Inaspettatamente
Hazlas poeta
Haz que se traguen todas sus palabras
O. Paz
Tienile a bada, non lasciarle alla deriva
le spurie, quelle del malessere
che ci cresce tra le dita
e dopo decanta tessendoci giardini,
o sotterfugi sugli occhi.
Inaspettatamente si curvano sulla voce
e ci troviamo a parlare di cose intime
senza volerlo.
Sono le parole più familiari quelle che ci scivolano dalle
mani.
Raggirale, mettile di traverso, fa che stiano
strette tra loro.
Sono anche la blandizia, il conforto
che ci riporta all’infanzia, tra diserzioni e quel respirare
rotto che in certi momenti zittisce tutto in torno a noi.
A volte si cancellano, intimamente,
si svuotano, sono mani piene di parole rotte:
sono la lealtà del salto, l’animale che si acquatta
che aspetta e sa aspettare.
Ma sono anche i silenzi pieni
in quei giorni non posseduti,
in cui la vita si affretta, stringe il passo.
Ci calano fino alle ossa
relitti o rimasugli o acute certezze, insisti! Dicono.
Sono la forma paziente dell’acqua, che si ripete
monotona sullo scoglio
e il lento parsimonioso cedere
del minerale eroso e incrollabile.
Trattale con cautela, non sono malleabili,
angolose si sbrecciano con facilità,
fiutano le cose che meglio conosciamo
che ci sono più intime, le feriscono
e rimangono accanto alla ferita
quasi con dolcezza.
Sono quelle del disagio, dell’inadeguatezza
perseverante, tenace; i gesti contenuti
a stento come se d’improvviso temessimo
svelarci, esporci ad altri sguardi.
I gesti che mentono quando parliamo
o che parlano quando mentiamo.
(Dalla raccolta Nervature
a cura di Mia Lecomte, Zone editrice, Roma, 2006)
Lineamenti
Nella tua voce ci sono:
screpolature, baratri segreti,
altezze che svaniscono
e oscure foglie,
e nel tuo viso
nell’equilibrio precario
si cela l’inspiegabile allegria
delle cose vive.
(Dalla raccolta Nervature
a cura di Mia Lecomte, Zone editrice, Roma, 2006)
Io
Pulsioni, nodi dell’inconscio
sublimazioni, rimozioni
contenuti sommersi, funzioni compensatrici
mi basta guardarmi allo specchio per non ritrovarmi
e mi perdo in giro anche il resto:
l’agenda, gli occhiali, le chiavi
di casa, i fazzolettini di carta
me le porto dietro tutte queste
e altre stranezze
se cerco una matita per segnare un numero di
telefono
inaspettatamente spuntano fuori
un paio di pulsioni
perse chissà da quando
inasprite
che per riprenderle, quanta cautela!
e se dimentico di spegnere le luci e torno
sui miei passi, ecco
i nodi del mio inconscio
cambio idea e mi trattengo
a snodare uno e annodare un’altro
e nasconderne altri per momenti più cupi
in quei momenti li prendi e te ne stai lì a sgrovigliarli
senza pensarci, e la vita fuori
sfavillante sfracellandosi, ma sempre viva
attende, la lasci per un momento in disparte
che aspetti!
lo so, anche la mia vita un giorno
si è frammentata in un tafferuglio di voci
dove ogni cosa mi guardava di sbieco,
ma io avevo altro da fare
e la cosa mi disturbava, e non poco
certo, ho i miei momenti più luminosi:
se trovo una radice contorta
che spunta sull’orlo del marciapiede
allungo il passo per non calpestarla
sbriciolo le nervature secche delle foglie
e con gesti che mi scappano dalle mani
le spargo
e nella ruggine delle ringhiere so che
c’e qualcosa che mi separa da te e da me
e non che non senta anche tra le vertebre
quel poco di ruggine che si raccoglie
dopo mi allontano con un’aria un po’
teatrale
un po’ distratta in un
morente autunno di cicche
e foglie annerite sull’orlo del marciapiede
verso quel vicino parco dei gelsi, e gli aghi ingialliti dei pini
dove non vado mai
e la stagione non è meno buia
da appesantirmi meno la giacca sulle spalle
ma il peso, in certi momenti, veste bene
ma appena mi giro intorno, torno e
trovo nella memoria tutte le macchie del muro
che ho davanti al mio tavolino
e non solo di questo muro
anche quelle di un altro muro, eterno credo
dove spesso mi ritrovo e so che mi appartiene di più
e sono fisse come ciondoli, incastonate
quelle macchie nel mio sguardo
c’era un angolo, accanto ad una porta
di legno
massiccio e fradicio, sbarrata da un tubo piegato
e accanto una mensola malferma
storta e sotto la sveglia con lo smalto scrostato
un mistero fu covato, che resta,
dove non ho niente da restituire, era un luogo spoglio quello
perché lì vi fu un inizio
ora che so dove sono
un po’ la cosa mi angoscia…
ora cerco la mia agenda, le chiavi di casa, prendo la giacca
devo uscire
Negli interstizi
Il pavimento a lastre e negli interstizi
l’erba, difficile da sradicare.
