Prologo
(Thabo Nkomo/London)
Canzone di un’anima affamata
Trascinati
nella fame e nella povertà,
uniscici
con catene che non possono essere spezzate;
armonizzaci e raffinaci
scivola e naviga con noi
con gentilezza
sicuri nella tempesta minacciosa.
Le onde vogliono le nostre anime,
lo squalo il sangue e il corpo.
Si è fatta notte,
la luna si rifiuta di brillare;
le stelle sono cadute,
il pericolo bussa alla porta;
gli artigli della morte ci confrontano.
Abolisci la paura e l’ignoranza,
tienci uniti al confine
dì alle montagne occidentali di accoglierci.
Dipingi di verde madre terra –
il rosso ci fa paura.
Asciugaci le lacrime, gentilmente,
ridonaci il sorriso
e promettici una tavola imbandita di vera giustizia.
Abbiamo fame di patate d’amore fritte,
di gentilezze di verdure,
di una zuppa di pace di Royco*
Arrosto, arista, agnello o pollo?
Dacci libertà di scelta
nel caso ti dimenticassi il tiramisù,
nel caso ci dimenticassimo la preghiera prima dei pasti.
* tipica zuppa dello Zimbabwe, a base di carne o verdure.
Alla stazione I
(Lam quang m/Varsavia)
Differenza
Le traversine
esistono per unire i binari
che soffrono separati
per far passare i treni
Ogni giorno,
due binari
sopportano il peso,
condividono la direzione
ma mai una.
Senza scopo
La sera discende sulle onde,
le onde sulla spiaggia.
La mia anima discende sul letto del mare,
il mare sull’orizzonte.
Qualcosa discende sul mio cuore
è un dolore, un desiderio, una pena.
L’amore discende nello spazio.
E sull’amore? cosa discende?
Binario vuoto
Io sono un bianrio vuoto
tu, un treno.
Quando arrivi – mi illumino della tua luce
quando parti – il binario si ritira nel vuoto
Quarta dimensione
Il mio spazio aveva tre dimensioni
troppo strette
E poi ho trovato la quarta
l’amore infinito
Alla stazione II
(José/Brussels)
Vengo dalla terra dove l’uomo ha scoperto il fuoco.
Sepolto nell’abbraccio di infinite catene montuose, l’impero
dei miei sogni, ecco dove’è il mio paese, là, dove
il sole brilla da migliaia di anni.
Io sono tra quelle migliaia di uomini e donne che hanno dovuto lasciare
il paese per cercare asilo altrove. Uomini armati senza sentimenti stavano
per uccidere una nazione, là, dove il vento trasportava col fumo
i segni di viltà.
(Bashir/London)
Il boato enorme si sentì proprio su quell’autobus affollato.
Io mi reggevo a una sbarra di metallo, e spingevo la mano di un altro
passeggero che per evitare di cadere
si era aggrappato ai miei pantaloni, una zona troppo vicina alle mie ...palle.
Avevo con me le carte per l’immigrazione e stavo andando al Consiglio
comunale britannico, un’organizzazione che molto gentilmente mi
aveva dato una borsa di studio. Improvvisamente ho perso l’equilibrio
e tutte le mie carte sono finite in grembo a un signore anziano che era
seduto. Prima di riuscire ad afferrarle, l’anziano signore aveva
dato una sbirciatina e con degli sporgenti occhietti a spillo e un’espressione
scioccata mi disse: “ Va a Londra?” Risposi di sì.
Lui con un balzo era scattato in piedi e mi aveva offerto il posto. Da
quella reazione ho pensato “sto andando in Paradiso, un Paradiso
chiamato Londra. Non sarò più insultato dai pachistani...
(Soheila/London)
Che viaggio! Sull’aereo mi sono divertita da morire. Non avevo
idea se quella era la cosa giusta da fare, con soli 100 dollari in tasca
e un biglietto di sola andata per un luogo sconosciuto, che avrei fatto
poi? E se Jalil e la sua famiglia non c’erano? Sarei andata alla
polizia a chiedere aiuto? No, quello non era possibile. E allora, cosa
avrei fatto? Mi ero ricordata di aver letto qualcosa di interessante:
nella lingua cinese, i simboli per esprimere ‘crisi’ sono
‘pericolo’ e ‘opportunità’. Forse per me
quella era l’opportunità che aspettavo, forse stavo per vedere
cose che non avevo mai visto e fare cose che non avevo mai fatto!
(Lola/Sibret)
Quando ho lasciato il mio paese, ero felice di vedere altri orizzonti,
altra gente, migliorarmi, dare quello che potevo dare. Mi ricordo quello
che un vecchio saggio mi aveva detto:”Quando sei dall’altro
lato del confine, mescolati alla gente del posto, cerca di integrarti”.
E allora decisi di andare incontro alla gente, presentarmi, dire “buon
giorno”, fare domande per conoscerli. Qualche volta cucino piatti
africani, invito un po’ di gente e si fa amicizia. Non mi importa
poi tanto il rifiuto, o essere guardata con disprezzo, ma ancora oggi
mi sento dire “salciccina mia”....
(Bashir/London)
Sull’aereo per Londra ho notato degli uomini bianchi che ballavano,
cantavano, fumavano e bevevano. Ho pensato “ Dio mio, Londra deve
essere un paradiso. Guardali”, ho pensato “sono così
felici di tornare a casa”. Ho continuato a fissarli finché
uno ha gridato “ma che cazzo guardi?” Ho sussultato, ho aperto
il dizionario per vedere che legame c’era tra ‘ma’,
‘cazzo’ e ‘guardare’. Non l’ho trovato ma
ho continuato a sorridere....
(Lola/Sibret)
Ho l’’impressione che vivendo all’estero non ci sia
consentito sbagliare, che bisogna scusarci sempre e che raramente qualcuno
prende le nostre difese quando ci troviamo nei guai. Ma non è buffo
che quando ho caldo la gente mi guardi in modo strano perché una
persona di colore non dovrebbe avere caldo?
(Varie voci)
Per sopravvivere all’estero, uno deve mettersi in ginocchio per
trovare degli amici. Sembra di camminare in un campo minato:
1. “Pensavo che al tuo paese la gente vivesse nelle capanne!”
2. “..............che gli elefanti passeggiassero nei vostri giardini!”
3. “..............che ti piacessi perché sono bianca!”
4. “..............che tu mi avessi comprato dei regali per farti
notare!”
5. “...............che tu fossi carina con me per ottenere dei soldi!”
6. “...............che tu fossi gentile per portarti a letto mio
marito!”
7. “...............che tu dessi poco e ricevessi tanto”
8. “...............che tu volessi rubarci i mariti!”
9. “........................e rubarci il lavoro!”
10. “...............che ti piacessero le patatine per apparire più
....belga!”
(Bashir/London)
Alla fine l’aereo ha toccato terra. Con un grande sorriso sulla
faccia sono andato all’ufficio immigrazioni dove c’era una
donna grossa; non una rosellina, per capirci. Mi guarda con occhi cupi
e dice: “Documenti, prego!” Le do i documenti, cioè
una carta d’identità emessa dal governo pachistano per i
rifugiati afgani. Era semplicemente un foglio formato A4, giallognolo,
simile a un giornale lasciato per anni alla pioggia e al sole. Lei lo
guarda e s’infuria. “Ma che cazzo è questo?”
urla.
Le carte mi sono cadute ed io mi sono piegato per cercare il dizionario
nella borsa; volevo cercare il nesso tra “che” “cazzo”
e “questo”.
(Soheila/Londra):
Un’ora dopo siamo arrivati all’hotel. Era un piccolo hotel
di campagna riservato ai rifugiati. Prima di entrare, ho guardato il cielo
e improvvisamente ho visto apparire due stelle. Erano più pallide
delle altre, come se fossero appena arrivate.
Ora sorridevo felice per avercela fatta. Una stella era più grande
delle altre ed io le avevo riconosciute entrambe. Erano due stelle nuove
che avevano finalmente raggiunto la meta, come mia figlia ed io. Mi sono
venuti in mente i giorni della mia adolescenza, la scuola, quella maledetta
lista e Mahnaz, il viaggio verso Mashad per incontrare Ali, il mio bel
sogno sulle stelle e gli incidenti accaduti a causa di quella lista.
(José/Brussels):
Da dove vengo io, qualcuno ha preso le stelle con le mani. Io vengo dalle
maestose Ande, dove i condor covano i loro sogni e gli Incas custodiscono
i loro segreti. E’ là, mi ha detto mia madre, che il sole
si riposa quando è stanco; è là che, al mattino,
l’oceano apre le sue ali a quelli che vogliono andare in cielo.
Io sono nato là, dove la riviera è eterna e la luna si nasconde
per viversi i suoi momenti di solitudine tra le costellazioni amiche.
I miei antenati erano degli eroi, i figli di grandi guerrieri. Io vengo
dal luogo dove hanno
scoperto il fuoco e poi hanno imparato a farlo con le proprie mani. Andavano
in giro nudi senza alcun timore. Il vento era trasparente e i loro occhi
parlavano un linguaggio divino. Io vengo da dove ogni uomo e ogni donna
ha qualcosa di divino in sé.
(Nell’oscurità del palco – solo voce)
(Thabo/Londra)
La cucina di Soli
Utensili d’oro
e d’argento
di legno
e di coccio
grandi e piccoli
da diversi negozi
vivono in armonia
nella cucina di Soli.
Il coltello da pane
e quello da carne
Il coltellone affilato
d’acciaio
non deride quelli piccoli.
Perfino le due tazze marroni
da caffè
comprate di seconda mano
non si sentono inferiori
nei mobiletti.
Un silenzio d’oro
dimora nella cucina
di Soli
I bicchieri da vino rosso
per San Valentino
sorridono alle forchette d’argento
comprate nel negozio del corso
e ridono con il tostapane
regalatole dalle Poste
per il suo compleanno.
Perfino il regalo
di Natale
dalla Cina
è rispettato.
Guarda la mano sterile
del panaio
scrivi sul muro
‘Gli uomini non vivono di solo pane’
Il portapane ha accettato
questa opinione.
Peccato
che il cuore di Neli
sia di pietra
Lei dice di aver paura della folla
e della violenza.
non ha che una forchetta
un coltello
un cucchiaio.
La cena è servita
con tanto sudore
e livore
nella cucina di Neli.
L’unico bicchiere da champagne
si è rotto ieri
rompendole il cuore.
Se solo imparasse da Soli
Ma perché tutte le cucine
non sono come quella di Soli?
Sull’autobus
(Sonia Pico Diaz/Ferrara – scritto da Jadelin M.Gangbo)
Il Fastidio
Interpreti
A- ragazza nera
V- voce maschile fuori campo
Scena unica
A è seduta su una sedia, la si vede di profilo, gli spettatori
fanno parte del mondo che lei vede attraverso il finestrino dell’autobus
in corsa A osserva il paesaggio, oscilla di tanto in tanto per i movimenti
bruschi del bus
A I passeggeri si grattano una guancia
A- E' uno schifo! E' uno schifo! Questo avevo detto dell'Africa due anni
fa.
Era settembre, la fine del settembre più lungo della mia vita,
preceduto da una preparazione interna, eterna, esterna, in qualunque modo
eterna. La notte prima della partenza non riuscivo a prendere sonno, sentivo
di essere sveglia e di dormire allo stesso tempo, sentivo il mio corpo
intraprendere infiniti movimenti pur restando immobile, paralizzata come
un sasso sotto una valanga.
Avevo voglia di grattarmi la pelle e non farlo, voglia di stringere i
denti e di tenere la bocca spalancata.
A rimane con la bocca spalancata
A- Ma sentivo di non essere io a decidere cosa fare.. perciò risi!
E intanto mio fratello era un negro sordido gettato affianco a me. I materassi
a terra, le tenebre profonde, l'odore morbido delle pelli e il suo sonno
che cessò a causa del mio ridere. Mi chiese se andava tutto bene,
se avessi voglia di fare un giro. Scalzi scavalcammo il davanzale della
finestra .. il mondo attorno a noi era così velato e assopito che
pareva potessimo attraversarlo interamente senza alcuna fatica, senza
paura. Partii la mattina dopo, solo con mia madre, lasciando sulla terra
gialla un fratello e un padre a fare quello che a loro piaceva e non piaceva
fare.
A tocca il finestrino dell’autobus
A- Per tutto il viaggio sull'aereo mia madre non disse nulla. Avevo fastidio
di questo.
Solo all'ora del pasto mi sorrise. La maggior parte dei passeggeri aveva
la pelle nera e davanti ai vassoi di carne, pane e verza , dopo tanto
silenzio, sfiatarono un sorriso e i loro denti bianchi splendevano come
neve. Si poteva iniziare a parlare. I progetti, le aspirazioni, le aspettative
prendevano forma ma c'era qualcosa che puzzava alle nostre spalle, Sì
sembrava vivamente che l' Africa puzzasse.
A volta la testa verso l' interno dell’autobus
A- Si vuole sedere signora? Venga ! Venga!
A si alza e si regge ad una delle traverse mentre la luce illumina la
sedia vacante
A- Di niente! Si figuri!
A oscilla per il movimento del bus, si guarda intorno, si accarezza la
guancia e torna a guardare fuori dal finestrino.
In strada (Tahar Lamri/ Ravenna)
Oggi è giovedì, di un mese che si era annunciato piovoso
fin dai primi giorni. Scendendo all’aeroporto di Bologna non mi
accoglie nessun profumo, le mie mani toccano soltanto la fredda ringhiera
della passerella. Nessuno mi aspetta. L’asfalto della pista è
di un nero compatto e liscio, come tutti i volti attorno a me, di cui
nessuno mi è familiare. I miei passi stranamente non sono incerti.
Il tragitto dall’aeroporto alla città è tanto breve
quanto solitario. Sono l’unico passeggero su un autobus ad uso di
chi non dispone di mezzi per prendere un taxi e di chi non ha nessuno
che lo aspetta all’aeroporto.
Recupero il bagaglio che consiste in un solitario zaino e scendo alla
stazione dell’autobus. Lo zaino è pesante. Anziché
metterlo sulle spalle, non so perché, lo tengo in mano come se
fosse una borsa. Il rosso dominante negli edifici della città mi
accoglie come uno schiaffo. Ora mi sento insicuro.
Non so se devo entrare in stazione oppure avviarmi verso il centro che
vedo indicato in un cartello con tre cerchi concentrici. Là davanti
a me, una specie di giardino, come un presagio, è pieno di barboni.
Volgo lo sguardo altrove. Tutto mi sembra lindo, liscio e ordinato. Il
traffico denso delle automobili sul viale là di fronte mi attira
irresistibilmente. Decido di andare in centro, un po’ per vedere
che aspetto ha, ma anche perché mi hanno detto che là si
trova il Centro Caritas, dove un piatto di pasta non si nega a nessuno.
Avrò fatto sì e no due passi quando quel poliziotto mi
strappò lo zaino dalle mani e ne rovesciò il contenuto per
terra. Venti chili di datteri.
(Sonia Pico Diaz/Ferrara)
A- Mio zio abitava già in Italia quando entrammo in casa sua,
i suoi figli avevano la mia età e vestivano Armani. Qualcosa squillava
nelle tasche e da lì sfilavano un telefono, giocavano e studiavano
con il computer e lo zio gli comprava le briosce e la pasta all'uovo,
i succhi d'arancia e qualsiasi cosa riempisse la dispensa di quell'appartamento
stretto come una fogna , dove un fornello sordido ed una lavatrice rigata
dalla ruggine bastavano ad occupare gran parte dello spazio. Avevamo appoggiato
i bagagli sopra un divano molle, a terra avrebbero intralciato il passaggio.
In quella stanza ci saremmo dovuti stare in cinque. Era un buco, un buco
fetido ma a me sembrava il paradiso. Corsi a guardare fuori dalla finestra
il mondo animato da gente bianca sulle automobili più svariate,
sui cartelloni pubblicitari e i bus, la gente in bicicletta e mia madre
dietro le spalle
A si volta
A- Mi accarezzò la testa e i denti splendevano.
Le dissi che era bellissimo, tutto; in confronto, l' Africa è uno
schifo.
A si tocca la guancia
A- Ancora oggi sento il rumore e il calore sulla mia guancia, vedo rabbia
e delusione nei suoi occhi.
In strada: (Simon/Varsavia):
E’ stato solo quando si è incamminato per strada, che l’evento
che poteva aver cambiato il destino di un ambizioso giornalista, si materializzò.
Sembrava proprio che il destino lo stesse aspettando: una donna in lacrime
che correva dietro a un tram in corsa, due bimbi che le correvano dietro,
della gente che la guardava stupefatta e allarmata. In quel momento, quasi
per miacolo, era apparsa una macchina della polizia che l’aveva
caricata a bordo ed era partita a tutta velocità dietro al tram.
I due bambini si erano fermati alla fermata dell’autobus ad aspettare
che tornasse la donna con delle notizie.
“E’ vostra madre? Ci sono notizie?”
Lui si rese conto che un giornalista indipendente non doveva pensare a
fare solo domande quando qualcosa stava accadendo proprio sotto i suoi
occhi. Aveva appena il tempo di correre all’ufficio, prendere la
telecamera e parlare con i bambini. Ma rimase bloccato dal peso delle
sue preoccupazioni.
La polizia era tornata e avevano scaricato la donna che piangeva. Uno
dei poliziotti era corso fuori dalla macchina e aveva riunito un gruppetto
di uomini che erano lì vicino. Due di loro, ammanettati, erano
stati spinti nella macchina. Il resto si era disperso in fretta.
“Lo so di aver deluso i miei lettori, oggi” disse lui. Avea
deciso di andare a casa a piedi. Era un modo per prendersi del tempo dalla
padrona di casa e riflettere su...quello che aveva appena visto.
(Sonia Pico Diaz/Ferrara)
A. La ragazza si siede di nuovo
A- Dicono che il fastidio te lo crei
A si gratta il naso
A- ..Dicono che sia una miserabile proiezione dell'intelletto!
Dell'intelletto - intelletto - intelletto!
Dicono che dopo agosto c'è settembre e le foglie ossidate cascano
a terra ...ma per la mia strada non ce ne sono! Questa è la mia
strada , cemento su cui corre il mio autobus, un autobus arancione, che
mi porta al lavoro, che mi fa infilare le scarpe , infilare il metano
e l' acqua nei tubi, e riempire il frigo di alici e le mie mani.....di
nulla.
A dal finestrino sposta l' attenzione sulle sue mani . Le ha sotto il
volto, lentamente si delinea il tratto della mano che divide il nero del
dorso dal bianco del palmo. Continua repentino il gesto
V- Mostra il bianco!
A continua la sua lotta
V- Perchè non mostri il bianco!
A continua la sua lotta
V- Fidati! Sei in un mondo bianco, io se fossi in te continuerei a fare
ciò che hai fatto fin'ora , non ha senso ciò che vorresti
essere, lascia che sia , fidati per dio, quietati, guardati intorno....
i passeggeri, cominci a dargli fastidio.
A si guarda intorno. I palmi sono in mostra , li porta verso le gambe
fino a nasconderli infilati tra le coscia
V- Dimmi di tuo fratello!
A- Non lo vedo da tanto!
V- Tanto quanto?
A- Che importanza ha ora!
V- Perchè sei qua allora ? Raccontami del tuo viaggio!
A piena di enfasi si alza dalla sedia
A- Tu sei interessato al mio viaggio? Tu vuoi sapere come sono venuta
qua? E' piacevole , è piacevole!
V- La gente, la gente, i passeggieri, rimettiti seduta per l' amor del
cielo !
A- E' piacevole - piacevole, e io ti racconterò ogni cosa !
V- Siediti per carità! ricomponiti!
A volteggia come se non avesse alcun peso e il viso terso la rende simile
ad una bambina .
A.La terra - la terra gialla si estende di qualità e profumi.
Tu l'hai mai sentito il profumo della terra che calpesti? E corri e corri
scalzo come un rettile, e musica , bimbi , aria, hai intorno aria ..e
i vecchi? ....le vecchie sui gradini, i vestiti bianchi che attenuano
la forza del sole,....loro chiaccherano di questo e di quello, i vecchi
di questo e della guerra; chiaccherano, ma noi ancora gnomi comprendiamo
che non ci deve interessare.
