CITTA
IDENTITA’ CULTURE
Di Valentina Acava
Mmaka
E’
giunto al quarto anno il Convegno Nazionale di Culture e letteratura della
migrazione. L’evento realizzato dal CIES,
Vocidalsilenzio; Associazione Cittadini del mondo,
in collaborazione con il Comune e
La
riflessione intesa dagli organizzatori verte
sul ruolo che oggi ha la città come luogo non-luogo dove convivono identità
culturali diverse, talvolta senza incontrarsi, senza parlarsi, senza scambiarsi,
senza passare attraverso quella metamorfosi che sta alla base di
ogni processo di relazione.
La
città con la sua pretesa centralità e le sue più o meno marginali periferie,
le sue barriere e divisioni, una realtà spaziale protesa tra il desiderio
di ascesa e il limite che la sua eterogeneità stessa
implica, diventa teatro comune di una umanità varia e complessa. Un teatro
dove gli “attori”, sullo sfondo di una scenografia ibrida, sono chiamati a
contribuire alla stesura di una sceneggiatura della quotidianità capaci di
far tesoro di quella ineluttabile mappa culturale
fatta di lingue, tradizioni, emozioni, idee. Premessa questa che guarda alla
realizzazione di un progetto etico interculturale che faccia della città un
luogo di prospettive differenziate dove si possa compiere l’esperienza vitale del
meticciato, non il centro di una sola identità riconoscibile
bensì di una pluralità di espressioni ed esperienze identitarie capaci di rappresentare e testimoniare il tempo
di cui sono espressione.
D. Ogni anno il Convegno segue
le tracce di un tema, questa quarta edizione è incentrata su “Città, Identità, Culture”. Tale scelta
allude ad uno sguardo sull'attuale metamorfosi
della realtà urbana sempre più "luogo" di incontro
tra culture diverse?
PAOLO TRABUCCO (organizzatore
del convegno)
Quello
della città e delle sue interconnessioni sociali e culturali è un tema
quanto mai attuale e, per certi versi, perfino abusato. La metropoli
appare spesso rappresentata come metafora di una modernità aggressiva
e alienante, che induce l’individuo allo spaesamento,
all’isolamento, alla perdita di identità. Oggi, la realtà metropolitana, quella
che è sotto gli occhi di tutti, si sta modificando
ulteriormente: non solo le grandi città, ma anche i piccoli centri
di provincia dei paesi occidentali si stanno trasformando
in luogo di attrazione di migliaia di individui di diversa provenienza, con mondi, memorie, lontani e diversi
alle spalle. Si creano così le premesse per inedite
mescolanze di storie, lingue, identità, culture.
Seguendo le suggestioni seminate dallo studioso Iain Chambers, rivisitando le città come nuovi “paesaggi migratori” si potrebbe pensare a una diversa idea
dello spaesamento:
una sorta di inedito spazio aperto nel quale le radici di ciascuno
di noi sono messe in discussione; ma anche uno spazio critico nel quale prendere
coscienza di come le culture, i linguaggi, le storie individuali e collettive
sono qualcosa in continua elaborazione,
da rileggere nel confronto costante
con l’altro e con l’altrove, per fare di ogni identità non un punto di arrivo,
ma un punto di partenza
D. Ferrara città di provincia, in che modo gli immigrati - i migranti hanno contribuito a valorizzare
l'identità cittadina?
Quello
che mi sento di poter dire in proposito è che Ferrara
è una città che per caratteristiche
geografiche e socio-economiche si pone ai margini dei grandi flussi migratori.
Tuttavia negli ultimi anni la presenza di immigrati
si è fatta anche qui crescente. Questo
nuovo dinamismo sociale, l'apertura della città a suoni e colori diversi, sembra di tanto in tanto poter sospingere la “grande nave di
pietra rossa” al di là della sua statuaria
immobilità.
Sono molti
i luoghi della città che stanno mutando aspetto. Chi si recasse ai giardini
del centro nelle prime ore del pomeriggio potrebbe
pensare di trovarsi in una città albanese o bosniaca, tante sono le donne
dell'est europeo che vi si ritrovano, nei
loro momenti di pausa dall'attività di badante, sotto lo sguardo attento del
monumento a Garibaldi. Il grattacielo,
l'unico della città, simbolo ormai sgualcito della prosperità del boom economico
degli anni Sessanta, si è trasformato in una piccola babele multilingue e multicolore: interessante laboratorio sociale
di una nuova forma di convivenza per chi lo sa osservare con ottica lungimirante;
pretesto per richiamare la retorica dell'immigrazione solo come problema di
ordine pubblico per chi si ostina a chiudere gli occhi e a conservare
le frontiere e i confini dentro la propria testa.