Il cancello che dava al cortile dietro le finestre
delle aule, mal chiuso, scardinato,
tenuto da due o tre giri di catena. L’odore acre di urine,
e la ruggine che ti rimaneva in mano,
a scaglie e polvere iridescenti.
Là dove di nascosto ci riunivamo a fumare.
Sono questi i passi inclinati nella memoria.
e oggi l’estraneo, rigoroso, intravede
l’acredine della distanza.
Fermasi là era sedimentarle quelle lastre,
quadrate, cemento e pietrisco
gli angoli sbriciolati,
che sembravano cosi fragili.
Oggi mi sfuggono, non le trovo, le crepature
che sono sicuro c’erano:
traversali, zigzaganti, le aggrego un po’ a sproposito.
La memoria oggi va tra fenditure, le svela, coglie anche
l’erba a volte calpestata e rinsecchita, altre, invece, verde
ravvivata.
Qualcosa rimane negli interstizi, tra ricordi
e bugie:
mi fido dell’aria che il freddo della mattina
sembrava alleggerire, il verde screpolato
delle pareti, la pendenza dei corridoi e
l’ansia per gli esami, che sembra calarsi
in quella pendenza.
E un viso, il tuo, che ora ritrovo nitido,
fermo nell’impaccio di quegli anni, tu ne avevi
quattordici credo, la più piccola delle sorelle,
la più strana, distante andavi e venivi ma dietro
gli occhiali, io spiavo
serpi pensieri dietro i cristalli,
strisciavano tra ramoscelli,
un urto un crollo, un bater d’occhio e mi eri vicina.
Seduti sulla gradinata, sembriamo
intenti a cogliere docili assenze, a crederci
capaci di riallacciare tutti i dispersi fili del telaio.
Ed è inutile negarlo o non fidarsi
ci sono anche gli altri
tutti, potrei elencarli. Il resto mi sfugge,
però, c’è da credere, se il setaccio è
abbastanza stretto,
che le impronte resistono.
Se adesso vado da te agli altri, e ascolto,
attendo o aggiungo,
devo scusarmi se frugo,
rischio di perdere tutto
se non vado con cautela, discreto
zitto o quasi?
Recital
(inedito)
Quando si spensero le luci
la sala era piena, immobile nell’aria
ondeggiava un silenzio
come un lugubre cetaceo
un colpettino di tosse
diede il la,
l’attenzione si rivoltò come un calzino
tutti si smarrirono
ognuno mutò in se stesso e gli altri
non lo videro
una nebbia bluastra s’avviluppò
tra arabeschi e candelabri
o forse era una ragnatela di spettri
tutto ciò che non fu mai,
fu perpetrato in quell’istante,
l’istante si gonfiò, fu gravido
e non finì mai
quando, però, si arrivò d’improvviso
alla fine, e le luci si riaccesero
tutto rischiò di finire
nel peggiore dei modi
nel celato risveglio, nell’immobile
si salvi chi può
qualcuno, senza pensarci, spinto
dall’ansia, s’alzo in piedi, gli altri
lo imitarono, e tutti a salvo
applaudivano commossi
ma ci fu uno, forse l’unico, che in seconda
fila
o per scaltrezza o forse perché integerrimo,
non si dava per vinto, con il capo chino
continuava a dormire.
Un abbozzo di poetica
(inedito)
che dove tutto brucia, rimanga nonostante
un attrito d’argilla, un brulicare di spiriti
che dove tutto manca, perduri tuttavia
nell’aria salmastra, un filtrare di sabbia e foglie
che malgrado sia vesperale la fronte che s’inclina
resti un vespaio di sguardi un nido di parole
che non sia vero non importi nulla, che sia
vero neanche
che tra scogli salti o precipiti, ma non si arrenda
che sia di carta cartone o residui di stolta
polvere
che siano matite lapis o tagliaferro
che gli tremino le mani o balbetti o con la
voce strozzata
ma che insista
che siano presagi annunci o smentite
sospetti certezze o equivoci, che lo siano o non lo siano mai stati
che tra ombre vane ma anche solo di sfuggita
o per sentito dire
o averlo origliato o solo per averlo creduto o desiderato
o perché ci fu detto e poi smentito,
e nonostante, aver creduto che fosse vero
o per averla scampata o per esserci caduti in pieno una volta e tante
altre ancora
che a dispetto di tutto, tutto sia o detto
o pensato o scritto,
o con fermezza o con incertezza o con sgomento
ma con il sospetto che sia tutto vero
e nient’altro.
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