
un’incubatrice riscaldata, mentre il suo corpicino viene ripulito
con pezzi di cotone bagnati in soluzione fisiologica tiepida, e i suoi
occhi sono inumiditi da un goccio di collirio.
Solo ora l’incubatrice è spostata sulle rotelle verso la
madre, come un carrellino da tè, seguita dal corteo del pediatra,
la circolante, il padre-cineasta e il direttore, cui si aggiungono l’anestesista
e l’ostetrica, che ha già trasferito all’ausiliare
le procedure finali e può finalmente togliersi maschera e guanti
per proclamare con malcelato orgoglio: “Il bambino è perfetto,
un maschietto di cinquantaquattro centimetri, quattro chili e duecento
grammi. E allora? È felice la mamma?...”
Lei ha solo tredici anni e il suo corpo smilzo, il bacino ancora stretto,
non lasciano presagire niente di buono. Lo sa anche sua madre, che l’ha
accompagnata da quando le doglie sono iniziate, il giorno prima.
Nell’unica stanza della casupola il materasso sul pavimento è
ancora bagnato, e da lì la bambina guarda la mamma con grandi
occhi neri spalancati. La donna riesce già a toccare la testina
dell’embrione che si insinua dal collo dell’utero e grida
alla figlia: “Spingi forte! Forza, dai!” Ma le difficoltà
per il passaggio attraverso un canale così stretto sono ormai
evidenti.
La ragazza ci mette tutta la forza che può, e finisce per defecare.
La madre raccoglie le sue feci e le getta dietro le spalle, mentre continua
a gridarle. Il dolore è insopportabile. La ragazza urla a squarciagola
e all’improvviso sviene.
La madre è presa dalla disperazione. Sale sulla pancia della
figlia, si siede su di lei e con le natiche e con tutto il suo peso
spinge la pancia in giù, premendo il fondo dell’utero.
Spuntano la testa e una spalla del bimbo, che compresso nel canale del
parto espelle il liquido amniotico dai polmoni. La madre allora, nel
vedere le spalle fuori, si alza e si mette un’altra volta tra
le gambe della figlia.
Con le stringhe delle scarpe da tennis, lega in due punti il cordone
ombelicale e lo rompe con i denti. Poi sdraia il bambino accanto alla
madre inerte e comincia a massaggiarle la pancia per fare uscire la
placenta. E solo ora, guardando la placenta che scivola da dentro la
ragazza, scopre che il perineo si è rotto totalmente e che la
vagina e l’ano formano una sola grande cloaca grondante di sangue.
Il pensiero corre: come farà a spostarsi con la figlia in quello
stato al distante ospedale per le cure necessarie? Come farà
con il bimbo?
Sul materasso, accanto a sua madre, il neonato, nonostante i suoi poco
più di due chili, piange fortissimo e potentemente fino a svegliare
la ragazza, che girando la testa lo vede per la prima volta. La nonna
nel frattempo cerca un panno pulito per bloccare l’emorragia.
Il
pasto:
La
madre, preoccupata, ricorda al pediatra che non può allattare
il figlio. Ha inserito una protesi di silicone nei seni otto anni prima,
e non vuol rischiare di danneggiare la sua immagine. Rammenta poi all’ostetrica
di darle la ricetta per quelle iniezioni che asciugano il latte.
Il pediatra cerca allora di agire per il meglio: prepara la formula
bilanciata e sollecita alla banca del latte umano il colostro con il
quale cercherà di assicurare al bambino un’immunità
soddisfacente.
L’infermiera del reparto neonati prende un biberon sterilizzato
e facendo attenzione alla massima asepsi, lo riempie con il colostro
di una madre anonima già previamente sottoposta a tutte le sierologie
del caso.
Il bimbo, sentendo sulle sue labbra il caldo umido e l’odore del
colostro, è pronto a succhiare con avidità la tettarella
di silicone, fabbricato nella stessa industria che ha prodotto i seni
di sua madre. Poppa fino a sentire la bocca stanca e rilassata, per
poi immergersi in un sonno profondo e sazio, all’interno dell’incubatrice
riscaldata e sterile.
Le urla del figlio fanno rinvenire la ragazza, che trova la forza per
tirarlo con il braccio verso di sé. Il bambino è scivoloso
e sporco. Fili di paglia che sbucano dal materasso sono appiccicati
al suo corpo.
Lei lo sistema sul suo seno e guida il capezzolo tra le dita fino alle
sue labbra: il neonato comincia a succhiare, mentre le sue minuscole
mani premono la mammella della madre.
La ragazza sente allo stesso tempo il piacere di allattare il figlio
e una strana sensazione di leggerezza e di freddo, che le sale a poco
a poco dalle gambe, dalla pancia. Il freddo sembra fermarsi per qualche
momento all’altezza dei seni, permettendo al bambino di saziare
la sua fame.
Poi riprende la sua salita fino in fondo dopo che ha smesso di poppare,
addormentandosi aggrappato al seno materno.
Allora la vita nel corpo della ragazza-madre non si trattiene più.
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Da La passione del vuoto, Besa Editore,
2003