Qui e là
di Christiana De Caldas Brito
Christiana
De Caldas Brito |
Storie di ossessioni e visioni di donne e uomini solitari. Persone non esistenti partecipano del loro quotidiano. Un artista alla ricerca della propria identità; una vecchia che abita dappertutto; un oculista che vede una strana presenza in fondo all'occhio del suo paziente; una nonna che passa le giornate davanti alla finestra. In più: cosa succede quando per rispettare la legge Bossi-Fini seimila polpastrelli di immigrati si presentano alla questura di Roma? E che vuol dire francescata? Dove si trova Camuamu? Chi sono Eda Zarehs e Maroggia? Con i racconti di Qui e là ci rendiamo conto che i confini non sono rigidi. Talvolta neanche esistono. (Dalla quarta di copertina)
La scrittura come ponte tra due culture e realtà diversedi Maria Cristina Mauceri (Università di Sidney) Dopo il successo della prima raccolta di racconti, Amanda Azzurra Olinda e le altre, ripubblicata quest'anno e con la quale l'anno scorso ha vinto il Prmio di Scrittura Femminile "Il Paese delle donne", Christiana de Caldas brito si ripresenta ora al pubblico con questa nuova antologia, Qui e là, che comprende testi inediti ed altri apparsi in pubblicazioni diverse e in rete. Il titolo di questa raccolta ben riflette la sua situazione di scrittrice migrante che, nata e cresciuta in Brasile, vive ormai da molti anni in Italia. rmando Gnisci che ha seguito e studiato gli autori migranti che scrivono in italiano fin dall'inizio di questo nuovo fenomeno letterario afferma che "la prima ondata di scrittori migranti è quella che nel distacco si spezza la vita in due tronconi, come è destino di tutti i migranti: il primo resta sulla riva del paese del passato e l'altro cresce sulla costa ignota del paese del dopo (...) lo scrittore che scrive nella liongua del paese del dopo si avventura a costruire un ponte..." (A.Gnisci, Creolizzare l'Europa. Letteratura e Migrazione, Roma, Meltemi, 2003, p.10). Questa immagine del ponte che congiunge un "qui" e un "là" è una bella metafora per descrivere l'esperienza di chi vive tra due realtà. [...] Sicuramente uno degli aspetti interessanti della scrittura di Caldas brito è la sua capacità di usare l'italiano in modo creativo; si ha l'impressione che a volte l'autrice brasiliana si diverta a giocare con l'aspetto sonoro delle parole come nei racconti Ià, la vecchia, Il volo, Tutti, oppure le trasformi condensandole e creando neologismi come in Maroggia. In entrambi i casi la provenienza brasiliana dell'autrice, per riprendere il titolo della raccolta, in questo caso il "là" influisce sul "qui", cioè sull'uso innovativo dell'italiano. La musicalità della lingua madre di Caldas Brito, l'amore per i giochi di parole appresi fin dall'infanzia dalla madre che era una scrittrice e infine l'interessante uso del condensamento delle parole, che rivelano l'influsso dello scrittore brasiliano Guimaraes Rosa e del mozambicano Mia Couto, contribuiscono a creolizzare l'italiano dei suoi racconti. (...) Caldas Brito scrive "racconti brevi, fulminei nelle rivelazioni", come sono stati giustamente definiti (cfr. C.Barbarulli, Una riflessione su Christiana De Caldas Brito, in Kumà, n.7, www.disp.let.uniroma1.it/kuma/) ma che restano con noi anche dopo averli letti, ci intrigano e ci portano a riflettere sulla condizione femminile (L'attesa, Né tacchi né trucco né trucco né tacchi) o sulla condizione umana in generale, perché come ha rivelato l'autrice: "Scrivere serve a cambiare lo scrittore e il lettore, non a contemplarsi l'ombelico" (cfr. M.Cristina Mauceri, Le parole liberano l'anima. A colloquio con Christiana De Caldas Brito, in Kumà n.8, cit.). (dalla postfazione) Qui e là
di Daniele Barbieri
Christiana De Caldas Brito si muove su registri stilistici e temi che più vari è quasi difficile immaginare per chi, nel 1998, non abbia letto il suo Amanda, Olinda, Azzurra e le altre (uscì da Lilith ed è appena stato ristampato dall’editore Oèdipus). Misteri, grovigli infiniti, magie, favole. Fiabesco il brevissimo Il volo. Aprono troppe strade o nessuna quelle Due porte che costringono Vincenzo a scegliere: dentro di lui si nasconde un grande pittore o dovrà rassegnarsi a essere solo un abile copista di Van Gogh? Ormai ha 37 anni, deve tornare indietro o bruciarsi, comunque sapere. Un altro grande della pittura, Renoir compare in L’attesa, racconto deliziosamente fuori tempo come se l’autrice ci scrivesse da un secolo fa. Buoni sapori d’antico (nello stile più ancora che nei temi scelti) sia in L’orologio che in La vedi, la stella? e in Caffè col battitasti. Uno dei più bei racconti “acquatici” mai scritti – chi scrive è appassionato del genere e dunque può sbilanciarsi con qualche cognizione di causa - è Maroggia che chiude questa