V- Ascolta....fammi la cortesia di sederti!
A- ....noi comprendiamo che non ci deve interessare perchè i manghi
sopra gli alberi crescono succosi e le papaye si gonfiano come dei palloni
e poi ancora di corsa fino alla riva piana dove trasparente il mare si
stacca e si attacca con le onde e i granchi come razzi forano la sabbia
...prova a prenderne uno!
V- Smetti !
A- Tu prova a prenderne uno prima che arrivi la sera . Pastelli e profumi
dipingono la sera finchè il sole è ancora caldo, pastelli
e profumi dipingono le nostre sale quando ci sediamo attorno al tavolo.
La magnocca fasciata di verdi foglie è lì in un piatto enorme
di fianco al fufu caldo e piccante, e i vecchi che parlavano della guerra
ora dicono che Abraham è stato reclutato alle armi e
l' intera famiglia Brahanne si è imbarcata lungo le coste che portano
in occidente.
V- Siediti ora !
A- Ma tu non mi stai ascoltando , tu, è vero che non mi stai ascoltando!
V- Per Dio, ricomponiti. I passeggeri... li stai infastidendo..hai capito?
Ora basta!
A- Perchè dici questo? Perchè li sto infastidendo?
V- Perchè sei nera! Guarda che confusione ..senti che cosa dicono?
A- Ma no, ti sbagli , io , io non c'entro niente!
Dicono che il fastidio te lo crei , dicono che sia una miserabile proiezione
del tuo intelletto
Loro fanno confusione perchè sono interessati al mio viaggio. E
tu?
Si riaprono le mani di A con i palmi voltati verso il pubblico
A- Fanno confusione soltanto perchè sono interessati , devi solo
sciegliere da che punto di vista guardare!
Intanto A rotea lentamente le mani
A- Ora bianche , ora nere, ora niente, bianche, nere, niente...tocca
a te scegliere cosa vedere . . E' una miserabile proiezione dell' intelletto.
(nell’oscurità del palco – solo voce)
(Thabo-Londra)
Mntakababa
Ecco
busso alle porte d’acciaio
chiuse a chiave
Apritele
le porte del vostro cuore
e guardate la pietà nei miei occhi
fatemi sedere
su comodi cuscini
mi basta una tazza di té zuccherato
biscotti assortiti per dare gioia al mio cuore
Non siate come il cugino Grey Bhonzo, mntakababa.
Siamo i colori
di uno stesso arcobaleno
I gusti diversi
non ci devono dividere
Io preferisco i bruchi
voi i gamberetti
io preferisco la Coca-cola
e voi la Pepsi-cola
o io la Fanta e voi la limonata
voi il caffé nero
e io il tè
l’Adidas, e voi Donnay.
Io preferisco predicare che insegnare
Preferisco il sole che scotta
al ghiaccio dell’inverno
ma il sangue no,
il sangue è lo stesso, mntakababa
Sì
proprio fratelli di sangue
un cuore
un corpo
Capiscimi
se vuoi essere capito
amami
se vuoi essere amato
Questo viaggio è un sogno
dall’inizio alla fine
dalla fine all’inizio.
Insieme
ce la possiamo fare
Sono i colori diversi
la bellezza dell’arcobaleno.
Insieme
il mondo sorride
lasciandosi dietro
i problemi irrisolti
che rattristano
le acque immobili
dell’azzuro mare.
Nell’amore,
le stelle brilleranno
sempre più
e la pioggia
cadrà leggera.
Arrivo con un cervello
una calabassa di saggezza
e ispirazione
per rafforzare la mente
del padrone.
Non sono venuto
percolonizzare
mntakababa!
In corte/nella sala d’attesa (Simon/Varsavia):
Sogno (notte del 16 dicembre 2003)
Ero l’ultimo passeggero a lutto a salire sull’aereo che portava
il morto a casa. Il morto era un giovane Camerunense. Essendo un sogno-realtà,
non conoscevo le esatte circostanze della morte. Sapevo solo che era morto
tragicamente.
Mentre cercavo di farmi strada per salire, dei ladri hanno attaccato
il nostro aereo proprio mentre si preparava a decollare. Uno di loro aveva
fatto un disperato tentativo di strapparmi la borsa di mano. E’
stato solo grazie a un pronto intervento da parte mia che non l’ha
presa, o perlomeno così ho pensato. Dopo essermi seduto, ho aperto
la borsa. Non c’era più niente. Non era rimasto che un cestino
di fragole spappolate che proprio non mi ricordavo di aver messo in borsa.
L’odore di marcio mi colpì come un pugno. Ecco come mi sono
alzato dal letto per iniziare la giornata.
In Corte
Quando sono entrato in corte e ho guardato l’accusato, il sogno
della notte prima tornò prepotentemente a galla. Arrestato dalla
polizia i primi di gennaio 2002, con una temperatura che oggi è
scesa molto sotto lo zero e le strade bianche dopo due giorni di neve,
O.J. sembrava meno capace di sopportare il terzo inverno di fila in prigione.
Si era fatto crescere la barba come Che Guevara. La grande differenza
tra i due era che si potevano contare le ossa che formavano le guance
di O.J. – era diventato magrissimo ed era spaventosamente pallido.
Riempiti la bocca d’acqua e cerca di parlare. E’ così
che cercava di comunicare con chi lo ascoltava. La sua bocca era sempre
piena di saliva che voleva sputare fuori. Questo non si poteva fare. In
una delle frasi che tradì come si sentiva, disse che aveva un buco
in gola.
Mi lancio col pensiero fuori dalla corte, dove la ragazza di O.J. va avanti
e indietro nel corridoio, senza sosta, con gli occhi pieni di lacrime.
Il loro bambino, che cresce forte e assomiglia al padre quando scoppiava
di salute, si divertiva a stare dietro alla madre. Il piccolo O.J., ora
di 18 mesi, era nato quando il padre era già in prigione.
Non avevano mai avuto l’opportunità di scambiarsi l’amore
che si scambiano un padre e un figlio.
L’udienza cominciò alle 10 e durò due ore. Quella
volta, e per la prima volta da quando era iniziato il processo, l’accusa
era un uomo. Erano stati ascoltati quattro nuovi testimoni, di cui tre
erano poliziotti. Due di loro dichiararono di non ricordarsi niente a
proposito di accuse mosse contro O.J. Il terzo poliziotto guardava degli
appunti che aveva preso prima, pezzi di conversazione tra il querelante
e l’accusato che in generale avvaloravano il fatto che erano amanti.
Anche lui quando fu il suo turno di testimoniare fece in fretta, rifiutandosi
di dare dettagli, eludendo con tatto le domande dell’accusa. Il
quarto testimone, una donna, confessò di avere udito dei rumori
provenire da una stanza vicina a quella dove abitava lei e, si pensa,
occupata da O.J. Ma in tutto quel tempo non aveva mai guardato O.J. e
non aveva mai visto il querelante. Come suo solito, la difesa di O.J.,
appuntata dallo Stato, non fece nessuna domanda durante l’udienza.
Il caso fu aggiornato al 6 febbraio 2004. Ci fu una baruffa perché
O.J. non voleva tornare in prigione. Insisteva che doveva essere rilasciato,
che preferiva morire piuttosto che subire di nuovo le pene a cui era stato
sottoposto. “Tutti quelli che vogliono prendere un pezzo del mio
corpo, lo devono fare qui, in questa corte!” I due poliziotti che
lo avevano portato in corte fecero un cenno ai colleghi. Subito da un
angolo sbucarono tre grossi poliziotti e uno di loro mi bloccò
in un angolo per motivi di sicurezza mentre O.J. veniva portato via. “Non
ti preoccupare O.J. Ti veniamo a trovare lunedì” dissi a
voce alta.
“Verrai a prendere la mia testa!” gridò.
Bread and Roses (Tahar/Ravenna)
-Raccontare il lavoro è un’impresa alquanto azzardata, poiché
se fino ad ora il lavoro è stato sempre visto come un’alienazione,
in questa fase della storia così indecisa, il lavoro è diventato
sinonimo di smarrimento e di bugie.
Alle quattro esatte del pomeriggio, come era scritto nel biglietto, mi
presentai davanti all’Ufficio del Lavoro. La giornata era stata
sorridente fino alle tre, poi il tempo si guastò. Guardai il cielo,
prima di entrare nel palazzo che ospita l’Ufficio del Lavoro.
Grosse nuvole si muovevano in fretta, spinte da un forte vento.
Un uomo, sulla quarantina, che usciva in quel momento, mi salutò.
Non lo conoscevo. Almeno non mi sembrava di conoscerlo.
L’ingresso dava su una scala buia. I muri a metà dipinti
di grigio, come d'altronde tutti gli uffici pubblici, finirono per incutermi
paura.
-"Forse mi conviene tornare sui miei passi" Dissi fra me.
Troppo tardi.
-“Ah Signor Buendìa, venga, venga” mi disse l’impiegato,
seduto dietro un banco, subito a sinistra, che non avevo notato. Avevo
guardato soltanto a destra. L'impiegato, malgrado il bancone che ci separava,
mi sembrò troppo vicino. Poi mi accorsi che questa impressione
la generava il suo corpo tarchiato e i suoi tratti grossolani. Forse anche
il naso troppo grande.
- “Tenga! Deve compilare questo formulario. Lo sa, le formalità.”
Mi disse con una voce che non mi sembrava quella di prima. Infatti c'era
un altro impiegato. Naturalmente è stato quest'ultimo a parlare.
– “Perché cavolo continuano a mandare queste cartoline
gialle, non lo so...” continuò il secondo impiegato, poi
rivolgendosi all'altro disse: "guarda c'è ancora scritto Ufficio
di Collocamento"
- “Perché? che c'è di strano? Sono vent'anni che c'è
quella dicitura”
- “Ma...”
- “Non c'è nessun ma, vada a fare il suo lavoro per favore,
ho molto da fare!”
Qualcuno da qualche parte batte a macchina, con due dita. Si sente. E'
molto lento. Dev'essere un uomo, le donne non battono mai a macchina così
ruomorosamente.
Fuori comincia a piovere. Fortemente.
Mi accorgo di essere in mezzo alla corrente, poiché il vento porta
dentro l’ufficio un pò di acqua piovana.
O forse mi sbaglio. Non sono mai stato preciso nel narrare fatti.
D'altronde non credo che la vita disponga i fatti in modo preciso, quindi...
Vedo una sedia spostarsi e un uomo con una divisa alzarsi e dirigersi
verso di me. La sua statura esagerata mi fa paura. Fuggo. Forse per paura
di bagnarmi, invece di fuggire per strada, salgo le scale di corsa, vedo
una porta socchiusa, la spingo ed entro. Una donna seduta davanti ad una
scrivania grigia batte a macchina, con due dita. Alza su di me gli occhi,
in uno sguardo interrogativo
- “Permesso?”
- “l'ufficio è aperto dalle due alle tre”
- “ho visto la porta socchiusa e sono entrato”
- “appunto...”
Esco dall'ufficio con la porta socchiusa, e ritorno sui miei passi. Il
gigante non mi ha seguito.
- “Ma dove era andato?”, mi dice l’impiegato seduto
dietro il banco a sinistra
- “Ah!” (dico sorridendo) “sono andato in bagno...”
- “Ha compilato la scheda?”
- “No... eh... mi scusi quale scheda?”
- “La scheda che gli ho dato prima”
Frugo nelle mie tasche ma non trovo nessuna scheda gialla. Ne trovo una
marrone e la porgo all'impiegato, appena la vede mi guarda in cagnesco
ma non capisco il perché.
- “Mi prende in giro? Questa è una scheda del tribunale”
- “Ah mi scusi, forse l'ho lasciata di sopra, quella gialla”
Ritorno su per le scale. Ai primi scalini mi viene in mente che sono due
giorni che non mangio.
Rivedo il mio tulipano, ormai senza petali e l’albero del pane che
ho piantato nel parco in centro.
“Anche oggi sono senza lavoro” mi dico per consolarmi.
Per strada (Lam Quang m./Varsavia)
Temporali
Un sole cattivo brillava,
bruciava gentilezza e percezioni,
risvegliava odio e rabbia.
Tuoni di speranza brillavano
e la pioggia cadente accarezzava
eppure non si sapeva
che gocce di veleno
formavano l’atmosfera
E il vento, prima gentile
come stanco,
diventò più forte, distruggendo tutto.
Siamo vivi dopo questi temporali
o anche prima?
La mia città (José/Brussels)
Una domenica pomeriggio stavo camminando con i miei due figli nel parco
di brussels. Ogni albero era diverso da quelli che mi ricordavo io, e
anche i fiori erano diversi, bellissimi, ma diversi. Poi, come per miracolo,
ho visto una rondine, uguale identica a quelle con cui giocavo da piccolo.
Allora ho pensato che apparteniamo tutti allo stesso mondo e che si condivide
lo stesso pianeta da sempre.
Mi piaceva sempre di più quella passeggiata, poi improvvisamente
ho visto una statua, un tributo dei belgi al massacro in Congo per l’uccisione
di Lubumba, un re che non aveva avuto pietà per nessuno.
Io ho adottato Brussels. L’ho fatta mia. Qui ci sono nati i miei
bambini. Questa è la mia città ed io ne faccio parte. Questa
città ci ama perché a noi piace com’è. Questa
città è vecchia come il tempo, come la sua cattedrale e
le sue strade. La vita scorre nelle strade e nelle piazze, i marciapiedi
sono coperti di escrementi di cani.
Questa città conosce l’indifferenza della gente, il pianto
dei bimbi, il numero di senza tetto e di barboni che camminano scalzi
cercando da mangiare. La mia città lo sa che c’è gente
coinvolta in attività clandestine, che cerca di non farsi prendere,
e sa anche che non molto lontano c’è una guerra. La mia città
non dorme sonni tranquilli. Soffre, e durante la notte ascolta le sue
pene. Noi lo capiamo in tanti modi: i neri, i bianchi, quelli alti, quelli
magri, belli, brutti, intelligenti, saggi, malati, sani.
Nessuno ha mai pensato che si deve essere tutti uguali. Viviamo tutti
insieme, non siamo stupidi, sopportiamo tutti, ma proprio tutti, come
se la città ci avesse stregato.
Questa città mi ricorda che siamo arrivati nudi, cercando di fuggire
a un regime, una stupida guerra religiosa ed etnica, e ci ha dato il benvenuto,
ha aperto le sue braccia per accogliere i nuovi arrivati.
Brussels! E’ a questa città che io ho affidato i miei sogni.
Frammento (Bashir/London)
Non avrei mai pensato di finire tra questi folli vicini, con le strade
che si chiamano Shakespeare, Milton e Drayton. Un posto dove Rao, un filosofo
indiano, è il proprietario del ristorante Taj e Lee è il
proprietario del take-away pechinese e....diuna figlia bellissima e inavvicinabile.
Arrivo in Inghilterra pieno di speranza. Pensavo di leggere le mie poesie
davanti a un pubblico inglese incantato. Invece, quando sono arrivato,
ho scoperto che l’Inghilterra è piena di poeti morti. Rao
era un lettore all’università del Bengala. Le sue polemiche
competenze possono facilmente provare che la regina d’Inghilterra
è indiana!
Infatti, può provare che tutto è indiano. Ma non sappiamo
cos’abbia fatto Lee in Cina. Lui non parla inglese. E nemmeno ne
ha bisogno.
Vedendo tutto questo caos mi chiedo cosa sarebbe successo a Tagore se
fosse stato un rifugiato in Inghilterra, come noi. Forse avrebbero dato
il suo nome a un piatto raffinato, come il “pollo Tagore al Tandoori”.
E cosa sarebbe stato di Shakespeare, se fosse stato un rifugiato in India?
Il proprietario del fish & chip di una Stratford bengalese, ovviamente!
Esperienze (Lola/Brussels)
......Alla fine, si vive sempre in un paese straniero anche se è
lì che abbiamo casa, in un paese che si chiama Bastogne, dove in
effetti, sono felice. I nostri bambini crescono tra due culture; dalla
nostra cultura imparano che gli adulti sono l’autorità che
li guida, perché da noi i bambini sono trattati da re, ma non da
piccoli adulti.
Nella vostra cultura, i bambini hanno il diritto di contraddire i genitori,
il diritto di giocare, il diritto di protestare, il diritto...il diritto...il
diritto, ma chi gli insegna che ci sono anche i doveri.
.....In Africa siamo sempre felici di accettare un regalo. Qui invece
il sistema funziona diversamente e...non abbiamo ancora capito cosa vuol
dire “sì” e “no” in Europa.
Qui la gente tende a offrirsi di aiutare in tanti modi e se diciamo “no”,
insistono che dovremmo accettare. Ma se alla fine si accetta, non sembrano
contenti nemmeno allora, e questo perché quando insistono di accettare,
lo fanno solo per mostrare che sono disponibili ad aiutare, tutto lì.
Dire “ti posso aiutare io”, non vuol dire “ti aiuto”.
E’ questo che ci lascia costernati! Vedere che chi si offre di aiutarci,
si lamenta di darci.
Mezzanotte profonda (Tahar/Ravenna)
… Nel mio cammino verso sud, mi fermo a Velingara dove due bambini
liberiani mi dicono “Ci sono stati combattimenti terribili vicino
a casa nostra. Allora siamo fuggiti. Abbiamo camminato, camminato e ancora
camminato. Siamo andati a Dakar, ma là non c’è niente
da fare, poi siamo scesi a Thiès. Forse è meglio andare
a Bamako. Se non ce la facciamo neanche lì andremo ad Abidjan.”
A Dialakoto, incontro due talibé. Bassirou, il più giovane
mi racconta che si alza all’alba, e dopo aver fatto la preghiera,
prende il suo vecchio barattolo di pomodori e così percorre la
città porgendo il barattolo agli uomini di buona volontà.
Mi dice che ha ormai imparato diversi capitoli del Corano, adesso che
ha tre anni di “daara” alle spalle, e che se non porta abbastanza
soldi la sera il Marabout lo bastona.
Mi fa anche vedere alcuni segni, “però sono più
fortunato di quello lì” dice, indicandomi un bambino che
veniva dalla nostra parte. Arrivato alla nostra altezza il bambino dice:
“Salve, sono Iqbal Massih, vengo dal Pakistan. Ho otto anni e lavoro
18 ore in una fabbrica di tappeti per riscattare il debito contratto dalla
mia famiglia per far sposare mia sorella. Sono stato assassinato un 16
aprile perché avevo detto: “non comprate il sangue dei bambini”,
però più che per me, piango per lui là, e mi indica
un altro bambino, che veniva dalla parte di Dienoun Diala, questi dice:
“Ciao sono Mirko di madre serba e di padre bosniaco, mio nonno
era croato e mia nonna slovena, mio bisnonno montenegrino e mia bisnonna
macedone. Non so dove andare. Questo mio amico - e mi indica un bambino
che veniva da Niokolo Koba - può venire con te? Il bambino, mi
dice: “Non ho un nome, mia madre era Tutsi e mio padre Hutu, vengo
dal Ruanda”
Poi sono arrivati tanti altri bambini. Non li posso ricordare tutti.
C’erano bambini Rom che venivano da Roma, bambini turchi che venivano
dalla Germania, bambini presi in trappola nella Casbah, bambini della
Cambogia, poi c’era una bambina nuda, in bianco e nero, perché
veniva dalla memoria, era vietnamita. Tanti bambini, da Medellin e da
Cartagena, da Bandung e da Brescia.
Abbiamo formato una lunga colonna. Poi quando siamo arrivati a Niokolo
Koba, all’entrata del Parco Nazionale di Tambacounda, tutti i bambini
si sono trasformati: chi in zebra, chi in elefante, chi in koala, chi
in airone e c’è persino chi ha scelto di essere una leggera,
leggerissima cavalletta.
Io ho proseguito il mio viaggio a Fodekounda, né triste né
contento. Cercavo negli occhi della selva i miei amici senza trovarne
alcuno. Ad un certo punto sento un baobab millenario che mi chiama. Il
baobab è l’unico albero, che per forma, assomiglia ai narratori,
perché quando è spoglio sembra aver le radici per aria.
