Prima di parlare del racconto
Nella città degli imperatori (*), vorrei esprimere ciò
che la Città significhi per me, persona reale.
La casa dove abitavo prima di emigrare
in Italia, è in periferia, vicino al mare, a circa 8-9 km a sud
di Atene. Il lungomare fa da confine, un punto di riferimento geografico
ed esistenziale. Lì, un motivo per avvicinarsi al mare lo si
trova sempre, mare e lungomare scandiscono la nostra esistenza: da ragazzini
andiamo a giocare, da giovani “andiamo a struscio”, da grandi
partecipiamo a feste religiose e parate patriottiche, da sempre passeggiamo
al primo sole di primavera.
*
«Stasera tutti al beach party
sul lungomare!»
«Mi ha lanciato uno sguardo sul lungomare che mi ha affondato
il cuore!»
«Se mi lascia, mi butto nel mare!»
*
Le strade, parallele o perpendicolari
al mare, ti portano ai quattro angoli del mondo. Se viaggi su quelle
perpendicolari sai che prima o poi raggiungerai il mare a sud, oppure
il Partenone, a nord. Sulle parallele, invece, prima o poi raggiungerai
il Pireo, ad ovest, o il capo Sounion, ad est.
Quando emigrai a Roma, dopo una prima fase di “tirocinio”
da migrante presso la Stazione Termini (di questo c’è un
piccolo racconto nel racconto Nella Città degli Imperatori) mi
sistemai nella periferia nord-ovest della capitale, a circa 7-8 km dal
centro, fra il complesso Ospedaliero Gemelli e il quartiere popolare
di Primavalle. Il mare non lo vedevo più ma ce n’erano
le traccia, i gabbiani che viaggiando sul Tevere arrivavano in città
e si appoggiavano su balconi, terrazzi e giardinetti.
Col tempo, ho imparato ad orientarmi anche a Roma: “giù”
è il centro, “su” è la periferia. La strada
che si chiama Pineta Sacchetti fa da confine fra Balduina e Primavalle,
rispettivamente la periferia “bene” e quella “popolare”.
Se abiti, come me, nei pressi di questa strada, sei “borderline”,
vale a dire che non sei né di qua, né di là.
In fondo, questa è anche la mia “location” esistenziale
preferita.
*
Questa estate sono tornata sul mio
lungomare e ho trovato quattro viadotti e altrettante complanari che
strisciavano davanti a casa mia. Sono scesa per andare in farmacia,
ho imboccato una strada a scorrimento veloce (quando non c’è
traffico) e mi sono trovata al Pireo, mentre stavo cercando la farmacia
sotto casa.
Alla fine ho capito: qualcuno ha scoperto che se sul bagnasciuga si
scarica tanta terra, il lungo mare si allunga, e si può costruire
strade, viadotti, uscite, tunnel, complanari e fare tanto denaro. E
chi se ne importa se sparisce il vecchio lungomare, hanno fregato il
mare, non è poco, lo hanno allontanato, deviato, gli hanno cambiato
i connotati.
Alla fine, dopo un’ora di sottopassaggi, ho imboccato una strada
abbandonata, cosparsa di antiche diligenze in disuso, carcasse di animali,
avvoltoi affamati e i miseri resti di una farmacia deserta. Era proprio
quella che cercavo…
La strada che mi portava sul lungomare è diventata una specie
di “Route 66”, un pezzo di ex città.
Basta! Torno a Roma, il mio quartiere adesso è il quasi-Primavalle-non-ancora-Balduina.
Voglio andare ai giardinetti vicino a Scuola mia, che la mattina sono
frequentati da studenti, sostituiti verso il primo pomeriggio da mamme,
nonne, bambini e passeggini e più tardi, sul calare della sera,
da coppiette in cerca d’intimità. Questi giardinetti sono
come il vecchio lungomare, scandiscono la nostra esistenza.
Ma oggi i giardinetti non li trovo più, li hanno buttati giù,
e al loro posto ci sono cinque viadotti, tre tunnel, una mini tangenziale,
quattro complanari e otto bretelle che scorrono velocemente e ti portano
di qua e di là in tempo zero.
Fra scuola e giardinetti c’era una casa e il piccolo negozio di
una vecchietta che vendeva cose carine ma seminascoste per paura dei
ladri. Non aveva paura della strada che le stava “mangiando”
la casa, solo dei ladri aveva paura la povera vecchietta. Adesso è
tutto sparito: negozietto, casa e cose carine mimetizzate, tutto buttato
via, ingoiato dal tunnel.