Indubbiamente
con l'aumento del numero di donne, uomini e bimbi stranieri sono cresciute le esigenze di trovare forme di accoglienza che rispondessero
a bisogni urgenti (casa, lavoro..),
ma che segnassero anche la strada per una piena integrazione
di questi nuovi cittadini, offrendo loro pari diritti e opportunità
e positivi modelli di convivenza.
Proprio
la presenza d immigrati, tra i più indifesi nei confronti di forme di discriminazione
e sfruttamento, ha stimolato la nascita e la crescita di associazioni, alcune delle quali formate da stranieri,
che offrono importanti servizi per quanto riguarda il lavoro, la mediazione
scolastica, l'informazione e l'assistenza per gli iter burocratici e amministrativi, che creano
momenti di socializzazione e scambio culturale oltre che
stimolare l'intervento delle istituzioni
sui temi del diritto di cittadinanza.
Nella
nostra città queste forme di
associazionismo di base, nate e sviluppate per rispondere a
delle emergenze sociali, mai del tutto superate, rappresentano un valore aggiunto di democrazia,
svolgendo una funzione insostituibile
nel mantenere vigile l'attenzione nei
confronti di ogni forma di discriminazione e sfruttamento, rappresentando
dunque un ulteriore avamposto a difesa
dei diritti di tutti.
D. Dovendo tracciare una mappa della tua identità, quale o quali sono
state le città che hanno concorso alla formazione del tuo patrimonio identitario?
TAHAR LAMRI
La città che
mi ha segnato indelebilmente è ovviamente Algeri, la mia città natale, ma
nella quale posso dire che ormai ho passato meno tempo lì che altrove. Poi
si sono susseguite le città in me – Bengasi, Il
Cairo, Tunisi, Casablanca, Parigi, Londra, Bombay… fino al mio approdo a Ravenna,
dove vivo stabilmente dal 1987. Una città a mio avviso concorre alla formazione
del patrimonio identitario quando possiamo decifrarla, parlarne la lingua
architettonica e ambientale e in un certo senso sentirne il profumo e l’odore,
o meglio farci investire da questo profumo, da questo odore. Le città natie
hanno questa caratteristica. Le altre mi hanno investito rimanendo “altre”.
ALESSANDRO GHEBREIGZIABIHER
Credo che,
rispondendo solo a questa prima domanda, emerga in maniera significativa
quanto il mio cammino sia stato immerso fin dall'inizio in una logica interculturale.
In prima istanza vi sono le città d'origine dei miei genitori. Asmara,
in Eritrea, mio padre, e Napoli, mia madre. Io sono nato a Napoli ma, dopo neanche due anni,
ci siamo trasferiti a Roma. Tuttavia i loro racconti su queste due località,
così diverse in tradizioni e stili di vita, ma contemporaneamente piene di
inaspettate somiglianze in sentimenti ed emozioni, vero indiscutibile
ponte tra le razze, si sono depositati nella mia immaginazione di bambino
con la semplicità e l'armonia che solo quell'età permette. Indubbiamente, poi, sia Napoli, che soprattutto
Roma, hanno nel tempo guadagnato la mia attenzione grazie al confronto di
tutti i giorni con la gente, i parenti, gli amici, in quell' incessante
gioco degli specchi che è fatto di verbale e non verbale, linguaggi e codici
generazionali, posture ed atteggiamenti, prepotentemente attraenti nel periodo
adolescenziale
HELENE PARASKEVA
Sono nata ad
Atene, vivo a Roma e ho studiato a Manchester. Ho avvertito le assonanze
culturali della “culla della civiltà”,
della “patria del Diritto” e della “terra della rivoluzione industriale”
e mi sembra di conoscere, in qualche modo, le loro dimensioni reali. Ma
è la periferia che mi rappresenta veramente, parlo della periferia urbana
come luogo esistenziale.
D.
Nella tua esperienza è la città ad
averti scelto o sei tu ad averla scelta? In che misura la città determina
o ha determinato la tua percezione della realtà nel quotidiano?
TAHAR LAMRI
Mi considero
profondamente metropolitano e non potrei vivere in
campagna, ma in questo non ho mai scelto io, ma sono lasciato scegliere dalle
città in cui ho vissuto e ho camminato. Ma non saprei
dire come la città ha determinato la mia percezione del quotidiano, perché
tutto si è svolto naturalmente. Non ho mai avuto l’esperienza del “barbaro”
Droctulft del racconto di
Borges, che voleva conquistare la città e finì
per esserne conquistato, in quanto non mi sono mai posto in questi termini.
ALESSANDRO GHEBREIGZIABIHER
La mia esperienza
immagino sia peculiare, in quanto a Roma, intorno alla fine
degli anni settanta e primi anni ottanta, l'immigrazione in Italia era un
fenomeno ancora giovane e non era così consueto incontrare un afro-italiano. Ricordo benissimo che dall'asilo, passando per le elementari, fino
alle medie e superiori, sono sempre stato l'unico studente con la carnagione
più scura del solito, con tutto quello che ciò comporta, nonostante la mia
carta d'identità dichiarasse la mia presunta italianità.