Abbraccio i suoi dieci metri di circonferenza, mi arrampico sui suoi rami.
Arrivato quasi in cima mi faccio un nido e sto lì.
Da allora, io Nicola di Mira, dopo aver abbandonato le mie renne e sparso
inutilmente i doni ai quattro angoli della terra, non sono più
sceso dal mio baobab.
EPILOGO (ThaboNkomo/Londra)
PIETA’
Ascolta il mio grido
Signore, io piango.
Asciuga queste lacrime
che solcano il viso
Ripara il mio cuore rotto
sanguinante
La sporcizia
di questo scuro mondo
ha attaccato
quest’anima ferita
L’ingiustizia
mi ha espulso
dalla terra madre
La mano crudele del Faraone
non ha pietà.
Le pecore al pascolo
non possono non belare
quando la risata della iena
echeggia nelle mie orecchie
Tremo.
Stringo identi
Ruggisco come un leone
Gli alberi di foreste sempreverdi
sono stati forzati
a far cadere le foglie
Guarda
il lilium è appassito
Ti prego
Signore
dammi una vita nuova
Ti prego
voglio raccontare ai miei nipoti
la favola di Cenerentola
Hanno assoldato degli ignoranti
per dipingermi la faccia
con i colori e i pennelli sbagliati
La mia faccia
non è pericolosa come quella
Sono nero
ma il cuore è bianco come la neve
O Signore
Guarda le mie mani
sono pulite
Ti bacio i piedi
chiedo pietà
Tra le tue braccia
proteggimi dai venti avversi
di un mondo che si è perso
un mondo perso e città
città perse e paesi
paesi persi e case
case perse e strade
strade perse e anime
anime
perse
Versione Italiana
Prologo (Thabo Nkomo/London)
Canzone di un’anima affamata
Trascinati
nella fame e nella povertà,
uniscici
con catene che non possono essere spezzate;
armonizzaci e raffinaci
scivola e naviga con noi
con gentilezza
sicuri nella tempesta minacciosa.
Le onde vogliono le nostre anime,
lo squalo il sangue e il corpo.
Si è fatta notte,
la luna si rifiuta di brillare;
le stelle sono cadute,
il pericolo bussa alla porta;
gli artigli della morte ci confrontano.
Abolisci la paura e l’ignoranza,
tienci uniti al confine
dì alle montagne occidentali di accoglierci.
Dipingi di verde madre terra –
il rosso ci fa paura.
Asciugaci le lacrime, gentilmente,
ridonaci il sorriso
e promettici una tavola imbandita di vera giustizia.
Abbiamo fame di patate d’amore fritte,
di gentilezze di verdure,
di una zuppa di pace di Royco*
Arrosto, arista, agnello o pollo?
Dacci libertà di scelta
nel caso ti dimenticassi il tiramisù,
nel caso ci dimenticassimo la preghiera prima dei pasti.
• tipica zuppa dello Zimbabwe, a base di carne o verdure.
Alla stazione I
(Lam quang m/Varsavia)
Differenza
Le traversine
esistono per unire i binari
che soffrono separati
per far passare i treni
Ogni giorno,
due binari
sopportano il peso,
condividono la direzione
ma mai una.
Senza scopo
La sera discende sulle onde,
le onde sulla spiaggia.
La mia anima discende sul letto del mare,
il mare sull’orizzonte.
Qualcosa discende sul mio cuore
è un dolore, un desiderio, una pena.
L’amore discende nello spazio.
E sull’amore? cosa discende?
Binario vuoto
Io sono un bianrio vuoto
tu, un treno.
Quando arrivi – mi illumino della tua luce
quando parti – il binario si ritira nel vuoto
Quarta dimensione
Il mio spazio aveva tre dimensioni
troppo strette
E poi ho trovato la quarta
l’amore infinito
Alla stazione II
(José/Brussels)
Vengo dalla terra dove l’uomo ha scoperto il fuoco.
Sepolto nell’abbraccio di infinite catene montuose, l’impero
dei miei sogni, ecco dove’è il mio paese, là, dove
il sole brilla da migliaia di anni.
Io sono tra quelle migliaia di uomini e donne che hanno dovuto lasciare
il paese per cercare asilo altrove. Uomini armati senza sentimenti stavano
per uccidere una nazione, là, dove il vento trasportava col fumo
i segni di viltà.
(Bashir/London)
Il boato enorme si sentì proprio su quell’autobus affollato.
Io mi reggevo a una sbarra di metallo, e spingevo la mano di un altro
passeggero che per evitare di cadere
si era aggrappato ai miei pantaloni, una zona troppo vicina alle mie ...palle.
Avevo con me le carte per l’immigrazione e stavo andando al Consiglio
comunale britannico, un’organizzazione che molto gentilmente mi
aveva dato una borsa di studio. Improvvisamente ho perso l’equilibrio
e tutte le mie carte sono finite in grembo a un signore anziano che era
seduto. Prima di riuscire ad afferrarle, l’anziano signore aveva
dato una sbirciatina e con degli sporgenti occhietti a spillo e un’espressione
scioccata mi disse: “ Va a Londra?” Risposi di sì.
Lui con un balzo era scattato in piedi e mi aveva offerto il posto. Da
quella reazione ho pensato “sto andando in Paradiso, un Paradiso
chiamato Londra. Non sarò più insultato dai pachistani...
(Soheila/London)
Che viaggio! Sull’aereo mi sono divertita da morire. Non avevo
idea se quella era la cosa giusta da fare, con soli 100 dollari in tasca
e un biglietto di sola andata per un luogo sconosciuto, che avrei fatto
poi? E se Jalil e la sua famiglia non c’erano? Sarei andata alla
polizia a chiedere aiuto? No, quello non era possibile. E allora, cosa
avrei fatto? Mi ero ricordata di aver letto qualcosa di interessante:
nella lingua cinese, i simboli per esprimere ‘crisi’ sono
‘pericolo’ e ‘opportunità’. Forse per me
quella era l’opportunità che aspettavo, forse stavo per vedere
cose che non avevo mai visto e fare cose che non avevo mai fatto!
(Lola/Sibret)
Quando ho lasciato il mio paese, ero felice di vedere altri orizzonti,
altra gente, migliorarmi, dare quello che potevo dare. Mi ricordo quello
che un vecchio saggio mi aveva detto:”Quando sei dall’altro
lato del confine, mescolati alla gente del posto, cerca di integrarti”.
E allora decisi di andare incontro alla gente, presentarmi, dire “buon
giorno”, fare domande per conoscerli. Qualche volta cucino piatti
africani, invito un po’ di gente e si fa amicizia. Non mi importa
poi tanto il rifiuto, o essere guardata con disprezzo, ma ancora oggi
mi sento dire “salciccina mia”....
(Bashir/London)
Sull’aereo per Londra ho notato degli uomini bianchi che ballavano,
cantavano, fumavano e bevevano. Ho pensato “ Dio mio, Londra deve
essere un paradiso. Guardali”, ho pensato “sono così
felici di tornare a casa”. Ho continuato a fissarli finché
uno ha gridato “ma che cazzo guardi?” Ho sussultato, ho aperto
il dizionario per vedere che legame c’era tra ‘ma’,
‘cazzo’ e ‘guardare’. Non l’ho trovato ma
ho continuato a sorridere....
(Lola/Sibret)
Ho l’’impressione che vivendo all’estero non ci sia
consentito sbagliare, che bisogna scusarci sempre e che raramente qualcuno
prende le nostre difese quando ci troviamo nei guai. Ma non è buffo
che quando ho caldo la gente mi guardi in modo strano perché una
persona di colore non dovrebbe avere caldo?
(Varie voci)
Per sopravvivere all’estero, uno deve mettersi in ginocchio per
trovare degli amici. Sembra di camminare in un campo minato:
11. “Pensavo che al tuo paese la gente vivesse nelle capanne!”
12. “..............che gli elefanti passeggiassero nei vostri giardini!”
13. “..............che ti piacessi perché sono bianca!”
14. “..............che tu mi avessi comprato dei regali per farti
notare!”
15. “...............che tu fossi carina con me per ottenere dei
soldi!”
16. “...............che tu fossi gentile per portarti a letto mio
marito!”
17. “...............che tu dessi poco e ricevessi tanto”
18. “...............che tu volessi rubarci i mariti!”
19. “........................e rubarci il lavoro!”
20. “...............che ti piacessero le patatine per apparire più
....belga!”
(Bashir/London)
Alla fine l’aereo ha toccato terra. Con un grande sorriso sulla
faccia sono andato all’ufficio immigrazioni dove c’era una
donna grossa; non una rosellina, per capirci. Mi guarda con occhi cupi
e dice: “Documenti, prego!” Le do i documenti, cioè
una carta d’identità emessa dal governo pachistano per i
rifugiati afgani. Era semplicemente un foglio formato A4, giallognolo,
simile a un giornale lasciato per anni alla pioggia e al sole. Lei lo
guarda e s’infuria. “Ma che cazzo è questo?”
urla.
Le carte mi sono cadute ed io mi sono piegato per cercare il dizionario
nella borsa; volevo cercare il nesso tra “che” “cazzo”
e “questo”.
(Soheila/Londra):
Un’ora dopo siamo arrivati all’hotel. Era un piccolo hotel
di campagna riservato ai rifugiati. Prima di entrare, ho guardato il cielo
e improvvisamente ho visto apparire due stelle. Erano più pallide
delle altre, come se fossero appena arrivate.
Ora sorridevo felice per avercela fatta. Una stella era più grande
delle altre ed io le avevo riconosciute entrambe. Erano due stelle nuove
che avevano finalmente raggiunto la meta, come mia figlia ed io. Mi sono
venuti in mente i giorni della mia adolescenza, la scuola, quella maledetta
lista e Mahnaz, il viaggio verso Mashad per incontrare Ali, il mio bel
sogno sulle stelle e gli incidenti accaduti a causa di quella lista.
(José/Brussels):
Da dove vengo io, qualcuno ha preso le stelle con le mani. Io vengo dalle
maestose Ande, dove i condor covano i loro sogni e gli Incas custodiscono
i loro segreti. E’ là, mi ha detto mia madre, che il sole
si riposa quando è stanco; è là che, al mattino,
l’oceano apre le sue ali a quelli che vogliono andare in cielo.
Io sono nato là, dove la riviera è eterna e la luna si nasconde
per viversi i suoi momenti di solitudine tra le costellazioni amiche.
I miei antenati erano degli eroi, i figli di grandi guerrieri. Io vengo
dal luogo dove hanno
scoperto il fuoco e poi hanno imparato a farlo con le proprie mani. Andavano
in giro nudi senza alcun timore. Il vento era trasparente e i loro occhi
parlavano un linguaggio divino. Io vengo da dove ogni uomo e ogni donna
ha qualcosa di divino in sé.
(Nell’oscurità del palco – solo voce) (Thabo/Londra)
La cucina di Soli
Utensili d’oro
e d’argento
di legno
e di coccio
grandi e piccoli
da diversi negozi
vivono in armonia
nella cucina di Soli.
Il coltello da pane
e quello da carne
Il coltellone affilato
d’acciaio
non deride quelli piccoli.
Perfino le due tazze marroni
da caffè
comprate di seconda mano
non si sentono inferiori
nei mobiletti.
Un silenzio d’oro
dimora nella cucina
di Soli
I bicchieri da vino rosso
per San Valentino
sorridono alle forchette d’argento
comprate nel negozio del corso
e ridono con il tostapane
regalatole dalle Poste
per il suo compleanno.
Perfino il regalo
di Natale
dalla Cina
è rispettato.
Guarda la mano sterile
del panaio
scrivi sul muro
‘Gli uomini non vivono di solo pane’
Il portapane ha accettato
questa opinione.
Peccato
che il cuore di Neli
sia di pietra
Lei dice di aver paura della folla
e della violenza.
non ha che una forchetta
un coltello
un cucchiaio.
La cena è servita
con tanto sudore
e livore
nella cucina di Neli.
L’unico bicchiere da champagne
si è rotto ieri
rompendole il cuore.
Se solo imparasse da Soli
Ma perché tutte le cucine
non sono come quella di Soli?
Sull’autobus
(Sonia Pico Diaz/Ferrara – scritto da Jadelin M.Gangbo)
Il Fastidio
Interpreti
A- ragazza nera
V- voce maschile fuori campo
Scena unica
A è seduta su una sedia, la si vede di profilo, gli spettatori
fanno parte del mondo che lei vede attraverso il finestrino dell’autobus
in corsa
A osserva il paesaggio, oscilla di tanto in tanto per i movimenti bruschi
del bus
A I passeggeri si grattano una guancia
A- E' uno schifo! E' uno schifo! Questo avevo detto dell'Africa due anni
fa.
Era settembre, la fine del settembre più lungo della mia vita,
preceduto da una preparazione interna, eterna, esterna, in qualunque modo
eterna. La notte prima della partenza non riuscivo a prendere sonno, sentivo
di essere sveglia e di dormire allo stesso tempo, sentivo il mio corpo
intraprendere infiniti movimenti pur restando immobile, paralizzata come
un sasso sotto una valanga.
Avevo voglia di grattarmi la pelle e non farlo, voglia di stringere i
denti e di tenere la bocca spalancata.
A rimane con la bocca spalancata
A- Ma sentivo di non essere io a decidere cosa fare.. perciò risi!
E intanto mio fratello era un negro sordido gettato affianco a me. I materassi
a terra, le tenebre profonde, l'odore morbido delle pelli e il suo sonno
che cessò a causa del mio ridere. Mi chiese se andava tutto bene,
se avessi voglia di fare un giro. Scalzi scavalcammo il davanzale della
finestra .. il mondo attorno a noi era così velato e assopito che
pareva potessimo attraversarlo interamente senza alcuna fatica, senza
paura. Partii la mattina dopo, solo con mia madre, lasciando sulla terra
gialla un fratello e un padre a fare quello che a loro piaceva e non piaceva
fare.
A tocca il finestrino dell’autobus
A- Per tutto il viaggio sull'aereo mia madre non disse nulla. Avevo fastidio
di questo.
Solo all'ora del pasto mi sorrise. La maggior parte dei passeggeri aveva
la pelle nera e davanti ai vassoi di carne, pane e verza , dopo tanto
silenzio, sfiatarono un sorriso e i loro denti bianchi splendevano come
neve. Si poteva iniziare a parlare. I progetti, le aspirazioni, le aspettative
prendevano forma ma c'era qualcosa che puzzava alle nostre spalle, Sì
sembrava vivamente che l' Africa puzzasse.
A volta la testa verso l' interno dell’autobus
B- Si vuole sedere signora? Venga ! Venga!
A si alza e si regge ad una delle traverse mentre la luce illumina la
sedia vacante
A- Di niente! Si figuri!
A oscilla per il movimento del bus, si guarda intorno, si accarezza la
guancia e torna a guardare fuori dal finestrino.
In strada (Tahar Lamri/ Ravenna)
Oggi è giovedì, di un mese che si era annunciato piovoso
fin dai primi giorni. Scendendo all’aeroporto di Bologna non mi
accoglie nessun profumo, le mie mani toccano soltanto la fredda ringhiera
della passerella. Nessuno mi aspetta. L’asfalto della pista è
di un nero compatto e liscio, come tutti i volti attorno a me, di cui
nessuno mi è familiare. I miei passi stranamente non sono incerti.
Il tragitto dall’aeroporto alla città è tanto breve
quanto solitario. Sono l’unico passeggero su un autobus ad uso di
chi non dispone di mezzi per prendere un taxi e di chi non ha nessuno
che lo aspetta all’aeroporto.
Recupero il bagaglio che consiste in un solitario zaino e scendo alla
stazione dell’autobus. Lo zaino è pesante. Anziché
metterlo sulle spalle, non so perché, lo tengo in mano come se
fosse una borsa. Il rosso dominante negli edifici della città mi
accoglie come uno schiaffo. Ora mi sento insicuro.
Non so se devo entrare in stazione oppure avviarmi verso il centro che
vedo indicato in un cartello con tre cerchi concentrici. Là davanti
a me, una specie di giardino, come un presagio, è pieno di barboni.
Volgo lo sguardo altrove. Tutto mi sembra lindo, liscio e ordinato. Il
traffico denso delle automobili sul viale là di fronte mi attira
irresistibilmente. Decido di andare in centro, un po’ per vedere
che aspetto ha, ma anche perché mi hanno detto che là si
trova il Centro Caritas, dove un piatto di pasta non si nega a nessuno.
Avrò fatto sì e no due passi quando quel poliziotto mi
strappò lo zaino dalle mani e ne rovesciò il contenuto per
terra. Venti chili di datteri.
(Sonia Pico Diaz/Ferrara)
A- Mio zio abitava già in Italia quando entrammo in casa sua,
i suoi figli avevano la mia età e vestivano Armani. Qualcosa squillava
nelle tasche e da lì sfilavano un telefono, giocavano e studiavano
con il computer e lo zio gli comprava le briosce e la pasta all'uovo,
i succhi d'arancia e qualsiasi cosa riempisse la dispensa di quell'appartamento
stretto come una fogna , dove un fornello sordido ed una lavatrice rigata
dalla ruggine bastavano ad occupare gran parte dello spazio. Avevamo appoggiato
i bagagli sopra un divano molle, a terra avrebbero intralciato il passaggio.
In quella stanza ci saremmo dovuti stare in cinque. Era un buco, un buco
fetido ma a me sembrava il paradiso. Corsi a guardare fuori dalla finestra
il mondo animato da gente bianca sulle automobili più svariate,
sui cartelloni pubblicitari e i bus, la gente in bicicletta e mia madre
dietro le spalle
A si volta
A- Mi accarezzò la testa e i denti splendevano.
Le dissi che era bellissimo, tutto; in confronto, l' Africa è uno
schifo.
A si tocca la guancia
A- Ancora oggi sento il rumore e il calore sulla mia guancia, vedo rabbia
e delusione nei suoi occhi.
(nell’oscurità del palco –solo voce) (Thabo-Londra)
Mntakababa
Ecco
busso alle porte d’acciaio
chiuse a chiave
Apritele
le porte del vostro cuore
e guardate la pietà nei miei occhi
fatemi sedere
su comodi cuscini
mi basta una tazza di té zuccherato
biscotti assortiti per dare gioia al mio cuore
Non siate come il cugino Grey Bhonzo, mntakababa.
Siamo i colori
di uno stesso arcobaleno
I gusti diversi
non ci devono dividere
Io preferisco i bruchi
voi i gamberetti
io preferisco la Coca-cola
e voi la Pepsi-cola
o io la Fanta e voi la limonata
voi il caffé nero
e io il tè
l’Adidas, e voi Donnay.
Io preferisco predicare che insegnare
Preferisco il sole che scotta
al ghiaccio dell’inverno
ma il sangue no,
il sangue è lo stesso, mntakababa
Sì
proprio fratelli di sangue
un cuore
un corpo
Capiscimi
se vuoi essere capito
amami
se vuoi essere amato
Questo viaggio è un sogno
dall’inizio alla fine
dalla fine all’inizio.
Insieme
ce la possiamo fare
Sono i colori diversi
la bellezza dell’arcobaleno.
Insieme
il mondo sorride
lasciandosi dietro
i problemi irrisolti
che rattristano
le acque immobili
dell’azzuro mare.
Nell’amore,
le stelle brilleranno
sempre più
e la pioggia
cadrà leggera.
Arrivo con un cervello
una calabassa di saggezza
e ispirazione
per rafforzare la mente
del padrone.
Non sono venuto
percolonizzare
mntakababa!
In strada: (Simon/Varsavia):
E’ stato solo quando si è incamminato per strada, che l’evento
che poteva aver cambiato il destino di un ambizioso giornalista, si materializzò.
Sembrava proprio che il destino lo stesse aspettando: una donna in lacrime
che correva dietro a un tram in corsa, due bimbi che le correvano dietro,
della gente che la guardava stupefatta e allarmata. In quel momento, quasi
per miacolo, era apparsa una macchina della polizia che l’aveva
caricata a bordo ed era partita a tutta velocità dietro al tram.
