Atti del Quarto Convegno Nazionale
Culture e letteratura della migrazione - "Città identità culture"

Ferrara 15 - 16 aprile 2005

 

Introdurre la citta’ degli imperatori

Di Helene Paraskeva

 

Prima di parlare del racconto Nella città degli imperatori (*), vorrei esprimere ciò che la Città significhi per me, persona reale.

La casa dove abitavo prima di emigrare in Italia, è in periferia, vicino al mare, a circa 8-9 km a sud di Atene. Il lungomare fa da confine, un punto di riferimento geografico ed esistenziale. Lì, un motivo per avvicinarsi al mare lo si trova sempre, mare e lungomare scandiscono la nostra esistenza: da ragazzini andiamo a giocare, da giovani “andiamo a struscio”, da grandi partecipiamo a feste religiose e parate patriottiche, da sempre passeggiamo al primo sole di primavera.

*

«Stasera tutti al beach party sul lungomare!»
«Mi ha lanciato uno sguardo sul lungomare che mi ha affondato il cuore!»
«Se mi lascia, mi butto nel mare!»

*

Le strade, parallele o perpendicolari al mare, ti portano ai quattro angoli del mondo. Se viaggi su quelle perpendicolari sai che prima o poi raggiungerai il mare a sud, oppure il Partenone, a nord. Sulle parallele, invece, prima o poi raggiungerai il Pireo, ad ovest, o il capo Sounion, ad est.
Quando emigrai a Roma, dopo una prima fase di “tirocinio” da migrante presso la Stazione Termini (di questo c’è un piccolo racconto nel racconto Nella Città degli Imperatori) mi sistemai nella periferia nord-ovest della capitale, a circa 7-8 km dal centro, fra il complesso Ospedaliero Gemelli e il quartiere popolare di Primavalle. Il mare non lo vedevo più ma ce n’erano le traccia, i gabbiani che viaggiando sul Tevere arrivavano in città e si appoggiavano su balconi, terrazzi e giardinetti.
Col tempo, ho imparato ad orientarmi anche a Roma: “giù” è il centro, “su” è la periferia. La strada che si chiama Pineta Sacchetti fa da confine fra Balduina e Primavalle, rispettivamente la periferia “bene” e quella “popolare”. Se abiti, come me, nei pressi di questa strada, sei “borderline”, vale a dire che non sei né di qua, né di là.
In fondo, questa è anche la mia “location” esistenziale preferita.

*

Questa estate sono tornata sul mio lungomare e ho trovato quattro viadotti e altrettante complanari che strisciavano davanti a casa mia. Sono scesa per andare in farmacia, ho imboccato una strada a scorrimento veloce (quando non c’è traffico) e mi sono trovata al Pireo, mentre stavo cercando la farmacia sotto casa.
Alla fine ho capito: qualcuno ha scoperto che se sul bagnasciuga si scarica tanta terra, il lungo mare si allunga, e si può costruire strade, viadotti, uscite, tunnel, complanari e fare tanto denaro. E chi se ne importa se sparisce il vecchio lungomare, hanno fregato il mare, non è poco, lo hanno allontanato, deviato, gli hanno cambiato i connotati.
Alla fine, dopo un’ora di sottopassaggi, ho imboccato una strada abbandonata, cosparsa di antiche diligenze in disuso, carcasse di animali, avvoltoi affamati e i miseri resti di una farmacia deserta. Era proprio quella che cercavo…
La strada che mi portava sul lungomare è diventata una specie di “Route 66”, un pezzo di ex città.
Basta! Torno a Roma, il mio quartiere adesso è il quasi-Primavalle-non-ancora-Balduina. Voglio andare ai giardinetti vicino a Scuola mia, che la mattina sono frequentati da studenti, sostituiti verso il primo pomeriggio da mamme, nonne, bambini e passeggini e più tardi, sul calare della sera, da coppiette in cerca d’intimità. Questi giardinetti sono come il vecchio lungomare, scandiscono la nostra esistenza.
Ma oggi i giardinetti non li trovo più, li hanno buttati giù, e al loro posto ci sono cinque viadotti, tre tunnel, una mini tangenziale, quattro complanari e otto bretelle che scorrono velocemente e ti portano di qua e di là in tempo zero.
Fra scuola e giardinetti c’era una casa e il piccolo negozio di una vecchietta che vendeva cose carine ma seminascoste per paura dei ladri. Non aveva paura della strada che le stava “mangiando” la casa, solo dei ladri aveva paura la povera vecchietta. Adesso è tutto sparito: negozietto, casa e cose carine mimetizzate, tutto buttato via, ingoiato dal tunnel.
Ho il sospetto che se qualcuno scavasse sotto quella bretella di scorrimento, potrebbe trovare la vecchietta ancora lì, nascosta nel tunnel, a vendere cose carine mimetizzate per paura dei ladri.