Ho il sospetto che se qualcuno scavasse sotto quella bretella di scorrimento,
potrebbe trovare la vecchietta ancora lì, nascosta nel tunnel,
a vendere cose carine mimetizzate per paura dei ladri.
*
Ho letto Le Città invisibili
di I. Calvino quando il racconto "La Città degli Imperatori"
era già in pubblicazione. La mia curiosità era motivata
dalla volontà di scoprire a quale delle tante città descritte
da Calvino la mia assomigliasse di più.
Già dalla prima, Diomira, trovo una somiglianza fra quelle “sessanta
cupole d’argento e statue di bronzo” e la “Città
degli Imperatori”. Ma l’analogia termina qui. Più
in là, incontro Isaura, dove il “paesaggio visibile condiziona
quello invisibile” e dopo ancora, Cloe, la grande città
dove “le persone che passano per le vie non si conoscono”,
e poi Bersabea, la città-pattumiera, e Teodora, dai “sotterranei
popolati da orde di ratti dilaganti” e persino Berenice, piena
di “materiali di fortuna nell’ombra di retrobotteghe e sottoscale”
.
Pur mantenendo un legame con ognuno di questi “topoi” leggendari,
la Città degli Imperatori è diversa, soprattutto perché
è dominata da un elemento nuovo, l’etere, il mezzo di propagazione
di onde elettromagnetiche che veicolano notizie, informazioni, dati,
novità vere e novità false che diventano manie, moda,
fissazioni, religioni, miti ma anche profitti, denaro e potere.
È l’era dei mass media, la comunicazione che serve ad alienare
“in tempo zero”.
Oggi le grandi città sono come fortificazioni medievali, entri
e non puoi nemmeno uscire quando vuoi, devi prima sintonizzarti con
l’etere che ti detta come, quando e dove puoi circolare, uscire
o rientrare.
Vorrei aprire una piccola parentesi per sottolineare che non è
nelle mie intenzioni discutere né polemizzare sull’opportunità
di realizzare opere viarie o altre strutture urbanistiche. Parlo solo
dell’effetto emotivo immediato sul cittadino medio che ha la cattiva
abitudine di voler vivere, non solo correre su strade scorrevoli.
Andare in farmacia sotto casa può diventare uno studio con tanti
spunti storico-culturali da spiegare agli studenti che alloggiano in
dormitori inaccessibili ai pedoni, dove la spesa si fa nell’ipermercato,
gli incontri più romantici sullo schermo e lo svago in luoghi
chiusi e a pagamento (cosa avete capito? Si chiamano palestre).
In questa Mediopolis, dove si punisce
con l’esclusione colui che indossa la scarpa portatrice di un
logo anziché di un altro ma probabilmente fabbricata nello stesso
posto e dalla stessa persona, ci sono luoghi strani dove si raccolgono
gli immigrati, gente straniera e diversa.
Ecco lo scenario della mia città, la Città degli Imperatori,
una città in subbuglio, avvolta da un fitto mistero che si sta
ingigantendo sotto i riflettori mediatici col passare delle ore. In
questa atmosfera inquietante, la protagonista si mette a cercare pur
non sapendo se l’oggetto della sua ricerca sia una persona viva
o un cadavere.
Nella pancia della Città, che ha le fattezze della capitale ma
è anche l’esemplificazione della Mediopolis, Berta sta
tracciando un percorso che porta alla fusione fra presente e passato,
degrado e grandiosità, fra il nuovo e il sempreuguale ripercorrendo
contraddizioni, incoerenze, disagi quotidiani e luoghi comuni ma che
porta anche alla scoperta di un angolo nascosto e inatteso.
Queste due dimensioni del viaggio sono vissute da chi ha imparato a
vivere e osservare la Città all’interno del guscio semitrasparente
dello straniero, un guscio che diventa sempre più nitido.
Nell’ “Antologia Pubblica”, oltre a Nella Città
degli Imperatori è incluso anche il racconto a La vecchia dalla
testa mozza, ambientato in tempi e luoghi lontani. Nonostante sostanziali
differenze nelle ambientazioni, personaggi e situazioni, i due racconti
hanno in comune l’atmosfera precaria dell’immigrazione,
e altro, che lascio scoprire al lettore.
Concludo con le parole di Marco Polo-Calvino.
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà;
se ce n’è uno, è quello che è già
qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando
insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile
a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto
di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione
e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in
mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli
spazio.”
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(*) Helene Paraskeva, La
Città degli Imperatori, in “Antologia Pubblica”,
a cura di Alessandro Ramberti, FaraEditore, 2005)