I due bambini si erano fermati alla fermata dell’autobus ad aspettare
che tornasse la donna con delle notizie.
“E’ vostra madre? Ci sono notizie?”
Lui si rese conto che un giornalista indipendente non doveva pensare a
fare solo domande quando qualcosa stava accadendo proprio sotto i suoi
occhi. Aveva appena il tempo di correre all’ufficio, prendere la
telecamera e parlare con i bambini. Ma rimase bloccato dal peso delle
sue preoccupazioni.
La polizia era tornata e avevano scaricato la donna che piangeva. Uno
dei poliziotti era corso fuori dalla macchina e aveva riunito un gruppetto
di uomini che erano lì vicino. Due di loro, ammanettati, erano
stati spinti nella macchina. Il resto si era disperso in fretta.
“Lo so di aver deluso i miei lettori, oggi” disse lui. Avea
deciso di andare a casa a piedi. Era un modo per prendersi del tempo dalla
padrona di casa e riflettere su...quello che aveva appena visto.
(Sonia Pico Diaz/Ferrara)
A. La ragazza si siede di nuovo
B- Dicono che il fastidio te lo crei
A si gratta il naso
A- ..Dicono che sia una miserabile proiezione dell'intelletto!
Dell'intelletto - intelletto - intelletto!
Dicono che dopo agosto c'è settembre e le foglie ossidate cascano
a terra ...ma per la mia strada non ce ne sono! Questa è la mia
strada , cemento su cui corre il mio autobus, un autobus arancione, che
mi porta al lavoro, che mi fa infilare le scarpe , infilare il metano
e l' acqua nei tubi, e riempire il frigo di alici e le mie mani.....di
nulla.
A dal finestrino sposta l' attenzione sulle sue mani . Le ha sotto il
volto, lentamente si delinea il tratto della mano che divide il nero del
dorso dal bianco del palmo. Continua repentino il gesto
V- Mostra il bianco!
A continua la sua lotta
V- Perchè non mostri il bianco!
A continua la sua lotta
V- Fidati! Sei in un mondo bianco, io se fossi in te continuerei a fare
ciò che hai fatto fin'ora , non ha senso ciò che vorresti
essere, lascia che sia , fidati per dio, quietati, guardati intorno....
i passeggeri, cominci a dargli fastidio.
A si guarda intorno. I palmi sono in mostra , li porta verso le gambe
fino a nasconderli infilati tra le coscia
V- Dimmi di tuo fratello!
A- Non lo vedo da tanto!
V- Tanto quanto?
A- Che importanza ha ora!
VI- Perchè sei qua allora ? Raccontami del tuo viaggio!
A piena di enfasi si alza dalla sedia
A- Tu sei interessato al mio viaggio? Tu vuoi sapere come sono venuta
qua? E' piacevole , è piacevole!
V- La gente, la gente, i passeggieri, rimettiti seduta per l' amor del
cielo !
A- E' piacevole - piacevole, e io ti racconterò ogni cosa !
VI- Siediti per carità! ricomponiti!
A volteggia come se non avesse alcun peso e il viso terso la rende simile
ad una bambina .
A- La terra - la terra gialla si estende di qualità e profumi.
Tu l'hai mai sentito il profumo della terra che calpesti? E corri e corri
scalzo come un rettile, e musica , bimbi , aria, hai intorno aria ..e
i vecchi? ....le vecchie sui gradini, i vestiti bianchi che attenuano
la forza del sole,....loro chiaccherano di questo e di quello, i vecchi
di questo e della guerra; chiaccherano, ma noi ancora gnomi comprendiamo
che non ci deve interessare.
V- Ascolta....fammi la cortesia di sederti!
A- ....noi comprendiamo che non ci deve interessare perchè i manghi
sopra gli alberi crescono succosi e le papaye si gonfiano come dei palloni
e poi ancora di corsa fino alla riva piana dove trasparente il mare si
stacca e si attacca con le onde e i granchi come razzi forano la sabbia
...prova a prenderne uno!
V- Smetti !
A- Tu prova a prenderne uno prima che arrivi la sera . Pastelli e profumi
dipingono la sera finchè il sole è ancora caldo, pastelli
e profumi dipingono le nostre sale quando ci sediamo attorno al tavolo.
La magnocca fasciata di verdi foglie è lì in un piatto enorme
di fianco al fufu caldo e piccante, e i vecchi che parlavano della guerra
ora dicono che Abraham è stato reclutato alle armi e
l' intera famiglia Brahanne si è imbarcata lungo le coste che portano
in occidente.
V- Siediti ora !
A- Ma tu non mi stai ascoltando , tu, è vero che non mi stai ascoltando!
V- Per Dio, ricomponiti. I passeggeri... li stai infastidendo..hai capito?
Ora basta!
A- Perchè dici questo? Perchè li sto infastidendo?
V- Perchè sei nera! Guarda che confusione ..senti che cosa dicono?
A- Ma no, ti sbagli , io , io non c'entro niente!
Dicono che il fastidio te lo crei , dicono che sia una miserabile proiezione
del tuo intelletto
Loro fanno confusione perchè sono interessati al mio viaggio. E
tu?
Si riaprono le mani di A con i palmi voltati verso il pubblico
A- Fanno confusione soltanto perchè sono interessati , devi solo
sciegliere da che punto di vista guardare!
Intanto A rotea lentamente le mani
A- Ora bianche , ora nere, ora niente, bianche, nere, niente...tocca
a te scegliere cosa vedere . . E' una miserabile proiezione dell' intelletto.
In corte/nella sala d’attesa (Simon/Varsavia):
Sogno (notte del 16 dicembre 2003)
Ero l’ultimo passeggero a lutto a salire sull’aereo che portava
il morto a casa. Il morto era un giovane Camerunense. Essendo un sogno-realtà,
non conoscevo le esatte circostanze della morte. Sapevo solo che era morto
tragicamente.
Mentre cercavo di farmi strada per salire, dei ladri hanno attaccato
il nostro aereo proprio mentre si preparava a decollare. Uno di loro aveva
fatto un disperato tentativo di strapparmi la borsa di mano. E’
stato solo grazie a un pronto intervento da parte mia che non l’ha
presa, o perlomeno così ho pensato. Dopo essermi seduto, ho aperto
la borsa. Non c’era più niente. Non era rimasto che un cestino
di fragole spappolate che proprio non mi ricordavo di aver messo in borsa.
L’odore di marcio mi colpì come un pugno. Ecco come mi sono
alzato dal letto per iniziare la giornata.
In Corte
Quando sono entrato in corte e ho guardato l’accusato, il sogno
della notte prima tornò prepotentemente a galla. Arrestato dalla
polizia i primi di gennaio 2002, con una temperatura che oggi è
scesa molto sotto lo zero e le strade bianche dopo due giorni di neve,
O.J. sembrava meno capace di sopportare il terzo inverno di fila in prigione.
Si era fatto crescere la barba come Che Guevara. La grande differenza
tra i due era che si potevano contare le ossa che formavano le guance
di O.J. – era diventato magrissimo ed era spaventosamente pallido.
Riempiti la bocca d’acqua e cerca di parlare. E’ così
che cercava di comunicare con chi lo ascoltava. La sua bocca era sempre
piena di saliva che voleva sputare fuori. Questo non si poteva fare. In
una delle frasi che tradì come si sentiva, disse che aveva un buco
in gola.
Mi lancio col pensiero fuori dalla corte, dove la ragazza di O.J. va avanti
e indietro nel corridoio, senza sosta, con gli occhi pieni di lacrime.
Il loro bambino, che cresce forte e assomiglia al padre quando scoppiava
di salute, si divertiva a stare dietro alla madre. Il piccolo O.J., ora
di 18 mesi, era nato quando il padre era già in prigione.
Non avevano mai avuto l’opportunità di scambiarsi l’amore
che si scambiano un padre e un figlio.
L’udienza cominciò alle 10 e durò due ore. Quella
volta, e per la prima volta da quando era iniziato il processo, l’accusa
era un uomo. Erano stati ascoltati quattro nuovi testimoni, di cui tre
erano poliziotti. Due di loro dichiararono di non ricordarsi niente a
proposito di accuse mosse contro O.J. Il terzo poliziotto guardava degli
appunti che aveva preso prima, pezzi di conversazione tra il querelante
e l’accusato che in generale avvaloravano il fatto che erano amanti.
Anche lui quando fu il suo turno di testimoniare fece in fretta, rifiutandosi
di dare dettagli, eludendo con tatto le domande dell’accusa. Il
quarto testimone, una donna, confessò di avere udito dei rumori
provenire da una stanza vicina a quella dove abitava lei e, si pensa,
occupata da O.J. Ma in tutto quel tempo non aveva mai guardato O.J. e
non aveva mai visto il querelante. Come suo solito, la difesa di O.J.,
appuntata dallo Stato, non fece nessuna domanda durante l’udienza.
Il caso fu aggiornato al 6 febbraio 2004. Ci fu una baruffa perché
O.J. non voleva tornare in prigione. Insisteva che doveva essere rilasciato,
che preferiva morire piuttosto che subire di nuovo le pene a cui era stato
sottoposto. “Tutti quelli che vogliono prendere un pezzo del mio
corpo, lo devono fare qui, in questa corte!” I due poliziotti che
lo avevano portato in corte fecero un cenno ai colleghi. Subito da un
angolo sbucarono tre grossi poliziotti e uno di loro mi bloccò
in un angolo per motivi di sicurezza mentre O.J. veniva portato via. “Non
ti preoccupare O.J. Ti veniamo a trovare lunedì” dissi a
voce alta.
“Verrai a prendere la mia testa!” gridò.
Bread and Roses (Tahar/Ravenna)
-Raccontare il lavoro è un’impresa alquanto azzardata, poiché
se fino ad ora il lavoro è stato sempre visto come un’alienazione,
in questa fase della storia così indecisa, il lavoro è diventato
sinonimo di smarrimento e di bugie.
Alle quattro esatte del pomeriggio, come era scritto nel biglietto, mi
presentai davanti all’Ufficio del Lavoro. La giornata era stata
sorridente fino alle tre, poi il tempo si guastò. Guardai il cielo,
prima di entrare nel palazzo che ospita l’Ufficio del Lavoro.
Grosse nuvole si muovevano in fretta, spinte da un forte vento.
Un uomo, sulla quarantina, che usciva in quel momento, mi salutò.
Non lo conoscevo. Almeno non mi sembrava di conoscerlo.
L’ingresso dava su una scala buia. I muri a metà dipinti
di grigio, come d'altronde tutti gli uffici pubblici, finirono per incutermi
paura.
-"Forse mi conviene tornare sui miei passi" Dissi fra me.
Troppo tardi. -“Ah Signor Buendìa, venga, venga” mi
disse l’impiegato, seduto dietro un banco, subito a sinistra, che
non avevo notato. Avevo guardato soltanto a destra. L'impiegato, malgrado
il bancone che ci separava, mi sembrò troppo vicino. Poi mi accorsi
che questa impressione la generava il suo corpo tarchiato e i suoi tratti
grossolani. Forse anche il naso troppo grande.
- “Tenga! Deve compilare questo formulario. Lo sa, le formalità.”
Mi disse con una voce che non mi sembrava quella di prima. Infatti c'era
un altro impiegato. Naturalmente è stato quest'ultimo a parlare.
– “Perché cavolo continuano a mandare queste cartoline
gialle, non lo so...” continuò il secondo impiegato, poi
rivolgendosi all'altro disse: "guarda c'è ancora scritto Ufficio
di Collocamento"
- “Perché? che c'è di strano? Sono vent'anni che c'è
quella dicitura”
- “Ma...”
- “Non c'è nessun ma, vada a fare il suo lavoro per favore,
ho molto da fare!”
Qualcuno da qualche parte batte a macchina, con due dita. Si sente. E'
molto lento. Dev'essere un uomo, le donne non battono mai a macchina così
ruomorosamente.
Fuori comincia a piovere. Fortemente.
Mi accorgo di essere in mezzo alla corrente, poiché il vento porta
dentro l’ufficio un pò di acqua piovana.
O forse mi sbaglio. Non sono mai stato preciso nel narrare fatti.
D'altronde non credo che la vita disponga i fatti in modo preciso, quindi...
Vedo una sedia spostarsi e un uomo con una divisa alzarsi e dirigersi
verso di me. La sua statura esagerata mi fa paura. Fuggo. Forse per paura
di bagnarmi, invece di fuggire per strada, salgo le scale di corsa, vedo
una porta socchiusa, la spingo ed entro. Una donna seduta davanti ad una
scrivania grigia batte a macchina, con due dita. Alza su di me gli occhi,
in uno sguardo interrogativo
- “Permesso?”
- “l'ufficio è aperto dalle due alle tre”
- “ho visto la porta socchiusa e sono entrato”
- “appunto...”
Esco dall'ufficio con la porta socchiusa, e ritorno sui miei passi. Il
gigante non mi ha seguito.
- “Ma dove era andato?”, mi dice l’impiegato seduto
dietro il banco a sinistra
- “Ah!” (dico sorridendo) “sono andato in bagno...”
- “Ha compilato la scheda?”
- “No... eh... mi scusi quale scheda?”
- “La scheda che gli ho dato prima”
Frugo nelle mie tasche ma non trovo nessuna scheda gialla. Ne trovo una
marrone e la porgo all'impiegato, appena la vede mi guarda in cagnesco
ma non capisco il perché.
- “Mi prende in giro? Questa è una scheda del tribunale”
- “Ah mi scusi, forse l'ho lasciata di sopra, quella gialla”
Ritorno su per le scale. Ai primi scalini mi viene in mente che sono due
giorni che non mangio.
Rivedo il mio tulipano, ormai senza petali e l’albero del pane che
ho piantato nel parco in centro.
“Anche oggi sono senza lavoro” mi dico per consolarmi.
Per strada (Lam Quang m./Varsavia)
Temporali
Un sole cattivo brillava,
bruciava gentilezza e percezioni,
risvegliava odio e rabbia.
Tuoni di speranza brillavano
e la pioggia cadente accarezzava
eppure non si sapeva
che gocce di veleno
formavano l’atmosfera
E il vento, prima gentile
come stanco,
diventò più forte, distruggendo tutto.
Siamo vivi dopo questi temporali
o anche prima?
La mia città (José/Brussels)
Una domenica pomeriggio stavo camminando con i miei due figli nel parco
di brussels. Ogni albero era diverso da quelli che mi ricordavo io, e
anche i fiori erano diversi, bellissimi, ma diversi. Poi, come per miracolo,
ho visto una rondine, uguale identica a quelle con cui giocavo da piccolo.
Allora ho pensato che apparteniamo tutti allo stesso mondo e che si condivide
lo stesso pianeta da sempre.
Mi piaceva sempre di più quella passeggiata, poi improvvisamente
ho visto una statua, un tributo dei belgi al massacro in Congo per l’uccisione
di Lubumba, un re che non aveva avuto pietà per nessuno.
Io ho adottato Brussels. L’ho fatta mia. Qui ci sono nati i miei
bambini. Questa è la mia città ed io ne faccio parte. Questa
città ci ama perché a noi piace com’è. Questa
città è vecchia come il tempo, come la sua cattedrale e
le sue strade. La vita scorre nelle strade e nelle piazze, i marciapiedi
sono coperti di escrementi di cani.
Questa città conosce l’indifferenza della gente, il pianto
dei bimbi, il numero di senza tetto e di barboni che camminano scalzi
cercando da mangiare. La mia città lo sa che c’è gente
coinvolta in attività clandestine, che cerca di non farsi prendere,
e sa anche che non molto lontano c’è una guerra. La mia città
non dorme sonni tranquilli. Soffre, e durante la notte ascolta le sue
pene. Noi lo capiamo in tanti modi: i neri, i bianchi, quelli alti, quelli
magri, belli, brutti, intelligenti, saggi, malati, sani.
Nessuno ha mai pensato che si deve essere tutti uguali. Viviamo tutti
insieme, non siamo stupidi, sopportiamo tutti, ma proprio tutti, come
se la città ci avesse stregato.
Questa città mi ricorda che siamo arrivati nudi, cercando di fuggire
a un regime, una stupida guerra religiosa ed etnica, e ci ha dato il benvenuto,
ha aperto le sue braccia per accogliere i nuovi arrivati.
Brussels! E’ a questa città che io ho affidato i miei sogni.
Frammento (Bashir/London)
Non avrei mai pensato di finire tra questi folli vicini, con le strade
che si chiamano Shakespeare, Milton e Drayton. Un posto dove Rao, un filosofo
indiano, è il proprietario del ristorante Taj e Lee è il
proprietario del take-away pechinese e....diuna figlia bellissima e inavvicinabile.
Arrivo in Inghilterra pieno di speranza. Pensavo di leggere le mie poesie
davanti a un pubblico inglese incantato. Invece, quando sono arrivato,
ho scoperto che l’Inghilterra è piena di poeti morti. Rao
era un lettore all’università del Bengala. Le sue polemiche
competenze possono facilmente provare che la regina d’Inghilterra
è indiana!
Infatti, può provare che tutto è indiano. Ma non sappiamo
cos’abbia fatto Lee in Cina. Lui non parla inglese. E nemmeno ne
ha bisogno.
Vedendo tutto questo caos mi chiedo cosa sarebbe successo a Tagore se
fosse stato un rifugiato in Inghilterra, come noi. Forse avrebbero dato
il suo nome a un piatto raffinato, come il “pollo Tagore al Tandoori”.
E cosa sarebbe stato di Shakespeare, se fosse stato un rifugiato in India?
Il proprietario del fish & chip di una Stratford bengalese, ovviamente!
Esperienze (Lola/Brussels)
......Alla fine, si vive sempre in un paese straniero anche se è
lì che abbiamo casa, in un paese che si chiama Bastogne, dove in
effetti, sono felice. I nostri bambini crescono tra due culture; dalla
nostra cultura imparano che gli adulti sono l’autorità che
li guida, perché da noi i bambini sono trattati da re, ma non da
piccoli adulti.
Nella vostra cultura, i bambini hanno il diritto di contraddire i genitori,
il diritto di giocare, il diritto di protestare, il diritto...il diritto...il
diritto, ma chi gli insegna che ci sono anche i doveri.
.....In Africa siamo sempre felici di accettare un regalo. Qui invece
il sistema funziona diversamente e...non abbiamo ancora capito cosa vuol
dire “sì” e “no” in Europa.
Qui la gente tende a offrirsi di aiutare in tanti modi e se diciamo “no”,
insistono che dovremmo accettare. Ma se alla fine si accetta, non sembrano
contenti nemmeno allora, e questo perché quando insistono di accettare,
lo fanno solo per mostrare che sono disponibili ad aiutare, tutto lì.
Dire “ti posso aiutare io”, non vuol dire “ti aiuto”.
E’ questo che ci lascia costernati! Vedere che chi si offre di aiutarci,
si lamenta di darci.
Mezzanotte profonda (Tahar Lamri /Ravenna)
… Nel mio cammino verso sud, mi fermo a Velingara dove due bambini
liberiani mi dicono “Ci sono stati combattimenti terribili vicino
a casa nostra. Allora siamo fuggiti. Abbiamo camminato, camminato e ancora
camminato. Siamo andati a Dakar, ma là non c’è niente
da fare, poi siamo scesi a Thiès. Forse è meglio andare
a Bamako. Se non ce la facciamo neanche lì andremo ad Abidjan.”
A Dialakoto, incontro due talibé. Bassirou, il più giovane
mi racconta che si alza all’alba, e dopo aver fatto la preghiera,
prende il suo vecchio barattolo di pomodori e così percorre la
città porgendo il barattolo agli uomini di buona volontà.
Mi dice che ha ormai imparato diversi capitoli del Corano, adesso che
ha tre anni di “daara” alle spalle, e che se non porta abbastanza
soldi la sera il Marabout lo bastona.