Dico presunta poiché per i miei coetanei,
e non solo, ero Italiano nel momento in cui parlavo e, forse, neanche bastava.
Figuriamoci romano o napoletano. E per questo che credo
di aver scelto io la città, le città, come riferimento. Roma è dove
vivo, dove ho conosciuto le persone a me care, dove è nato mio figlio, Napoli
rappresenta sicuramente la mia passione per il teatro e per l'affabulazione, ed Asmara, l'Eritrea, è indubbiamente nel mio
sangue, nel mio istinto, nella mia fisicità, nella mia energia vitale. O magari il tutto si mescola contraddittoriamente, a mia insaputa.
HELENE PARASKEVA
Atene e Manchester
hanno scelto me. Sono nata nella prima e ho studiato nella
seconda, grazie ad una borsa di studio. Roma
l’ho scelta e la vivo volentieri ogni giorno. Ovviamente, non è una tranquilla
cittadina e devi essere “armato” di grinta anche solo per andare a prendere un cappuccino
al bar : devi farti rispettare nella fila davanti
alla cassa, guadagnare il tuo spazio senza esagerare davanti al bancone,
salutare con voce sufficientemente alta per farti rispondere ma non
troppo alta, altrimenti attiri l’attenzione, bere il cappuccino mostrando
che hai gradito oppure non, senza strafare ma con determinazione, un gioco
di sguardi e sorrisi riservati. E sono solo le sette le
mezza di mattina, hai tutta la giornata davanti a te… Quindi, la città
è la mia realtà.
D.
Possiamo definire la città come mappa “topografica “ della nostra
anima?
TAHAR LAMRI
Non lo so.
So soltanto che le città sono abitate e animate da persone che a loro volta
sono animate dalla città, dall’urbe. Mi piace il senso di “cittadino” insito
in questa parola. Ma come “mappa” specchio dell’anima non ci ho
mai pensato anche perché non considero la città come labirinto, ciò che potrebbe
esserlo una Casbah o una medina. Quindi
non so rispondere a questa domanda.
ALESSANDRO GHEBREIGZIABIHER
Dipende, a
mio modesto parere, per cosa s'intenda per città.
Se parliamo di luogo, spazi, riferimenti culturali e storici, credo di no.
Almeno penso non funzioni così per il sottoscritto. Nel mio
caso ritengo che la mia anima, se ne possiedo una, sia stata finora scritta
dalle emozioni e i sentimenti che mi hanno attraversato negli anni, sfiorando
o, più intensamente, toccando la vita degli altri, come il viceversa. E, spesso,
essi mi ricordano 'la mia città molto più di altro.
HELENE PARASKEVA
Sì, sono d’accordo.
La “mappa topografica dell’anima” io la chiamo “luogo esistenziale”.
D.
Nella tua esperienza in che modo i luoghi delle tue origini costituiscono un legame con
il luogo che hai scelto di vivere?
TAHAR LAMRI
A pensarci
bene non esiste alcun legame fra i miei luoghi d’origine e il luogo dove ora
vivo. In questo momento sto sentendo i battiti di un campanile, e i miei luoghi d’origine
erano scanditi dal muezzin. Questa fa un’enorme differenza. Ma il legame non è necessario per stabilirsi in un dato luogo.
ALESSANDRO GHEBREIGZIABIHER
Nella
prima parte della mia vita, nell'infanzia, credo di aver osservato quanto
ciò avvenga tramite le persone, attraverso l'incontro. Quello di mia madre e mio padre,
ad esempio, quello tra i loro rispettivi parenti, il modo in cui essi hanno
interagito, davanti ai miei occhi, con l'ambiente estraneo, e così via. Col tempo sono felice di aver trovato nella
scrittura una strada meravigliosa per collegare tra loro, come in una coreografia,
i pezzi danzanti dei luoghi della mia vita.
HELENE PARASKEVA
Sono come i
due poli dell’altalena. Vivo a Roma e mi manca il vento selvaggio di
Atene e quando finalmente vado lì , non vedo l’ora di tornare per risentire
un “frizzico de (sic) Roma”.
D.
Esiste una città del migrante
diversa da quella del cittadino autoctono? Senza dubbio nella grande città si assiste ad
una divisione spaziale del territorio urbano che definisce la comunità
presente in base a parametri economici ma anche culturali. Credi che ci sia il rischio di una ghettizzazione più marcata o la città del futuro ha speranza
di raggiungere un modello dove l’eterogeneità costituisca un plusvalore e
non una barriera, un elemento di frontiera?