antologia. Nata a Rio De Janeiro, a zonzo per il mondo, poi a Roma come psicologa, Christiana De Caldas Brito è solo in parte la classica esponente dell’immigrazione come oggi siamo abituati a stereotipare. Eppure tra il (supposto) paradiso del turismo e l’inferno dell’esilio o del vendersi al miglior offerente esistono, se vogliamo cercarle, tante altre ragioni per muoversi sul pianeta, per ignorare con i passaporti anche le identità troppo appiccicose. E di identità impreviste, mutanti sono pieni questi racconti. Strane professioni o arti: davvero esiste una “rivelatrice di emozioni” come la birmana Sati del racconto omonimo? Ne Il capostazione incontriamo chi esercita quel mestiere simile (psicoterapeuta è il nome in voga) che «consiste nell’avvicinare le persone alle proprie emozioni»: Christiana De Caldas Brito fa subito capire che si può risolvere la «nevrosi da rolodex» dell’ingegnere C. ma bisognerà passare per Magritte, per la riscoperta del sorriso, per l’ardua decisione se fare entrare la mosca che preme contro il vetro. Quando piombiamo nell’incubo Siamo felici così risulta difficile immaginare cosa il maresciallo abbia capito della donna senza nome e se la rivelazione gli venga dalla gamba ingessata o da un antico ritratto. E’ forse l’unico caso in cui l’autrice più che misteriosa risulti volutamente oscura. Incubo anche In fondo all’occhio o forse un invito a non guardare il punto preciso in cui la morte arriva. Non sapremo mai neanche cos’è La francescata del racconto omonimo ma Christiana De Caldas Brito è abilissima a ricordarci che chi aspetta troppo a domandare si perderà di certo le risposte del vivere. Alcuni racconti nuotano in giochi di parole ma anche (è un terreno poco esplorato) fra esperimenti e ironie sull’italiano sonoro invece che scritto. Sì, come scrive Maria Cristina Mauceri nella post-fazione, Christiana De Caldas Brito usa questa sua seconda lingua in modo musicale e creativo, condensa i vocaboli (come fa il mozambicano Mia Couto, terrore di ogni traduttore tradizionalista) e ne inventa una valanga. Surreale, ma scritto con una pacatezza sorprendente, è anche Un’insolita passeggiata: siamo a Zurigo, per la precisione “il 28 agosto del 2004” e la punteggiatura dei libri decide di uscire dalla biblioteca e farsi un giro in città. L’assurdo non è letterario ma politico (ed è purtroppo reale) in Io, polpastrello 5423 con i poliziotti sconfitti da impronte digitali più intraprendenti del dovuto e con 6 righe finali difficili da dimenticare. I dolori dei migranti tornano in L’equilibrista: è dura una vita al semaforo («a forza di non essere visto ho cominciato a vedere») ma basta che qualcuno chieda il tuo nome perché tutto cambi… anche se poi “diventa verde” e non c’è tempo per rispondere. Il qui e là che dà il titolo a questa antologia, il «ci saranno sempre due posti che litigano dentro di te» è nella lettera Cara Jandira. Forse la patria è l’amore che Josè cerca in quella roulotte che brucia; ma due righe sul giornale non possono certo spiegare “brasilitaliaamorepassatomariapatriamadrepresente” che deve essere scritto così come lo si vive, una sola parola. Amore appunto. Giochi di e-mail e un susseguirsi di finali possibili in Rosa dei boschi e Samurai. Un feeling scritto già attraversa Insieme nell’undicesima divisione: ma all’appuntamento che il destino ha fissato nel lontano 1986 qualcuno potrebbe arrivare con la paura, potrebbe rivelarsi un’incompiuta di quello Chopin che lui e lei amano. Alla ricerca dell’erotismo in Né tacchi né trucco né trucco né tacchi (il titolo più gustoso). Alla ricerca di contenuti e di scatole che non ingannino nel dolorosissimo Tutti, storia di una bimba costretta a crescere «senza domande, senza risposte, senza parole». Siamo “avidi di storie” (ma anche di sogni: c’è qualche luogo dove «non esistono i colonnelli»?) e per questo è bello ritrovarsi a Cumuamu per imparare a raccontare. Come per la protagonista di questo racconto, come per la magica Eda Zarehs (sarà mica un anagramma?) Christiana De Caldas Brito come lavoro si è scelto di “inventare storie”. E lo sa fare molto bene. Piccola nota finale sulla collana “Kumacreola- scritture migranti” che con questo titolo arriva a quota quattro. Detto ogni bene possibile dell’inventore, Armando Gnisci, e dell’editore, Cosmo Iannone si potrebbe scherzosamente notare come i nomi, a volte, siano fuorvianti. Nonostante si chiami Armando non è un militarista e sul vocabolario italiano la parola che più somiglia a Gnisci è gnosticismo, una forma di sapere iniziatico assai lontano dalle convinzioni di chi fa l’elogio del mondo creolo. Quanto all’editore, il suo indirizzo è via Occidentale ma lui per fortuna si chiama Cosmo.
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