Mi fa anche vedere alcuni segni, “però sono più fortunato
di quello lì” dice, indicandomi un bambino che veniva dalla
nostra parte. Arrivato alla nostra altezza il bambino dice:
“Salve, sono Iqbal Massih, vengo dal Pakistan. Ho otto anni e lavoro
18 ore in una fabbrica di tappeti per riscattare il debito contratto dalla
mia famiglia per far sposare mia sorella. Sono stato assassinato un 16
aprile perché avevo detto: “non comprate il sangue dei bambini”,
però più che per me, piango per lui là, e mi indica
un altro bambino, che veniva dalla parte di Dienoun Diala, questi dice:
“Ciao sono Mirko di madre serba e di padre bosniaco, mio nonno
era croato e mia nonna slovena, mio bisnonno montenegrino e mia bisnonna
macedone. Non so dove andare. Questo mio amico - e mi indica un bambino
che veniva da Niokolo Koba - può venire con te? Il bambino, mi
dice: “Non ho un nome, mia madre era Tutsi e mio padre Hutu, vengo
dal Ruanda”
Poi sono arrivati tanti altri bambini. Non li posso ricordare tutti. C’erano
bambini Rom che venivano da Roma, bambini turchi che venivano dalla Germania,
bambini presi in trappola nella Casbah, bambini della Cambogia, poi c’era
una bambina nuda, in bianco e nero, perché veniva dalla memoria,
era vietnamita. Tanti bambini, da Medellin e da Cartagena, da Bandung
e da Brescia.
Abbiamo formato una lunga colonna. Poi quando siamo arrivati a Niokolo
Koba, all’entrata del Parco Nazionale di Tambacounda, tutti i bambini
si sono trasformati: chi in zebra, chi in elefante, chi in koala, chi
in airone e c’è persino chi ha scelto di essere una leggera,
leggerissima cavalletta.
Io ho proseguito il mio viaggio a Fodekounda, né triste né
contento. Cercavo negli occhi della selva i miei amici senza trovarne
alcuno. Ad un certo punto sento un baobab millenario che mi chiama. Il
baobab è l’unico albero, che per forma, assomiglia ai narratori,
perché quando è spoglio sembra aver le radici per aria.
Abbraccio i suoi dieci metri di circonferenza, mi arrampico sui suoi rami.
Arrivato quasi in cima mi faccio un nido e sto lì.
Da allora, io Nicola di Mira, dopo aver abbandonato le mie renne e sparso
inutilmente i doni ai quattro angoli della terra, non sono più
sceso dal mio baobab.
EPILOGO (ThaboNkomo/Londra)
PIETA’
Ascolta il mio grido
Signore, io piango.
Asciuga queste lacrime
che solcano il viso
Ripara il mio cuore rotto
sanguinante
La sporcizia
di questo scuro mondo
ha attaccato
quest’anima ferita
L’ingiustizia
mi ha espulso
dalla terra madre
La mano crudele del Faraone
non ha pietà.
Le pecore al pascolo
non possono non belare
quando la risata della iena
echeggia nelle mie orecchie
Tremo.
Stringo identi
Ruggisco come un leone
Gli alberi di foreste sempreverdi
sono stati forzati
a far cadere le foglie
Guarda
il lilium è appassito
Ti prego
Signore
dammi una vita nuova
Ti prego
voglio raccontare ai miei nipoti
la favola di Cenerentola
Hanno assoldato degli ignoranti
per dipingermi la faccia
con i colori e i pennelli sbagliati
La mia faccia
non è pericolosa come quella
Sono nero
ma il cuore è bianco come la neve
O Signore
Guarda le mie mani
sono pulite
Ti bacio i piedi
chiedo pietà
Tra le tue braccia
proteggimi dai venti avversi
di un mondo che si è perso
un mondo perso e città
città perse e paesi
paesi persi e case
case perse e strade
strade perse e anime
anime
perse
|
Versione inglese
Prologue:
(Thabo Nkomo/London)
Song of the hungry spirit
As we are drawn
in hunger and poverty,
bind us together
with codes that cannot be broken;
blend and refine us and
gently glide and sail with us
safely through the unfriendly storm.
Sea waves long for our souls,
jaws of the shark for our flesh and blood.
Darkness has fallen,
the moon refuses to shine;
the stars have fallen,
danger knocks at the door;
claws of death confront us.
Demolish fear and ignorance,
unite us to the bridge across;
tell the Western mountains to give us a warm welcome.
Paint the carpet of mother earth green –
red carpet we fear.
Gently wipe away our flowing tears,
bring back our smiles
and promise us a delicious Sunday roast of true justice.
We salivate for the fried potatoes of love,
green veggies of kindness,
a peaceful and warm Royco gravy.
Beef roast, pork, lamb or chicken?
Give us the freedom of choice
lest you forget the Yorkshire pudding,
lest we forget the grace before meals.
At the station I
(Lam Quang m/Warsaw):
Difference
Railway sleepers
live to join two rails .
that live apart in pain
for the use of daily trains
Two rails each day will bear
the weight,
sharing direction
but never one
Aimless
Evening descends on waves,
waves upon the shore.
My soul descends on the seabed,
the sea to the horizon.
Something descends upon my heart
as sorrow, longing, pain.
Love descends on space.
And what descends on love?
Empty Platform
I am a desert platform
You, a train.
When yuo arrive – I schine in your light
train gone-the platform drows in
emptiness.
Four dimension
My space had three diemension-
too tight
And then I found the forth-
Love without end.
At the station II
(José/Brussels)
I come from where man discovered fire.
Buried in the arms of endless chains of mountains, the empire of my dreams,
that is where my country is, there, where the sun has been shining for
thousands of years.
I am amongst the thousands of men and women who had to leave that country
to seek refuge elsewhere. Armed men devoid of feeling were poised to kill
the nation, there, where the wind blew signs of cowardice on clouds of
smoke.
(Bashir/London)
The greatest bang happened in that very crowded bus, when I was hanging
on to a loose iron bar, pushing the hand of another passenger, who was
grabbing my trousers in an area far too close to my balls, in order to
prevent himself from falling into the road. I was carrying my immigration
papers on my way to the British Council, an
organisation that had kindly provided me a scholarship. Suddenly I lost
control
and my papers fell into the lap of an elderly, seated, passenger. Before
I could reach out to collect the papers, the old man managed to glance
at them and, with his piercing eyes bulging out of their sockets and a
massively shocked expression, he asked me: “Are you going to London?”
My response was affirmative, “yes”. Immediately he jumped
out of his seat and offered it to me. From this reaction I realised that
I must be going to Heaven, one called London. The time had come to end
Pakistanis spitting on me. . .
(Soheila/London):
What a journey! On the plane, I had the most exhilarating time of my
life, I truly didn’t know if I was doing the right thing and with
only 100 Dollars in my pocket, plus our one-way ticket to an unfamiliar
place, what would I do there? What if Jalil and his family weren’t
there? Should I go to the police and ask for help? No, that was certainly
a ridiculous thing to do. So, what else could I do? I remembered that
not long ago I had read something interesting: in the Chinese language,
the characters for ‘crisis’ are ‘danger’ and ‘opportunity’.
Maybe for me this was an opportunity of a lifetime, maybe I was about
to see things that I’d never seen and do things that I’d never
done!
(Lola/Brussels):
When I left my country, I was happy to discover new worlds, other peoples
and improve and give of myself. I remember what a wise old man told me:
“When you are on the other side of the border, mix with people,
try to fit in with them”. That is when I decided to approach people,
introduce myself, say “good morning” and ask questions to
get to know them. Sometimes I cook African dishes; I invite a few people
around and I make new friends. It didn’t bother me much to be rejected
or to be looked at with contempt, but even now I come up against those
words “my little sausage”…
(Bashir/London):
There, on the plane journey to London, I noticed some white-skinned men
dancing, singing, smoking and drinking. I thought “Dear God, London
must be Heaven”. “Look at them”, I thought, “they
are so happy going home”. I kept staring at them until one of them
shouted: “What the fuck are you looking at?” I jumped, opened
my dictionary to see what the connection between ‘what’, ‘fuck’
and ‘looking’ was. Could not find it but still kept smiling…
(Lola/Brussels):
I feel that when we live abroad we cannot make mistakes, we have to apologise
all the time and rarely does someone defend us when we are in trouble.
Isn’t it funny that when I say I’m hot people look at me in
amazement because a black person shouldn’t feel the heat…
In order to survive abroad, one has to beg for friendship; it is like
walking on a minefield. (Various voices):
1. “I thought that in your country people lived in huts!”
2. “… that elephants walked in your gardens!’
3. “… that you liked me because I am white!”
4. “… that you bought me presents to make me like you!”
5. “… that you were nice to me because you wanted money!”
6. “… that you were nice because you wanted to sleep with
me!”
7. “… that you give a little to receive a lot”
8. “… that you are going to steal our men!”
9. “… to steal our jobs!”
10. “… that you liked chips in order to be more Belgian!”
(Bashir/London):
Finally the plane touched the ground. With a big smile I went to the
immigration officer, who happened to be a fat lady, not an English rose
exactly. She looked at me with angry eyes and said: “Papers please!”
I produced my paper, which was an ID card issued by the Pakistani government
for Afghan refugees; it was simply an A4, yellowish paper, similar to
a newspaper abandoned under the rain and sun for years. She looked at
it and became even angrier; she shouted aloud: “What the fuck is
this?” I dropped my papers, lowered my upper body to find the dictionary
in my bag – I wanted to look up the connection between ‘what’,
‘fuck’ and ‘this’.
(Soheila/London):
An hour later we arrived at our hotel. It was a small country hotel only
for refugees. Before I went inside, I stared at the sky and suddenly two
stars appeared. They were dimmer than the other stars, as if they had
just arrived there. A victory smile broke out on my face. One of the stars
was bigger than the other and I recognised them both. They were two newcomers,
who had finally reached their destination like myself and my daughter.
For a moment I thought of my teenage days, my school, that damn list and
Mahnaz, my trip to Mashad and meeting Ali, my beautiful dream of the stars
and all the incidents that had taken place because of that list.
(José/Brussels):
Where I come from, someone has gathered the stars with bare hands. I
come from the majestic Andes, where condors nest their dreams and the
Incas guard their secrets. It is there, my mother told me, where the sun
retires when it is tired; there, where, in the morning, the ocean spreads
its wings for those wishing to reach the sky. That is there I was born,
where the river lives forever and the moon finds its solitude amongst
the constellations.
My ancestors are heroes, the sons of brave warriors. I come from the
place where men discovered fire and then made it with their hands. They
walked naked without fear. The wind was transparent and their eyes spoke
a divine language. I come from where each man and each woman carried something
divine inside.
(In the darkness of the stage –voice only) (Thabo/Londra)
Soli’s Kitchen
Silver and golden dishes
Wood and clay
Big and small
From different shops
Live in harmony in Soli's kitchen.
The baring knife and paring knife,
The giant stainless steel sharp knife
Does not bully the little ones.
Even the two brown coffee mugs
From the charity shop do not suffer from
Inferior complexes in the cupboards.
Golden peace dwells in Soli's kitchen
The valentine red wine glasses smile to the
Silver forks from the high street
Laughing with the matching toaster,
A birthday present from Royal Mail.
Even Santa's gift from China is respected.
Look the infertile bread maker’s hand
Writes on the wall ' Men shall not live by bread alone'
The wooden bread tin has learnt to accept this opinion.
It's a pity Neli's heart is of stone
She says she fears overcrowding and violence
She will stick to one fork, one knife, one spoon
Dinner is served after sweating and swearing in Neli's Kitchen.
Her only champagne glass broke yesterday breaking her heart
Only she can learn from Soli's kind heart
But why can't all kitchens have Soli's heart?
On the bus
(Muna Mussie /Bologna):
A. black girl
A. male voice
A spot-lit chair with a corridor of light behind it (the “bus isle
with a constantly changing group of standing passengers) and one in front
(the “street’ with the occasional pedestrian).
The girl sits on a chair, showing her profile. The audience is part of
the scenario she sees through the bus window.She looks at the landscape,
her body moving from time to time with the sudden shakes of the bus.
Passengers put on gloves
.It’s horrible! Horrible! This is what I thought of Africa a couple
of years
ago. It was September, the end of the longest September of my life. Prior
toit there was an internal preparation, an ongoing one, an external one,ongoing
anyway. The night before my departure I couldn’t sleep, I felt awake
and sleep at the same time. I felt my body moving in hundreds of different
ways yet I didn’t move, as still as a stone under an avalanche.
I felt like scratching my skin yet I didn’t need to. I felt like
grinding my teeth and at the same time kept my mouth wide open.
The girl remains with her mouth open
But I felt it wasn’t me who decided what to do … that’s
why I laughed! Meanwhile my brother was a sordid black chap lying next
to me. The mattresses on the floor, the deep darkness, the soft scent
of the skin and his sleep interruptedby my laughter. He asked me if everything
was alright, if I wanted to go out. We jumped barefoot over the windowsill
… the world around us was so veiled and half-asleep that we thought
we could cross it all without problems or fear. I left the following morning
with my mother, leaving my brother and father behind on the yellow soil.
I left them to do what they wanted and didn’t want to do.
She touches the bus window
Throughout the flight my mother didn’t say a word. That irritated
me. It was meal time when she smiled at me. Themajority of the passengers
were black and when they saw the trays with meat, bread and cabbage, they
smiled, breaking the long silence and showing their teeth as white as
snow.
We could start talking; projects, ambitions and expectations began to
take shape but something behind us was very smelly, yes, it clearly felt
as if it was Africa that smelt.
She looks inside the bus-some passengers are leaving, some new ones arrive.
Do you want to sit down madam? Please do! She stands p, the empty seat
shines under the light
Not at all, you are very welcome!
She swings with the bus; she looks around; she caresses her cheek and
looks again outside the window.
In the street:(Tahar Lamri/Ravenna)
Today is Thursday and it has been raining from the beginning of the month.
When I get off at Bologna airport the air doesn’t smell nice. My
hands feel the cold handrail of the walkway. Nobody is waiting for me.
The tarmac on the runway is black and smooth and smooth are the faces
of those around me. No one looks familiar. Strangely enough, I don’t
feel insecure.
The road from the airport into town is short and lonely. I am the only
passenger on a bus used by those who can’t afford a taxi or don’t
have anyone waiting at the airport. I collect my luggage, just a backpack,
and get off at the bus station. My backpack is heavy. I decide not to
carry it on my shoulders but to hold it in my hands, like a bag. Red is
the dominant colour of the buildings and it feels aggressive. Now I feel
unsure.
I don’t know whether to go to into the station or to follow the
sign with three circles, indicating the city centre. The sight of a park
full of tramps, seems like a bad omen. I look away. Everything else looks
very tidy. The heavy traffic on the nearby avenue attracts me and I decide
to go into town, to see what it is like and to find the Charity Centre
where food is available.
No sooner have I started walking, than a policeman stops me, snatches
the bag out of my hands and empties it onto the street. Inside, twenty
kilos of dates.
(Muna Mussie /Bologna):
My uncle was already in Italy when we went to live with him. His children
were as old as me and wore Armani. Something in their pockets used to
make a ringing tone and they would pull out a mobile phone. They didtheir
homework on the computer and my uncle would buy brioches and egg-made
pasta, orange juice and anything thatwould fill up the cupboards of that
flat as narrow as a sewage pipe. A small cooker and a rusty washin machine
occupied most of the space. There were supposed to be five of us in one
room. It was a hole, a filthy hole but to me it looked like paradise.
I used to run to the window and look at the world outside. All sorts of
cars with white people inside, white people on the posters, on the bus,
on the bikes, and my mother behind my shoulders.
• She looks behind
1. She touched my hair and smiled, her teeth shining white. I told her
that
everything was beautiful and in comparison Africa was horrible.
• She touches her cheek
1. I can hear the smack and feel the heat even now. Her eyes were filled
with anger and disappointment.
In the street:(Simon/Warsaw)
It was as he stepped out onto the street that an event that could have
changed the fortune of an ambitious journalist transpired. It looked like
fate had reserved it exclusively for him: a wailing woman running behind
a speeding tram, two kids on her heels, a stunned public watching in alarm
and a police car, which, as if by miracle, showed up at this precise moment.
The police car pulled up, swallowed or took on board the lady and sped
after the tram. The two kids stopped at a nearby bus stop to wait for
the return of the woman and of news.
“Is she their mother? What news?”
He acknowledged a freelance reporter would have more than merely pondered
over questions when an event was unfolding under his nose. He had enough
time to rush to the office, get the cameraman and talk to the kids. But
he was held by the weight of his worries.
The police car returned and dropped the woman, who was wiping away tears.
One of the officers rushed from the car and rounded up a gang of young
men nearby. Two of them were handcuffed and bundled into the car. The
rest scattered like chickens.
“I know I failed my readers today” was all he said, deciding
to walk home instead. It was an attempt to buy time from his landlady
to think about what he had just witnessed.
(Muna Mussie /Bologna)
• The girl sits down again
1. I heard annoyance is a self-inflicted feeling
• She scratches her nose
I heard it’s a projection of the mind! It is the intellect …
the intellect the intellect! I heard that after August comes September
and that leaves fall to the ground … but I see none on my road!
This is my road, a bus runnin over the tarmac, an orange bus, a bus that
takes me to work, allowing me to buy shoes, pay my gas and water bills,
allowing me to fill up my fridge with anchovies and my hands … with
nothing.
• Now she doesn’t look outside the window anymore, she looks
at her hands. They are under her face and slowly the line dividing the
dark of the back of the hand and the white of the palm, becomes evident.
Then the hand moves fast.
2. (male voice): Show the white side!
She keeps struggling
1. Why don’t you show the white side?
• She keeps struggling
2. Come on! You can trust it! It’s a white world and if I were you
I would carry on doing what you have done so far. What you would like
to be is not important. Let it be as it is, trust it for God’s sake!
Calm down! Look at the passengers, you are beginning to annoy them.
• She looks around. Her palms are up, visible. She places her hands
on her legs and tries to hide them between her thighs.
2. Tell me about your brother
1. I haven’t seen him for a long time!
2. How long?
1. Does it matter now?
2. Why are you here then? Tell me about your journey!
• She stands up with excitement
1. You want to know about my journey? You want to know how I came here?
Oh it’s nice, very nice!
2. Sit down! Sit down for God’s sake! The people, the people, the
passengers!
1. It’s very nice, very nice. I’m going to tell you all about
it!
2. Sit down! Please! Behave!
• She swirls around as light as a feather and the light on her
face makes her look like a child.
1. The soil – the yellow soil exhudes richness and aromas. Have
you ever smelt the scent of the soil you walk on? And you run, you run
barefoot, like a reptile,
and there is music, and there are children, and air...there is air everywhere....and
the elderly? Old women seated on the steps with their white dresses that
reflect the heat, and they talk about this and that; old men talk about
the war, but we are small, just children, and we know that that is not
appropriate for us....
2. Look! Do me a favour! Sit down!
1.... yes, we know that it is not right for us because we have very juicy
mangoes on the trees and the papayas are huge, like balloons. We used
to run as far as the river bank where the transparent sea joins the waves
and the crabs dart into the sand. Try and catch one if you can!
2. Stop it!!
1. Try and catch one before the evening if you can. When the sun is still
warm, in the evening the air explodes with pastel colours and scents.
Pastel colours and scents waft into our room when we sit at the table.
Wrapped up in green leaves, the manioca is on a huge plate next to the
hot and spicy fufu. The old men talking about war now say that the whole
Brahanne family has been recruited and is now travelling on a boat to
go west.
2. Sit down! NOW!
1. You are not listening to me! Are you? YOU ARE NOT LISTENING TO
ME!!
2. Please! Behave! You are annoying the passengers....understood?
Enough now!
1. Why do you say that? Why am I bothering them?
2. Because you are black! See the mess now. Can you hear what they are
saying?
1. It can’t be! You are wrong. It isn’t my fault! These people
are like that because they are interested in my journey. Aren’t
you interested?
• She stretches her hands again, with the palms facing the audience.
1. People are like that because they are nterested. It’s only a
question of what perspective you hoose.
• She slowly turns her hands
1. Now they are white, now they are black, now nothing, now white, now
black, nothing again....it is up to you to choose what to see …
it is only a projection of the mind.