*

Ho letto Le Città invisibili di I. Calvino quando il racconto "La Città degli Imperatori" era già in pubblicazione. La mia curiosità era motivata dalla volontà di scoprire a quale delle tante città descritte da Calvino la mia assomigliasse di più.
Già dalla prima, Diomira, trovo una somiglianza fra quelle “sessanta cupole d’argento e statue di bronzo” e la “Città degli Imperatori”. Ma l’analogia termina qui. Più in là, incontro Isaura, dove il “paesaggio visibile condiziona quello invisibile” e dopo ancora, Cloe, la grande città dove “le persone che passano per le vie non si conoscono”, e poi Bersabea, la città-pattumiera, e Teodora, dai “sotterranei popolati da orde di ratti dilaganti” e persino Berenice, piena di “materiali di fortuna nell’ombra di retrobotteghe e sottoscale” .
Pur mantenendo un legame con ognuno di questi “topoi” leggendari, la Città degli Imperatori è diversa, soprattutto perché è dominata da un elemento nuovo, l’etere, il mezzo di propagazione di onde elettromagnetiche che veicolano notizie, informazioni, dati, novità vere e novità false che diventano manie, moda, fissazioni, religioni, miti ma anche profitti, denaro e potere.
È l’era dei mass media, la comunicazione che serve ad alienare “in tempo zero”.
Oggi le grandi città sono come fortificazioni medievali, entri e non puoi nemmeno uscire quando vuoi, devi prima sintonizzarti con l’etere che ti detta come, quando e dove puoi circolare, uscire o rientrare.
Vorrei aprire una piccola parentesi per sottolineare che non è nelle mie intenzioni discutere né polemizzare sull’opportunità di realizzare opere viarie o altre strutture urbanistiche. Parlo solo dell’effetto emotivo immediato sul cittadino medio che ha la cattiva abitudine di voler vivere, non solo correre su strade scorrevoli.
Andare in farmacia sotto casa può diventare uno studio con tanti spunti storico-culturali da spiegare agli studenti che alloggiano in dormitori inaccessibili ai pedoni, dove la spesa si fa nell’ipermercato, gli incontri più romantici sullo schermo e lo svago in luoghi chiusi e a pagamento (cosa avete capito? Si chiamano palestre).

In questa Mediopolis, dove si punisce con l’esclusione colui che indossa la scarpa portatrice di un logo anziché di un altro ma probabilmente fabbricata nello stesso posto e dalla stessa persona, ci sono luoghi strani dove si raccolgono gli immigrati, gente straniera e diversa.
Ecco lo scenario della mia città, la Città degli Imperatori, una città in subbuglio, avvolta da un fitto mistero che si sta ingigantendo sotto i riflettori mediatici col passare delle ore. In questa atmosfera inquietante, la protagonista si mette a cercare pur non sapendo se l’oggetto della sua ricerca sia una persona viva o un cadavere.
Nella pancia della Città, che ha le fattezze della capitale ma è anche l’esemplificazione della Mediopolis, Berta sta tracciando un percorso che porta alla fusione fra presente e passato, degrado e grandiosità, fra il nuovo e il sempreuguale ripercorrendo contraddizioni, incoerenze, disagi quotidiani e luoghi comuni ma che porta anche alla scoperta di un angolo nascosto e inatteso.
Queste due dimensioni del viaggio sono vissute da chi ha imparato a vivere e osservare la Città all’interno del guscio semitrasparente dello straniero, un guscio che diventa sempre più nitido.
Nell’ “Antologia Pubblica”, oltre a Nella Città degli Imperatori è incluso anche il racconto a La vecchia dalla testa mozza, ambientato in tempi e luoghi lontani. Nonostante sostanziali differenze nelle ambientazioni, personaggi e situazioni, i due racconti hanno in comune l’atmosfera precaria dell’immigrazione, e altro, che lascio scoprire al lettore.
Concludo con le parole di Marco Polo-Calvino.
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”

________________________

(*) Helene Paraskeva, La Città degli Imperatori, in “Antologia Pubblica”, a cura di Alessandro Ramberti, FaraEditore, 2005)




Torna all'indice 

Torna alla prima pagina