(In the black-out-only voice) (Thabo-Londra)
Mntakababa
Behold I Knock on the locked steel doors
Open the doors of your heart and see the pity in my eyes
Offer my a set with comfortable cushions
A cup of milky tea with two sugars will do
Choice assorted biscuits will sprinkle my heart with joy.
Do not be like uncle Grey Bhonzo, mntakababa.
We are colours of one rainbow
Our different tastes to the adventures
Of this world should never separate us
Yes, I chose caterpillars to prawns
Coca-cola to Pepsi cola
Fanta to Tango
Black coffee to white tea
Adidas to Donnay.
I prefer preaching to teaching
I love the scorching sun to the chilly winter
But I am still of your blood, mntakababa.
Yes
True blood brothes
One heart
One flesh
Understand me to be understood.
Accept me to be accepted.
Love me to be loved.
This is a journey of dreams
Beginning to end, ending to begin.
United we can make the difference
Our different colours contribute to the beauty of the rainbow.
In unity we can make the world smile.
And dribble past the unsolved problems of this world
Which anger the still waters of the blue sea.
In love the stars will shine more and more
And rains fall softly.
Yes, I come with a mastermind
A calabash of wisdom and inspiration
To reinforce the mind of the master.
I have not come top take over mntakababa!
(Mntakababa- is a Zulu word: it means son of my mother like my brother)
In the court room/waiting room (Simon/Warsaw)
Dream (Night of Dec. 16, 2003)
I was the last mourner to board a flight that was carrying a corpse home.
The corpse was that of a young Cameroonian. Under the circumstances of
dream reality, I didn’t know what had caused the death of the deceased
except that he had died tragically.
As I struggled to get onboard, a gang of thieves attacked our aircraft
as it was getting set to take off. One of the bandits made a desperate
attempt to snatch my travelling bag. It was only a swift and timely intervention
on my part that saved it, or so I thought. After taking a seat, I opened
the bag. Everything was gone. What remained was a bunch of decaying strawberries,
which I didn’t remember ever putting in the bag. The stench from
the lot hit me like a punch. This is how I rose from bed and started the
day.
In Court
When I walked into the courtroom and looked at the accused, the dream
of last night resurfaced forcefully. Apprehended by the police in early
January of 2002 and, with the temperature today rocking well below zero
and the streets coated in white after two days of snow, O.J. looked less
powerful to withstand a third consecutive onslaught of winter in detention.
He had grown a beard like Che Guevara. The marked difference between the
two was that you could count all the little bones that composed O.J’s
cheeks – he had become that skinny, and looked terrifyingly pale.
Fill your mouth with water and try to speak. This was exactly how his
voice reached listeners. His mouth was constantly filled with saliva,
which he wanted to spit out.
There was no room for that. In one of the phrases that betrayed his state
of mind, he said there was a hole in his throat.
I flung my mind outside the courtroom, where O.J’s girlfriend was
pacing up and down the corridor listlessly, with (tear- filled) eyes.
Their little son, growing strong with all the physical characteristics
of his father at the peak of health, tailed his mother playfully. Little
O.J, now about 18-months old, was born when his dad was already in captivity.
They had never had the chance to share the love common between father
and son.
The case started at 10:00am and lasted two hours. This time and for the
first time since the trial started, the prosecutor was male. Four new
witnesses were heard, three of them police officers. Two of them declared
they did not remember anything connected with any complain launched against
O.J. The third officer conferred with notes he had made earlier, pieces
of conversations between the plaintiff and the accused largely corroborating
the fact that they were lovers. He too rushed through his testimony and
refused to commit himself to details, tactfully escaping questions from
the prosecutor. The fourth witness, a lady, confessed to having heard
noises from a room adjacent to where she used to live and supposedly occupied
by O.J.
But she had never set eyes on him, and had likewise, never seen the plaintiff.
In his habitual way, O.J’s defense attorney – provided by
the state - didn’t ask a single question throughout the hearing.
The Judge adjoined the case to Feb. 6th. 2004. There was a scuffle as
O.J said he wouldn’t go back to jail. He insisted that he should
be released, adding that he was ready to die rather than undergo the suffering
he had been subjected to. ‘All those who want a share of my flesh
should get it here in this courtroom!’ The two police officers who
had brought him into the court, wired their colleagues. They were soon
joined by three beefy officers who materialized from a corner. One of
them virtually placed me in a cul-de-sac for security reasons as O.J.
was shepherded away. ‘Take heart O.J. We shall visit you on Monday.’
I said loudly.
‘You will come and carry my head home!’ he shouted back.
Bread and roses (Tahar/Ravenna):
It is difficult to talk about work because so far, work has been seen
as alienating, but in our present time so full of uncertainties, work
is associated with a sense of loss and lying.
At 4 on the dot, as written on the note, I was outside the Job Centre.
The weather had been good till 3 o’clock, then it changed. I looked
at the sky before going into the building.
Pushed by a strong wind, clouds moved quickly in the sky.
A man in his forties, who was leaving the building, said hello to me.
I didn’t know him, or at least I didn’t think so.
There was a hallway and a dark staircase. The grey walls, typical of any
public office, didn’t give me a good feeling.
Perhaps I should go back?
I said to myself. But it was too late.
Good afternoon Mr. Buendia. Come in, come in!
It was the clerk behind the desk on the left hand side. Despite the large
desk between us, I still felt he was too close to me. It was the size
of his body that made me feel uncomfortable, and his big features, perhaps
his big nose as well.
- This is the questionnaire you need to fill in. You know. It’s
a formality.
His voice had changed, or so it seemed to me. In fact, there was somebody
else there and it was he who had spoken.
- God knows why they keep sending these yellow cards. Look, they still
have ‘Job Centre’ written on them!
- So what? It has been like that for twenty years!
- Well …
- Well …what? You are wasting my time. Can you please carry on with
your work and let me do mine?
Someone else in the office was clearly typing with two fingers, very slowly.
I cannot see the person, a man perhaps? Women are not as noisy when they
type. It started raining and the rain was very heavy. I know I’m
in a draught and the wind blows in spats of rain. Or maybe I am wrong.
I have never been an accurate storyteller. Anyway, I don’t believe
there is coherence in the way life arranges events. Somebody gets up and
walks towards me. His height scares me. I want to leave. It might be for
fear of getting wet outside that I run upstairs. I push a half-open door
and walk into an office. A woman sits behind a grey desk. She is typing
with two fingers. She looks at me with surprise.
- Can I come in?
- We are open between two and three
- I saw the door half open and came in
- I know!
I go out and back to where I had come from. The tall man walks towards
me.
- Where have you been? - Asks the clerk behind the desk on the left.
- Well … to the toilet.
- Have you filled in the questionnaire?
- No … excuse me … which questionnaire?
- The one I gave you earlier!
I look inside my pockets but I can’t find any yellow
questionnaire. I find a brown one and I hand it to the clerk, who gives
me a dirty look, but I don’t understand why.
- Are you making fun of me, or what? This is a legal document!
- Oops, I’m sorry. I might have left the yellow one upstairs!
I go back, reach the stairs, go up a few steps and I suddenly remember
that I haven’t eaten for two days. I remember my tulip, without
petals by now, and the bread tree I planted in the park in town.
- Another day without work - I say to myself.
In the street (Lam Quang m/Warsaw)
Storms
A cruel sun shone,
burning delicacy and sense,
raising hatred and anger.
Thunder shone with hope
and the falling rain caressed
yet we were unaware
that drops of poison
made earth’s atmosphere.
And wind, first soft
as feeling dried,
blew ever stronger,
destroying all.
Are we alive after those storms
or still before?
My Town (José/Brussels)
It was a Sunday afternoon I was walking with my two children in a park
in Brussels. Each tree looked different from the ones I remembered and
the flowers too, very beautiful but different. Then, as a miracle, I saw
a swallow that looked identical to those I played with as a child. I thought
that we all belong to the same world, the same we have been sharing since
the dawn of man.
My walk was ever so enjoyable. I noticed a statue, a tribute to the massacre
that took place in Congo, a tribute to the killing of Lubumba, a king
who had no compassion for others.
I have adopted Brussels. It’s my town now. My children were born
here. This is my town and I am part of it. This town loves us because
we like it as it is. This town is as old as time, as old as its Cathedral
and its streets. Its life is in the streets and squares, their pavements
covered with dogs’ litter. This town knows the indifference of people,
the cries of its children, the number of tramps and homeless who walk
barefoot, looking for food. My town knows there are people engaged in
clandestine activities, which are trying to avoid being caught.
It knows that not too far away there is a war. My town cannot sleep peacefully.
It suffers and during the night listens to its pains. We experience it
in all its aspects: black, white, big, small, slim, ugly, beautiful, intelligent,
wise, ill and healthy. We never expected to be the same. We all live together,
we are not naïve, and we accept everybody, whoever they are, as if
the town had bewitched us.
This town reminds me that we arrived naked, trying to escape a regime,
a stupid, ethnic and religious war. It welcomed us. It spread its wings
to welcome the new people.
Brussels, that is where I have entrusted my dreams.
Fragment (Bashir/London)
I never thought I would end up in this crazy neighbourhood, with streets
named after Shakespeare, Milton and Drayton. A place where Rao, the Indian
philosopher owns the Taj restaurant and Lee owns the Peking take-away
and a stunning, hands-off daughter.
I came to England with so much hope. I thought I would read my poems
in front of mesmerised English audiences. Instead, on arrival, I learn
that England is full of dead poets. Rao was a lecturer at the University
of Bengal. His argumentative expertise can easily prove that the Queen
of Britain is Indian! In fact, he can prove that everything is Indian.
But we don’t know what Lee did in China. He does not speak any English.
And he doesn’t need to.
Seeing this environment of chaos makes me wonder what would have happened
to Tagor had he become a refugee in England like us. They probably would
have named a haut cuisine dish after him, like “Tagor’s Tandoori
Chicken”. And what would have happened to Shakespeare, if he had
become a refugee in India? Shakespeare, the owner of Stratford Fish &
Chips in Bengal, of course!
Experiences (Lola/Brussels)
… In the end, we always live in a foreign land even if we have our
home here, in the town called Bastogne, where, in fact, I am happy…
Our children live between two cultures, receiving authority and guidance
from our culture, where a child is treated like a king but is a child
not a small adult. Here, children have the right to contradict their parents,
the right to play, the right to protest, the right … the right …
the right, but no one teaches a child that there are duties as well.
… In Africa we are always happy to accept what is offered. The
system here works in a different way and we … still cannot understand
the meaning of “yes” and “no” in Europe. Here
people tend to offer all sorts of help and if we reply “no”,
they insist we accept. If we do eventually accept, they don’t seem
to like it either. In fact, their persistent offering only means they
are willing to help; that’s all. To say “I can help you”
doesn’t actually mean “I will help you”. It really upsets
us that our generous people become unhappy about giving.
Deep to Midnight (Tahar/Ravenna):
… Along my journey towards the South, I stopped in Velingara. There
I met two Liberian children, who said to me: “We have seen terrible
fights near out houses, that’s why we escaped. We walked and walked
and walked. We went to Dakar but we couldn’t stay, then we went
to Thiers. Perhaps we should go to Bamako and if we can’t stay even
there, we will go to Abidjian”.
In Dialakoto I met two Talibans. Bassirou, the joungest one, told me
that he gets up very early and, after his prayers, goes around town with
an old tomato tin that he tries to sell to those with a good heart. He
said that he knows several chapters of the Koran by heart; he has studied
‘daara’ for three years … and if he doesn’t get
enough money by the time he gets back in the evening, the marabout will
beat him.
He showed me some marks on his body. “I am luckier than him”,
he said, pointing to a child who was walking towards us. When he reached
us, the child announced: “Hi, my name is Iqbal Massih, I come from
Pakistan. I am 8 years old and I work 18 hours a day in a sweatshop because
my family has to pay back the money we borrowed to pay for my sister’s
wedding. I was killed on April the 16th, because I said ‘do not
buy children’s sweat’. But I don’t cry for myself now,
I cry for that child over there”, and he pointed to a child coming
from the direction of Dienou Diala.
When he got close, he greeted me: “Hi, my name is Mirko. My mother
is Serb and my father from Bosnia. My grandfather was a Croatian and my
grandma came from Slovenia; my great grandfather was from Montenegro and
my great grandmother from Macedonia. I don’t know where to go. Can
this friend of mine (and he points to a child coming from Niokolo Koba)
come with you?” The child spoke: “I don’t have a name.
My mum was Tutsi and my father Hutu, I come from Ruanda”.
More children came. I can’t remember them all. There were Romany
children coming from Rome, Turkish ones from Germany, children trapped
in Casbahs, or from Cambodia, and a young Vietnamese girl, naked, in black
and white because she was coming straight from my memory. Many children
from Medellin, Cartagena, from Bandung and Brescia.
We all walked in a long line and when we arrived in Niokolo Koba, near
the National Park called Tamabcounda, all the children were transformed:
one became a Zebra, another one an elephant or a Koala, a heron and even
a grasshopper.
I carried on to Fodekounda, feeling neither happy nor sad. I was looking
for my friends but couldn’t see any. Suddenly, a centuries old baobab
called me. The baobab is the only tree with the shape of a narrator. When
it sheds its leaves in fact, its branches look like roots in the air.
I hugged its ten-metre circumference, climbed up its branches and reached
the top, where I made a nest and stayed.
Since leaving behind my reindeer and giving away all my presents all over
the world, I, Nicola di Mira, have not left the baobab.
EPILOGUE (Thabo J. Nkomo/London)
Have mercy
Hear my cry
Oh Great one, I cry.
Wipe away my long toiling tears
Mend my bleeding broken heart.
The scum of this dark world
Has turned against my wounded soul.
Injustice has spit me
Out of my mama land.
Pharaoh’s cruel iron hand is merciless.
Sheep in the pasture land cannot be silent
As the hyena's laughter vibrates
And echoes in my eardrum.
I shiver and grind teeth in a lion's roar.
Trees of the evergreen forest have been forced
To surrender their green leaves.
Look, the lily wilts.
I beg for a new breath Oh Great one.
I beg to tell my grand children Cinderella’s story.
Their stooge artists have ignorantly
Painted me with the wrong brush and paint.
My face is not as dangerous as this.
My skin is black
But my heart is white as snow Great one.
Look my hands are clean.
I kiss your feet and beg for mercy
In your arms protect me from the strong
winds of the lost world
The lost world of the lost city
Lost city of the lost town
Lost town of the lost streets
Lost streets of lost houses
Lost houses of the lost souls.
Versione polacca
POLISH I miasto przemówilo
Prolog (Thabo Nkomo/ Londyn)
Piesn glodnego ducha
Gdy jestesmy pokazywani
W glodzie i ubóstwie,
Zlacz nas
Szyframi, które nie moga byc zlamane;
Polacz nas i udoskonalaj i
Lagodnie poplyn z nami
Bezpiecznie w nieprzyjazny sztorm.
Fale morskie lakna naszych dusz,
Szczeki rekina – naszych cial i krwi.
Zapadla ciemnosc,
Ksiezyc nie swieci;
Gwiazdy pospadaly,
Ciemnosc puka do drzwi;
Szpony smierci czyhaja na nas.
Zniszcz strach i ignorancje,
Przeprowadz nas przez most;
Powiedz zachodnim górom by przywitaly nas cieplo
Pomaluj dywan matki ziemi na zielono –
Czerwonego sie boimy.
Lagodnie zetrzyj nasze lzy,
Przywróc nam usmiech
I obiecaj wspaniala niedzielna uczte prawdziwej sprawiedliwosci.
Slinimy sie na mysl frytek milosci,
Zielonych warzyw dobroci,
Spokojnego i cieplego sosu royco
Pieczen wolowa, wieprzowina, Jagnie lub kurczak?
Daj nam wolnosc wyboru
I nie zapomnij deseru
Nie zapomnijmy modlitwy przed posilkiem.
Na peronie I
(…)
peron 2
(Jose/Bruksela)
Pochodze stamtad, gdzie odkryto ogien
Pochowane w ramionach niekonczacych sie lancuchów gór, królestwo
moich snów,
Mój kraj, tam, gdzie slonce swieci dla nas od tysiecy lat
Bylem jednym z tysiecy mezczyzn i kobiet, którzy musieli opuscic
ten kraj, by szukac schronienia gdzie indziej. Ludzie
Noszacy zbroje i pozbawieni uczuc chcieli zabic naród, tam, gdzie
wiatr przywial oznaki tchórzostwa (na chmurach dymu)…
(Bashir/Londyn)
Najwiekszy huk mial miejsce w bardzo zatloczonym autobusie, gdy trzymalem
sie rozluznionego metalowego drazka, odpychajac reke innego pasazera,
który zlapal moje spodnie W miejscu bliskim moich jaj, aby nie
wypasc na ulice.
Nioslem moje dokumenty imigracyjne do konsulatu brytyjskiego,
Organizacji, która przyznala mi stypendium. Nagle stracilem równowage
I moje papiery upadly na kolana starszego, siedzacego pasazera. Zanim
siegnalem, by
Zebrac dokumenty, starszy mezczyzna zdolal na nie spojrzec i ze swoimi
swidrujacymi oczami wystajacymi z oczodolów i bardzo zdziwionym
tonem zapytal mnie: ‘jedzie pan do Londynu?’ Potwierdzilem.
Natychmiast podniósl sie i zaproponowal mi miejsce. Jego reakcja
utwierdzila mnie w przekonaniu, ze jade do raju zwanego Londynem. Nadszedl
czas, by Pakistanczycy przestali na mnie pluc…
(Soheila/Londyn)
Co za podroz? W samolocie przezylam najbardziej radosne chwile w moim
zyciu. Naprawde nie wiedzialam , czy robie dobrze wybierajac sie ze stoma
dolarami w kieszeni i biletem w jedna strone w nieznane miejsce , co ja
tam bede robic? Co by sie stalo, gdyby nie bylo tam Jalila z jego rodzina?
Czy powinnam pójsc na policje i prosic o pomoc? Nie, to na pewno
nie mialoby sensu. Wiec, co moglam jeszcze zrobic? Pamietam, ze niedawno
przeczytalam cos ciekawego: ciekawego jezyku chinskim znaki na ‘kryzys’
to ‘niebezpieczenstwo’ i ‘ szansa’. Moze dla mnie
byla to zyciowa szansa, byc moze mialam zobaczyc rzeczy, których
jeszcze nie widzialam i zrobic cos, czego nigdy nie robilam!
(Lola/Sibret)
Gdy opuscilam kraj, bylam szczesliwa, ze moge zobaczyc inne horyzonty,
innych ludzi, rozwinac sie i dac z siebie to, co potrafie. Pamietam, co
powiedzial mi pewien sedziwy starzec:, ‘gdy jestes po drugiej stronie
granicy, przebywaj z ludzmi, dostosuj sie do nich”. Wtedy wlasnie
postanowilam wyjsc do ludzi, przedstawic sie, powiedziec ‘dzien
dobry’, zadawac pytania, by ich poznac. Czasami gotuje afrykanskie
dania, zapraszam pare osób i zaprzyjazniam sie z nimi. Nie przeszkadzalo
mi, ze bede odrzucona, czy traktowana z pogarda, ale wciaz slysze te slowa
’moja mala kielbasko’…
(Bashir/Londyn)
Wtedy w samolocie do Londynu zauwazylem jakichs bialych mezczyzn, tanczacych,
spiewajacych, palacych i pijacych. Pomyslalem: o mój Boze, Londyn
musi byc rajem. „Spójrz na nich’ myslalem „tak
sie ciesza, ze wracaja do domu”. Gapilem sie na nich, dopóki
jeden z nich nie krzyknal, „co sie tak gapisz, do cholery!? Podskoczylem,
otworzylem mój slownik, by zobaczyc zwiazek miedzy ‘co’,
‘do cholery’ i ‘gapic’. Nie moglem znalesc, ale
wciaz sie usmiechalem…
(Lola/Sibret)
Wydaje mi sie, ze gdy zyjemy za granica, nie mozemy popelniac bledów,
musimy ciagle przepraszac, i rzadko ktos nas broni, gdy jestesmy w tarapatach.
Czy to nie zabawne, ze gdy mówie, ze jest mi cieplo, ludzie dziwia
sie, bo przeciez czarnoskórzy nie czuja upalu…
Aby przezyc na obczyznie trzeba blagac o przyjazn; to jak chodzenie po
polu minowym. (rózne glosy)
1. Myslalem, ze w twoim kraju ludzie zyja w szalasach
2. … ze macie slonie w ogrodach
3. …ze mnie lubisz, bo jestem bialy
4. …ze dajesz mi prezenty, zebym cie lubil
5. ze jestes mily dla mnie, bo chcesz pieniedzy
6. Ze jestes mily, bo chcesz sie ze mna przespac
7. ze dajesz mi malo, by otrzymac wiele
8. ze bedziesz krasc naszych mezczyzn
9. ze zabierasz nam prace
10. ze lubisz chipsy, zeby byc bardziej belgijska
(Bashir/Londyn)
Samolot w koncu wyladowal. Bardzo zadowolony podszedlem do kontrolera
paszportów, który okazal sie byc gruba dama, niezupelnie
angielska róza. Popatrzyla na mnie ze zloscia i powiedziala: ‘dokumenty
prosze!’ Wyjalem mój dokument, którym byl dowód
osobisty, wydany przez rzad pakistanski dla uchodzców z Afganistanu;
byl to zwykly zóltawy papier formatu A4, podobny do gazety zostawionej
na pastwe deszczu i slonca na wiele lat. Spojrzala na niego i jeszcze
bardziej sie rozzloscila; wrzasnela glosno, ‘ co to ma byc do cholery?!”
Upuscilem moje dokumenty, pochylilem sie by znalezc slownik w mojej torbie
– chcialem sprawdzic zwiazek miedzy, ‘co’, ‘do
cholery i ‘to’.
(Soheila/Londyn)
Godzine pózniej dotarlismy do hotelu. Byl to maly wiejski hotel
tylko dla uchodzców. Zanim weszlam do srodka spojrzalam na niebo,
na którym pojawily sie dwie gwiazdy. Byly bledsze niz pozostale,
tak, jakby dopiero tam przybyly. Zwycieski usmiech pojawil sie na mojej
twarzy. Jedna z gwiazd byla wieksza, rozpoznalam je obie. Obie byly przybyszami,
którzy ostatecznie osiagneli swój cel (jak ja i moja córka).
Przez chwile myslalam o moich mlodzienczych latach, mojej szkole, tej
glupiej liscie i o Mahnaz, mojej podrozy do Mashad i spotkaniu Alego,
moim pieknym snie, o gwiazdach i wszystkich wydarzeniach, które
mialy miejsce z powodu tej listy.
(Jose/Brussels)
Tam, skad pochodze, mozna chwycic golymi rekoma. Pochodze z majestatycznych
Andów, gdzie kondory gniezdza swoje sny, Inkowie maja swoje tajemnice.
To tam, jak mówila mi mama, odpoczywa slonce, gdy jest zmeczone;
tam rankiem ocean otwiera swoje skrzydla dla tych, którzy chca
sie wzbic do nieba. Urodzilem sie tam, gdzie riwiera zyje zawsze, a ksiezyc
kryje sie by doswiadczyc swoich samotnych chwil wsród przyjaznych
konstelacji.
Moi przodkowie SA bohaterami, synami wielkich wojowników. Pochodze
z miejsca, gdzie ludzie odkryli ogien, a pózniej nauczyli sie wytwarzac
go wlasnorecznie. Chodzili nadzy bez strachu. Wiatr byl przezroczysty,
a ich oczy mówily boskim jezykiem. Pochodze stamtad, gdzie kazdy
czlowiek ma cos boskiego w sobie.
(Thabo/ Londyn)
3. (Soli’s Kitchen), Kuchnia Soli
Duzo jest naczyn w kuchni Soli
zlote,
drewniane
z odlewu i plastiku,
srebrne i delikatne,
róznych rozmiarów i ksztaltów
z róznych sklepów
ale wszystkie zyja razem
w pokoju, milosci i harmonii.
obierajacy nóz i skrobiacy nóz
nóz do chleba i krajalnica
Wszystkie w jednej szufladzie, ale nigdy sobie nie szkodza.
Nawet ten duzy nóz ze stali nierdzewnej kupiony w sklepie za rogiem
nie dokucza mniejszym.
Nawet te dwa kubki ze sklepu milosierdzia nie sa nekane w kuchni Soli
W kuchni Soli panuje spokój
Te srebrne lyzki z indyjskiego sklepu.
Kamienny zestaw z glównej ulicy
Cztero czesciowy toster od Murphy’iego Richards’a
Dziesiecioczesciowy komplet z chromowym uchwytem
Prezent urodzinowy z Karaibów.
Kieliszki do czerwonego wina z Walentynek
Od swietego Mikolaja dostala grila z prawdziwym podgrzewaczem?
Wszyscy zyja razem w harmonii.
Utalentowana tarka
miarka do kawy
tluczek do ziemniaków z Argos
komplet nie przywierajacych patelni z Index’uPlastikowy durszlak
ze sklepu za funta I te drewniane lyzki z KwaZulu,
sprawiaja, ze Soli usmiecha sie, gdy gotuje.
deski do krojenia sa zakodowane kolorami.
Drewniany pojemnik na chleb
tkwiacy na sciennej suszarce:
' nie samym chlebem czlowiek zyje'
Pojemnik na chleb nauczyl sie tolerowac to przeslanie
Tak, to prawo do wypowiedzi, kochanie
Szkoda, twierdzi Neli, ze wystarcza jej
jedna lyzka
jeden nóz
jeden widelec
boi sie przepelnienia w swojej kuchni
Szkoda, ze nakrycie stolu do kolacji zajmuje jej wieki
jej jedyny kieliszek do szampana zbil sie ostatniej nocy
I zlamal jej serce.
Gdyby tylko miala tak duzo szklanek jak Soli
Spójrz na jej jedna I jedyna deske do krojenia.
Nie trzeba o tym mówic, mój drogi.
Dlaczego wszystkie kuchnie nie moga byc jak kuchnia Soli?
dlaczego swiat nie moze miec serca Soli?
Zaciemnienie
W autobusie
(Muna/Bolonia/glos zza sceny)
1. Czarna dziewczyna
2. Meski glos
Oswietlone krzeslo ze smuga swiatla za nim (przystanek autobusowy z ciagle
zmieniajaca sie grupa stojacych pasazerów) pasazerów jeden
z przodu (ulica z przypadkowym przechodniem) Dziewczyna siedzi na krzesle
pokazujac profil. Widownia jest czescia scenariusza, który widzi
przez okno autobusu.
Patrzy na krajobraz, jej cialo drga od czasu do czasu razem w naglymi
wstrzasami autobusu.
1. to straszne! Straszne! To wlasnie myslalam o Afryce kilka lat temu.
Byl wrzesien, koniec najdluzszego miesiaca w moim zyciu. Poprzedzaly go
wewnetrzne przygotowania- postepujace, zewnetrzne przygotowania –
postepujace tak czy owak. W nocy przed wyjazdem nie moglam spac, czulam,
ze nie spie i spie jednoczesnie. Czulam, ze moje cialo rusza sie na setki
róznych sposobów, a jednak nie moglam sie ruszyc, jak kamien
pod lawina. Chcialam podrapac swoja skore, jednak nie chcialam. Chcialam
zazgrzytac zebami i jednoczesnie otworzyc szeroko usta.
Dziewczyna pozostaje z otwartymi ustami
1. Ale czulam, ze to nie ja decydowalam, co robic…, dlatego sie
smialam! Tymczasem mój brat byl wstretnym czarnym typem obok mnie.
Materace na podlodze, gleboka ciemnosc, lagodny zapach skory i jego sen
przerwany przez mój smiech.
Zapytal mnie, czy chce wyjsc. Przeskoczylismy na boso przez parapet…
swiat wokól nas byl tak okryty i na wpól spiacy, ze myslelismy,
ze mozemy przejsc go calego bez klopotów i strachu. Odeszlam nastepnego
ranka z moja mama, zostawiajac mojego brata i ojca na zóltej ziemi.
Zostawilam ich by robili, co chcieli i czego nie chcieli robic.
Dziewczyna dotyka okna w autobusie.
1. w czasie lotu moja mama nie powiedziala ani slowa. Denerwowalo mnie
to. Dopiero w czasie posilku usmiechnela sie do mnie. Wiekszosc pasazerów
byla czarna i gdy zobaczyli tace z miesem, chlebem i kapusta usmiechali
sie przerywajac dluga cisze i pokazujac zeby biale jak snieg. Moglismy
porozmawiac: plany ambicje i oczekiwania zaczynaly sie ksztaltowac, ale
bylo cos za nami, cos bardzo cuchnacego, tak, wyraznie dalo sie odczuc,
ze to Afryka tak smierdziala.
Dziewczyna patrzy w srodek autobusu – niektórzy pasazerowie
wychodza, inni wsiadaja.
1. Czy chce pani usiasc? Prosze!
Dziewczyna wstaje. Puste siedzenie swieci pod wplywem swiatla
1. Nie ma za co! Prosze bardzo!
Dziewczyna kolysze sie wraz z autobusem; rozglada sie; gladzi policzek
i znowu wyglada za okno.
Na ulicy: (Tahar Lamri/Ravenna)
Dzisiaj jest czwartek, miesiaca deszczowego od samego poczatku. Nieladnie
pachnie, gdy wysiadam na lotnisku w Bolonii Moje rece czuja zimna porecz.
Nikt na mnie nie czeka. Pole startowe jest czarne i gladkie, tak jak gladkie
SA twarze tych dookola mnie. Nikt nie wyglada znajomo. Dziwne, ale nie
czuje sie niepewnie.
Droga z lotniska do miasta jest krotka i opustoszala. Jestem jedynym
pasazerem autobusu uzywanego przez tych, których nie stac na taksówke,
lub tych, po których nikt nie wyszedl. Zabieram swój bagaz,
tylko plecak, i wychodze z dworca. Plecak jest ciezki. Nie chcialem nosic
go na ramieniu, tylko trzymac w reku jak torbe. Budynki sa glównie
koloru czerwonego, co wydaje mi sie agresywne. Czuje sie teraz niepewnie.
Nie wiem, czy isc na dworzec, czy podazac za znakiem z trzema Kolami,
oznaczajacym centrum miasta. Widok ogrodu przede mna, pelnego wlóczegów
jest jak zly omen. Odwrócilem wzrok, wszystko inne wyglada na czyste.
Zatloczona ulica przyciaga mnie, postanawiam pójsc do miasta, by
zobaczyc, jakie jest i znalezc jadlodajnie. Ledwo zaczalem isc, a zatrzymal
mnie policjant, wyrwal mi torbe z rak i wypróznil ja na ulicy.
W srodku dwadziescia kilogramów daktyli.
(Muna/Bolonia)
Mój wujek byl juz wtedy we Wloszech, gdy przyjechalismy, by z
nim zamieszkac. Jego dzieci byly w moim wieku i nosily ciuchy od armatniego.
Cos w ich kieszeniach zaczynalo dzwonic, wyciagaly wtedy telefon komórkowy.
Odrabialy prace domowe na komputerze, komputerze mój wujek kupowal
paste jajeczna, sok pomaranczowy i wszystko, co wypelnialo szafki mieszkania
waskiego jak kanaly sciekowe. Mala kuchenka i zardzewiala zmywarka zajmowaly
wiekszosc miejsca. W pokoju mialo byc nas piecioro. Byla tam dziura, ohydna
dziura, która wydawala mi sie rajem. Zwykle bieglem do okna by
spojrzec na swiat. Wszystkie rodzaje samochodów z bialymi ludzmi
w srodku, biali ludzie na plakatach, plakatach autobusach, na rowerach
i moja mama za mna.
Dziewczyna oglada sie za siebie.
Dotknela moich wlosów i usmiechnela sie pokazujac bile zeby. Powiedzialam
jej, ze wszystko jest piekne, a Afryka w porównaniu z tym jest
straszna.
Dziewczyna dotyka swojego policzka.
Nadal slysze dzwiek tego uderzenia i czuje jego goraco, nawet teraz.
Jej oczy palaly gniewem i rozczarowaniem.
(Thabo-Londyn)
Mntakababa
Spójrz, pukam do zamknietych stalowych drzwi
Otwórz drzwi swojego serca i zobacz wspólczucie w moich
oczach
daj mi komplet przytulnych poduszek Offer my a set with comfortable cutions
Herbata z mlekiem I dwoma kostkami cukru wystarczy
Wymieszane ciasteczka przepelnia moje serce radoscia
Nie badz jak wuj Grey Bhonzo, mntakababa.
Jestesmy kolorami teczy
Rózne smaki przygód tego swiata
Nie powinny nas nigdy rozlaczyc
Tak, wole gasienice od krewetek
Coca-cole od pepsi-coli
Fante od Tango
Czarna kawe od herbaty
Adidasa od Donnay.
Wole glosic niz uczyc
Kocham upalne slonce bardziej niz chlodna zime
Ale wciaz pochodze z twojej krwi, mntakababa.
Tak
Prawdziwi bracia krwi
Jedno serce
Jedno cialo
Mntakababa
Zrozum mnie by byc zrozumianym
Zaakceptuj mnie, by byc zaakceptowanym
Kochaj mnie, by byc kochanym
To podróz marzen
Zaczynajaca sie, by zakonczyc, konczaca sie, by zaczac
Polaczeni stworzymy róznice
Nasze rózne kolory stworza piekno teczy.
W jednosci sprawimy, ze swiat sie usmiechnie.
Oddalimy nierozwiazane problemy tego swiata
Które gniewaja spokojne wody niebieskiego morza.
Kochajac gwiazdy zaswieca jasniej
A deszcze spadna lekko
Tak, przychodze z przywódca
Pojemnosc madrosci i natchnienia
By wzmocnic umysl mistrza.
Nie przyszedlem, by przejac mntakababa!
Na ulicy: (Simon/Warszawa)
Stalo sie to, gdy wyszedl na ulice, wydarzenie, które moglo zmienic
los ambitnego dziennikarza. Wygladalo na to, ze los przeznaczyl je wylacznie
dla niego: lamentujaca kobieta biegnaca za tramwajem, dwoje dzieci za
nia, zdziwieni przechodnie i radiowóz policyjny, który jak
gdyby cudem pojawil sie akuratwtym momencie. Samochód zatrzymal
sie, zabral kobiete i pospieszyl za tramwajem. Dwoje dzieci stanelo na
pobliskim przystanku autobusowym, by zaczekac na mame i wiesci od niej.
„czy to ich matka? Co sie stalo?”
Uznal, ze niezalezny dziennikarz moze wiecej niz tylko zastanawiac sie
nad pytaniami, gdy wydarzenia rozgrywa sie na jego oczach. Mial wystarczajaco
duzo czasu, bypobiec do biura, zabrac kamerzyste i porozmawiac, z dzicmi,
ale zatrzymalgciezar jego zmartwien.
Radiowóz wrócil i wysadzil kobiete ocierajaca lzy. Jeden
z policjantów wysiadl z samochodu i podszedl do grupy mlodych mezczyzn
stojacych nieopodal. Dwóchznich zostalo zakutych w kajdanki i zabranych
do radiowozu. Reszta rozproszyla sie jak kurczaki.
„wiem, ze zawiodlem dzis moich czytelników”- powiedzial
tylko to w drodze do domu. To byla próba zyskania na czasie u wlascicielki
mieszkania, by zastanowic sie nad tym, czego wlasnie doswiadczyl.
(Muna/Colonia)
Dziewczyna siada znowu
1. Slyszalam, ze zmartwienie jest uczuciem zadanym samemu sobie
Drapie sie w nos.
1. Slyszalam, ze jest projekcja umyslu! To rozum… rozum…rozum!
Slyszalam, ze posierpniu przychodzi wrzesien ze liscie spadaja…,
ale nie widze zadnego na mojej drodze! To moja droga, autobus przejezdzajcy
po nawierzchni, pomaranczowy autobus, autobus, który zwozi mnie
do pracy, dzieki której moge kupic buty, zaplacic rachunki(za gaz
i wode), napelnic lodówke sardelami… a moje rece… niczym.
Dziewczyna nie patrzy juz przez okno, patrzy na swoje rece. SA pod jej
twarza, powoli linia oddzielajaca ciemna strone grzbietu i biel dloni
staje sie widoczna. Potem rekaporusza sie szybko.
2. pasazer na przystanku: pokaz biala strone!
Dziewczyna walczy
1. Dlaczego nie pokazesz bialej strony?
Dziewczyna walczy
2. No dalej! Mozesz temu zaufac! To bialy swiat i gdybym byl toba robilbym
to, co robilas do tej pory. Nie jest wazne, czym chcesz byc. Niech bedzie
jak jest, zaufaj mu na milosc boska! Uspokój sie! spójrz
na ludzi, zaczynasz ich denerwowac”
Rozglada sie. Widac jej dlonie. Kladzie rece na nogach i próbuje
ukryc je miedzy udami.
2.Opowiedz mi o swoim bracie.
1. Nie widzialam go od dawna
2.Jak dlugo?
1. Czy to ma jakies znaczenie?
2. Dlaczego wiec tu jestes? Opowiedz mi o swojej podrózy!
Dziewczyna wstaje z podekscytowania
1. Chcesz uslyszec o mojej podrozy? Chcesz wiedziec jak tu dotarlam?
Och, to mile, bardzo mile!
2. Usiadz! Usiadz na boga! Ludzie, ludzie, pasazerowie!
1. To bardzo mile, bardzo mile. Opowiem ci o tym!
2. Usiadz! Prosze! Zachowuj sie!
Dziewczyna kreci sie lekka jak piórko, a swiatlo na jej twarzy
sprawia, ze wyglada jak dziecko.
1. Ziemia – zólta ziemia oddaje jakosc i zapachy. Czy kiedykolwiek
czules zapach ziemi, po której chodzisz? I biegasz, biegasz boso,
jak gad, i jest muzyka, dzieci, powietrze… powietrze jest wszedzie…
i starszyzna? Stare kobiety siedza na stopniach w bialych sukniach kontrastujacych
z upalem, rozmawiaja o tym i owym; starsi mezczyzni rozmawiaja o wojnie,
ale my jestesmy mali, jeszcze dzieci, i wiemy, ze to nie dla nas…
2. Sluchaj! Zrób cos dla mnie! Usiadz!
1. …tak, wiemy, ze to nie dla nas, bo mamy bardzo soczyste owoce
mango na drzewach, a papaje SA wielkie jak balony. Biegalismy, az do brzegu
rzeki, gdzie przezroczyste morze laczy sie z falami, a kraby pedza do
piasku. Spróbuj zlapac jednego, jesli potrafisz!
2. Przestan!
1 .Spróbuj zlapac jednego przed wieczorem, jesli mozesz. Gdy slonce
jest jeszcze cieple, wieczorem powietrze eksploduje pastelami kolorow
izapachow. Pastelowe kolory i zapachy wdzieraja sie do naszego pokoju,
kiedy siedzimy przy stole. Owiniety w zielone liscie maniok lezy na wielkim
talerzu tuz obok goracego i ostrego fufu. Starzy mezczyzni rozmawiajacy
o wojnie mówia teraz, ze cala rodzina Brahanne zostala zwerbowana
i podrózuje teraz statkiem na zachód.
2. Usiadz! Natychmiast!
1. Nie sluchasz mnie! Prawda? NIE SLUCHASZ MNIE!!
2.Prosze! Zachowuj sie przyzwoicie! Denerwujesz pasazerów…
zrozumiano?
Dosyc tego!
1. O co ci chodzi? Dlaczego im przeszkadzam?
2. Bo jestes czarna. Zobacz, co narobilas. Suszysz, co mówia?
1. Niemozliwe! To nie prawda. To nie moja wina!
Ci ludzie zachowuja sie tak, bo chca uslyszec o mojej podrozy. A ty nie
jestes ciekawy?
Dziewczyna drapie sie porekach, kierujac dlonie do publicznosci.
1. Ludzie zachowuja sie tak, bo SA ciekawi. To tylko kwestia perspektywy,
(jaka wybierzesz)!
Dziewczyna powoli obraca rekoma
1 .Teraz SA biale, teraz czarne, teraz nic, teraz biale, teraz czarne,
znowu nic… zalezy od tego, co chcesz zobaczyc… to tylko projekcja
umyslu.
Zaciemnienie
Na podwórzu/ w poczekalni
(Simon/Warszawa)
Sen (noc 16 grudnia 2003)
Bylem ostatnim z zalobników na pokladzie samolotu, który
mial zabrac cialo mlodego Kamerunczyka do domu. W warunkach sennej rzeczywistosci,
nie wiedzialem, co spowodowalo smierc tego czlowieka, z wyjatkiem tego,
ze zmarl tragicznie.
Gdy usilowalem wejsc na poklad banda zlodziei zaatakowala nasz samolot,
gdy startowal. Jeden z bandytów zlapal w gescie desperacji moja
torbe podrózna. Tylko szybkie dzialanie z mojej strony oszczedzilo
ja, a przynajmniej tak myslalem. Po zajeciu miejsca otworzylem torbe.
Niczego w niej nie bylo. Pozostala tylko kisc rozkladajacych sie truskawek,
które nie pamietam kiedy wlozylem do torby. Fetor z paczki uderzyl
mnie jak piesc. Tal podnioslem sie z lózka i rozpoczalem dzien.
W sadzie (jako pokaz video – grupa ludzi odwrócona, w strone
ekranu)
Kiedy wszedlem do Sali sadowej i spojrzalem na oskarzonego, sen ostatniej
nocy powrócil z pelna sila. Zatrzymany przez policje na poczatku
stycznia 2002, z temperatura dzisiaj duzo ponizej zera i ulicami pokrytymi
biela po dwóch dniach opadow sniegu. O.J. zdawal sie byc mniej
odporny, by stawic czolo trzeciemu z kolei atakowi zimy w areszcie. Zapuscil
brode jak Che Guvera. Wyrazna róznica miedzy tymi dwoma bylo to,
ze mogles policzyc nawet najmniejsze kosteczki na twarzy O.J. –
tak byl wychudzony i wygladal na bardzo bladego. Wypelnij usta woda i
spróbuj mówic. Dokladnie w ten sposób jego glos dosiegnal
sluchaczy. Jego usta ciagle wypelnione byly slina, która chcial
wypluc. Nie bylo na to miejsca. W jednej z wypowiedzi zdradzil swój
stan umyslu, powiedzial, ze ma dziure w gardle. Przenioslem sie myslami
na sale sadowa, gdzie dziewczyna O.J. przemierzala korytarz apatycznie,
ze lzami w oczach. Ich maly synek, rosnacy w sile ze wszystkimi cechami
ojca w pelni sil, podazal za matka wesolo. Maly osiemnastomiesieczny O.J.,
urodzil sie, gdy jego tata byl juz w wiezieniu. Nigdy nie mieli okazji
do dzielenia milosci ojca i syna.
Proces rozpoczal sie o 10.00 rano i trwal dwie godziny. Po raz pierwszy
od rozpoczecia rozprawy, strona skarzaca byli mezczyzni. Przesluchiwano
czterech nowych swiadków, trzech z nich bylo policjantami. Dwóch
z nich zeznalo, ze nie pamieta nic zwiazanego ze sprawa przeciwko O.J..
trzeci policjant wspierajac sie notatkami, które przygotowal wczesniej,
zrelacjonowal fragmenty rozmowy miedzy powódka a oskarzonym, w
duzym stopniu potwierdzajac fakt, ze byli kochankami. On takze pospiesznie
zakonczyl swoje zeznanie i odmówil wdawania sie w szczególy,
taktownie unikajac pytan oskarzyciela. Czwarty swiadek, kobieta, zeznala,
ze slyszala glosy dochodzace z pokoju, obok którego mieszkala,
a który zajmowal O.J.., Ale nigdy nie zwrócila na niego
uwagi, i tym samym nigdy nie widziala powoda. Jak zwykle obronca O.J.
z urzedu nie zadal zadnego pytania w trakcie przesluchiwania.
Sedzia wyznaczyl termin kolejnej rozprawy na 6 lutego 2004. O.J. zadeklarowal,
ze nie pójdzie do wiezienia. Utrzymywal, ze powinien zostac uwolniony,
dodajac, ze woli umrzec, niz poddac sie cierpieniu, na jakie byl narazony.
„Wszyscy, którzy chca czesci mojego ciala powinni dostac
je tu, na Sali sadowej!’ Dwóch policjantów, którzy
przyprowadzili go do sadu, zwiazalo jego kolegów. Zaraz potem dolaczylo
do nich trzech muskularnych policjantów, którzy wylonili
sie zza rogu. Jeden z nich umiescil mnie wlasciwie w slepej uliczce dla
bezpieczenstwa, gdy odprowadzano O.J.. ‘Trzymaj sie O.J.. zobaczymy
sie w poniedzialek” – powiedzialem glosno. „Przyjdziesz
i zabierzesz moja glowe do domu”- krzyknal.
Przyciemnienie
(Tahar Lamri/Ravenna)
Dwa rzedy krzesel, niektóre z nich zajete; duzy zegar, jego wskazówki
wirujace na cyferblacie. Tekst jest mówiony przez nastepujace postacie
poczekalni w kolejnosci: tahar, simon, bashir, i soheila.
Chleb i róze
Ciezko mówic o pracy, bo jesli jak dotad praca postrzegana byl
jako cos odstreczajacego, teraz tak pelna niepewnosci, jest kojarzona
z poczuciem straty i klamstwami.
Punkt czwarta, jak w notatce, wyszedlem z biura pracy. Pogoda dopisywala
do godziny trzeciej, potem sie zmienila. Spojrzalem na niebo przed wejsciem
do budynku.
Pchane przez silny wiatr chmury przesuwaly sie szybko po niebie.
Czlowiek po czterdziestce, który opuszczal budynek, powiedzial
mi czesc. Nie znalem go, lub przynajmniej tak mi sie wydawalo.
Byl tam korytarz i ciemna klatka schodowa. Szare sciany, typowe dla urzedowych
biur, nie nastroily mnie pozytywnie.
Moze powinienem wrócic?
Powiedzialem do siebie samego, ale bylo za pózno.
Dobry wieczór, panie Buendia. Prosze wejsc, smialo!
To urzednik za biurkiem po mojej lewej. Pomimo duzego biurka miedzy nami
nadal czulem, ze jest zbyt blisko mnie. Wielkosc jego ciala powodowala,
ze czulem sie nieswojo, i jego wydatne rysy twarzy, i moze jeszcze wielki
nos.
To kwestionariusz, który musi pan wypelnic. Wie pan, to formalnosc.
Jego glos zmienil sie, lub tak mi sie tylko wydawalo. Wlasciwie byl tam
ktos inny i ten ktos mówil.
Bóg jeden wie, dlaczego ciagle przysylaja te zólte karty.
Spójrz, ciagle jest na nich napisane biuro pracy!
No to co!? Tak jest od dwudziestu lat!
Cóz…
Co cóz?! Marnuje pan mój czas. Czy moze pan sie zajac soba
i pozwolic mirobic swoje?
Ktos inny w biurze pisal na maszynie dwoma palcami, bardzo wolno.
Nie moge zobaczyc tej osoby, byc moze to mezczyzna. Kobiety nie SA tak
halasliwe, gdy Pisza.
Zaczelo padac, deszcz byl bardzo silny.
Zdalem sobie sprawe, ze stoje w przeciagu, gdy poczulem krople deszczu
przyniesione przez wiatr.
A moze sie myle. Nie mam daru opowiadania.
W kazdym razie nie wierze, ze jest jaks konsekwencja w sposobie ustalania
przez zycie wydarzen. Ktos wstaje i idzie w moim kierunku. Jego wzrost
mnie przeraza. Chce wyjsc. To chyba ze strachu przed zmokniecie pobieglem
na gore.
Popchnalem na wpól otwarte drzwi i wszedlem do biura. Przy szarym
biurku siedzi kobieta. Pisze na maszynie dwoma palcami. Patrzy na mnie
zaklopotana.
Czy moge wejsc?
Otwieramy miedzy druga a trzecia.
Zobaczylem, ze drzwi SA do polowy otwarte i wszedlem.
Wlasnie!
Wychodze i wracam, skad przyszedlem. Wysoki mezczyzna zbliza sie do mnie.
Gdzie pan byl?
Pyta urzednik zza biurka po lewej.
Cóz…(usmiech)… bylem w toalecie.
Czy wypelnil pan kwestionariusz?
Nie…przepraszam…, który kwestionariusz?
Ten, który dalem panu wczesniej!
Zagladam do kieszeni, ale nie widze zadnego zóltego kwestionariusza.
Znalazlem brazowy i podalem go urzednikowi, który spojrzal na mnie
niezadowolony, nie wiem, dlaczego.
Czy pan robi sobie ze mnie zarty?to dokument prawny.
O przepraszam. Pewnie zostawilem zólty na gorze!
Wracam, docieram do schodow, wchodze na kilka stopni i nagle uswiadamiam
sobie, ze nie jadlem od dwóch dni.
Pamietam mojego tulipana, juz teraz bez platków, i drzewo chlebowe,
które posadzilem w miejskim parku.
Koleiny dzien bez pracy-powiedzialem do siebie
Zaciemnienie
Na ulicy (Lam quang m/Warszawa)
Wglebi sceny: dom zbudowany z pudelek i walizek, swiatlo dochodzace z
na wpól otwartych ‘drzwi’.
Burze
Okrutne slonce swiecilo
Spalajac delikatnosc i uczucie,
Wzbudzajac nienawisc i gniew.
Pioruny zajasnialy nadzieja
A padajacy deszcz piescil
Jednak bylismy nieswiadomi
Ze krople trucizny
Stworzyly atmosfere ziemi.
A wiatr, na poczatku delikatny
Jak uczucie suszy, wial coraz silniej,
Niszczac wszystko.
Czy estesmy zywi po tych burzach?
Czy jeszcze przed?
Moje misto (Jose/Brussels)
Pewnego niedzielnego popoludnia spacerowalem z dwójka moich dzieci
w parku w Brukseli. Kazde drzewo wygladalo inaczej od tych, które
pamietam, kwiaty tez: bardzo piekne, ale inne. Pózniej, jak gdyby
cudem, zobaczylem jaskólke, taka sama, jak te, z którymi
bawilem sie bedac dzieckiem. Pózniej pomyslalem, ze wszyscy nalezymy
do tego samego swiata, ze dzielimy te sama planete od zarania czlowieka.
Coraz bardziej podobal mi sie spacer, gdy zobaczylem pomnik, hold pamieci
masakry, która miala miejsce w Kongo, hold pamieci zabitego Lubumby,
króla, który nie mial litosci dla innych.
Zaadoptowalem Bruksele. Uczynilem ja moja. Urodzily sie tu moje dzieci.
To moje miasto i jestem jego czescia. To miasto kocha nas, bo lubimy je
takie, jakie jest. To miasto jest stare jak czas, jak katedra i jej ulice.
Jego zycie toczy sie na ulicach i placach, ich chodniki pokryte SA psimi
odchodami. To miasto zna obojetnosc ludzi, krzyki swoich dzieci, liczbe
wlóczegów i bezdomnych, którzy chodza boso szukajac
jedzenia. Moje miasto wie, ze SA ludzie robiacy czarne interesy, którzy
próbuja uniknac wiezienia i wie, ze niedaleko stad toczy sie wojna.
Moje miasto nie moze spac spokojnie, cierpi, a noca slucha swoich bólów.
Doswiadczamy tego pod kazdym wzgledem: czarnym, bialym, duzym, malym,
szczuplym, brzydkim, pieknym, inteligentnym, madom, chorym i zdrowym.
Nigdy nie oczekiwalismy, ze bedziemy tacy sami. Zyjemy razem, nie jestesmy
naiwni, i radzimy sobie z kazdym, kimkolwiek jest, jak gdyby miasto nas
zaczarowalo.
To miasto przypomina mi, ze przyjechalismy nadzy, próbujac uciec
przed rezimem, glupia etniczna i religijna wojna, powitalo nas, otworzylo
swoje ramiona na powitanie nowych mieszkanców.
Bruksela, to tu zostawilem moje sny.
Fragment (Bashir/Londyn)
Nigdy nie myslalem, ze skoncze w tej szalonej okolicy, z ulicami Szekspira,
Miliona i draytona. Miejsce, gdzie Rao, indianski filozof ma tajska restauracje,
a Lee jest wlascicielem restauracji „na wynos’ i oszalamiajacej
nietykalnej córeczki.
Przybylem do Anglii z duza nadzieja. Myslalem, ze bede czytac moje wiersze
przed oczarowana angielska widownia. Zamiast tego po przybycie dowiedzialem
sie, ze Anglia jest pelna martwych poetów. Rao byl wykladowca na
uniwersytecie w bengalu. Jego rzeczowa ekspertyza z latwoscia dowodzi,
ze królowa wielkiej Brytanii jest Indianka! Rzeczywiscie moze on
dowiesc, ze wszystko jest indyjskie. Ale nie wiemy, co lee robil w Chinach.
Nie mówi po angielsku i nie jest mu to potrzebne.
Patrzac na otoczenie chaosu, zastanawiam sie, co moglo przydarzyc sie
taborowi, gdyby jak my stal sie uchodzca w Anglii. Pewnie nazwaloby jakies
danie jego imieniem, np. kurczak a la Tagor Tandoori”. I co by sie
stalo, gdyby Szekspir byl uchodzca w Indiach? Oczywiscie, Szekspir, wlasciciel
fast-foodu Stratford w bengalu!
Doswiadczenia (Lola/Bruksela)
Ostatecznie, zawsze zyjemy w obcym kraju, nawet, gdy mamy tu swój
dom, w miescie zwanym Bastogne, gdzie rzeczywiscie jestem szczesliwa…
Nasze dzieci zyja w dwóch kulturach, otrzymujac autorytet i wsparcie
naszej kultury, gdzie dziecko traktuje sie jak króla, ale jest
ono dzieckiem, a nie malym doroslym. Tu dzieci maja prawo sprzeciwial
sie rodzicom, prawo do zabawy, prawo do protestowania, prawo…prawo…prawo,
ale nikt nie uczy dziecka, ze istnieja tez obowiazki.
W Afryce z wdziecznoscia przyjmujemy, co jest nam dawane. System ten
dziala tu inaczej, inaczej my wciaz nie mozemy zrozumiec znaczenia tak
i nie w europie. Tu ludzie wciaz oferuja nam pomoc, a gdy mówimy
nie wmawiaja nam, ze powinnismy ja przyjac. Jesli w koncu przyjmujemy,
nie podoba im sie to takze. Przez swoje natarczywe propozycje chca tylko
pokazac, ze SA chetni do pomocy, ale to wszystko. Powiedziec: moge ci
pomoc nie musi znaczyc pomoge ci. To dla nas cos przerazajacego, bo nasi
samarytanie narzekaja w koncu na wlasna wielkodusznosc.
(Tahar Lamri/Ravenna)
Glos zza sceny do sekcji ruchu
Pózno w nocy
W czasie podrózy na poludnie, zatrzymalem sie w Velingarze. Napotkalem
tam dwoje dzieci z liberii, które powiedzialy mi: widzielismy straszne
walkikolo naszych domów, dlatego ucieklysmy. I szlysmy, szlysmy,
szlysmy. Doszlysmy do Dakaru, ale nie moglysmy tam zostac, wiec poszlysmy
do tiers. Moze powinnismy pójsc do Bamako, a jesli nie bedziemy
mogli tam zostac, pójdziemy do Abidijan”.
W dialakoto spotkalem dwóch talibanczykow. Bassiro, najmlodszy,
powiedzial, ze wstaje bardzo wczesnie i po odmówieniu modlitw chodzi
po miescie ze stara puszka po pomidorach, która próbuje
sprzedac ludziom wielkiego serca. Powiedzial, ze zna kilka rozdzialów
Koranu na pamiec, bo studiowal daare przez trzy lata… a jesli nie
zbierze wystarczajaco duzo do wieczora, marabut go zbije.
Pokazal mi blizny na swoim ciele „mialem wiecej szczescia od niego’
mówi pokazujac dziecko, które podhodzilo do nas. Kiedy do
nas dotarlo, oswiadczylo: czesc, mam na imieMassih, pochodze z Pakistanu.
Mam osiem lat i pracuje osiemnascie godzin dziennie w fabryce szmat, bo
moja rodzina musi splacic dlug zaciagniety na wesele siostry. Zostalem
zabity 16 kwietnia, bo powiedzialem: nie kupuj dzieciecego potu’.
Ale nie placze nad soba, placze nad tym dzieckiem tam, i skazal na dziecko
nadchodzace z kierunku Dienou Diala.
Gdy chlopczyk podszedl blizej, powital mnie tak: czesc, mam na imie Mirko.
Moja matka jest Serbka, mój ojciec pochodzi z Bosni. Mój
dziadek byl Chorwatem, babcia pochodzi ze Slowenii, mój pradziadek
pochodzil z montenegro, a moja prababcia z Macedonii. Nie wiem, dokad
jechac. Czy mój przyjaciel (wskazuje na dziecko z nikolo koba)
moze isc z wami? – dziecko odrzeklo: nie mam imienia moja mama byla
tutsi, a ojciec hutu, pochodze z rwandy”.
Nadeszlo wecej dzieci. Nie pamietam ich wszystkich. Byly rumunskie dzieci
z Rzymu, tureckie z Niemiec, dzieci uwiezione w casbahs, lub z Kambodzy,
i mala wietnamska dziewczynka, naga, na czarno-bialo, bo przyszla prosto
z mej pamieci. Wiele dzieci z medellin, Kartaginy, bandung i brescii.
Szlismy wszyscy w dlugiej linii, gdy dotarlismy do Niokolo koba, niedaleko
parku narodowego, zwanego Tamabcounda, wszystkie dzieci zostaly przemienione:
jedno stalo sie zebra, inne sloniem lub koala, czapla i nawet pasikonikiem.
Kontynuowalem moja podroz do Fodekounda, nie czujac smutku a ni szczescia.
Szukalem moich przyjaciól, ale nie zobaczylem zadnego. Nagle stuletni
baobab zawolal mnie. Baobab to jedyne drzewo, które ksztaltem przypomina
narratora. To, dlatego, ze, kiedy gubi liscie, wyglada jakgdyby rósl
korzeniami do góry. Scisnalem jego dziesieciometrowy obwod, wspialem
sie na galezie, na sam czubek, gdzie uwilem gniazdo i zostalem.
Odkad zostawilem moje lejce i oddalem wszystkie moje prezenty swiatu,
nie opuscilem baobabu.
EPILOG (Thabo J. Nkomo/ Londyn)
Miej litosc
Uslysz mój krzyk
O, Wielki, placze
Zetrzyj moje ciezkie znuzone lzy
Napraw moje krwawiace zlamane serce.
Brudy tego mrocznego swiata
Zwrócily sie przeciwko mojej zranionej duszy.
Niesprawiedliwosc wygonila mnie
z matczynej ziemi.
Okrutna zelazna reka Faraona jest bezlitosna.
Owce na pastwiskach nie chca sie uciszyc.
Gdy smiech hien dzwoni w uszach
I odbija sie w mojej blonie bebenkowej.
Drze i zgrzytam zebami w ryknieciu lwa.
Drzewa wiecznie zielonego lasu musza oddac swoje
zielone liscie.
Spójrz, lilia wiednie
Blagam o nowy oddech, o Wielki.
Blagam, by opowiedziec moim wnukom bajke o Kopciuszku.
Ich smieszni artysci pomalowali mnie bezwiednie zlym
pedzlem i farba.
Moja twarz nie jest tak niebezpieczna.
Moja skóra jest czarna
Ale moje serce biale jak snieg o Potezny.
Spójrz moje rece sa czyste.
Caluje twoje stopy i blagam o litosc
W twoich ramionach strzez mnie przed silnymi wiatrami
zaginionego swiata
Zaginiony swiat zaginionego miasta
Zaginione miasto zaginionego miasteczka
Zaginione miasteczko zaginionych ulic
Zaginione ulice zaginionych domów
Zaginione domy zaginionych dusz.
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