TAHAR LAMRI
A costo di
dire un’assurdità, direi che non esiste
Le città sono intrinsecamente
costruite per mantenere le barriere ed il rischio di ghettizzazione in una
società mercantile è inevitabile.
ALESSANDRO GHEBREIGZIABIHER
Rispondendo
alla prima parte della domanda, credo di sì. Indubbiamente i comprensibili
bisogni di condivisione, di identificazione, di semplice aiuto reciproco, portano il
migrante a 'fare città' con i propri connazionali,
come avviene in ogni parte del mondo ed è riconoscibile in ogni epoca. Sulla seconda parte della domanda credo che
stia a noi far sì che vada in un modo o nell'altro, dipende da noi, Italiani,
immigrati, oriundi, persone, insomma. E' una scommessa che si gioca ogni giorno,
ogni volta che incontriamo qualcuno 'altro' da noi.
HELENE PARASKEVA
Ogni giorno, il migrante deve “conquistare”
la nuova città, deve conoscere i suoi linguaggi, i codici, i gesti significativi,
i modi di dire, i segni e i segnali segreti, a cominciare dal bar, presto
la mattina. Questo impegno quotidiano arricchisce il migrante. Per l’autoctono
l’apprendimento è inconsapevole, come quello della lingua madre prima di andare
a scuola. Se il migrante un giorno si arrendesse e smettesse di voler
imparare e conoscere la città, allora si fossilizzerebbe, si lascerebbe emarginare.
Ma anche
l’interculturalità, cioè il rapporto-scambio reciproco
fra culture diverse, la transculturalità, la consapevolezza
che ognuno di noi (migrante o autoctono) è portatore di cultura e la volontà
reciproca di decostruire, cioè discutere insieme i valori e costruirne nuovi,
accettati da entrambi. Non dico buttare via tutto, dico: prima mettiamoci
in discussione e troviamo valori che stiano bene ad entrambi. Ma per fare questo bisogna prima “raccontarci”.
Nel frattempo, però, la città reale
non ci deve sfuggire, non deve diventare un groviglio di tangenziali e circonvallazioni
che scorrono intorno ad un sarcofago chiamato “centro storico”. Manca il “Forum”,
l’ “Agorà”, come luogo reale. La città del futuro
la costruirei come un’ “Agorà” di reciprocità, con
tanti spazi per l’accoglienza, l’incontro, la discussione, l’accettazione,
la narrazione...
D.
La città europea del 2005 è lo specchio di un mondo in movimento, persone
che si spostano, emigrano, immigrano. Il volto di un mondo
multiculturale in continua trasformazione.
Come vive gli spazi urbani un immigrato oggi rispetto a 20 anni fa?
TAHAR LAMRI
Rispetto a
20 fa l’unica differenza che vedo è nei volumi: ci sono più stranieri e forse
gli sguardi non sono più insistenti. L’immigrato, dipende dal progetto individuale
di ciascuno ovviamente, è spesso indifferente alla città nella quale vive
se la considera una tappa per un definitivo ritorno al paese oppure può considerarla
ostile o peggio opprimente. Per quelli invece che intendono stabilirsi definitivamente
nella città o nel luogo di approdo, direi che ci
può essere una specie di formazione che passa dalla decostruzione
in sé della città alla sua ricostruzione assieme al ricostruzione di un Io
una identità più atta a leggere e decifrare questi nuovi spazi.
ALESSANDRO GHEBREIGZIABIHER
Facendo riferimento
alla città di Roma credo che molte cose siano cambiate, in meglio, penso.
Sicuramente ha aiutato la presenza sempre più crescente di persone di nazionalità
le più varie e la capitale è storicamente un polo multiculturale,
aperto alla diversità, anche se nella sua storia talvolta se ne
è dimenticata. Da quello che vedo, la maggiore diffusione dell'inglese
ha reso la comunicazione più facile e questo non è un cambiamento da niente.
HELENE PARASKEVA
Scrissi alcuni
racconti del “Tragediometro...” anche dieci o quindici anni fa e faccio il confronto fra adesso
e allora ponendomi la domanda: in che modo la città è cambiata? L’unica pratica
superata è che oggi non è più necessario recarsi alla Circoscrizione per un
certificato. Ma per il resto? Mi chiedo e vi chiedo:
che fine hanno fatto i pregiudizi, gli stereotipi,
il razzismo di allora?
D.
In un bel libro Italo Calvino descrive le città invisibili, città dietro
la cui iconografia si celano nuovi simboli e significati.
Ci sono più modi di “leggere” una città, come leggi la tua città?
TAHAR LAMRI
Spero
con meraviglia e stupore ogni giorno per poter cogliere angoli, luce, spazi…
ALESSANDRO GHEBREIGZIABIHER
Sarà forse
una deformazione professionale, in quanto - a parte
lo scrivere - lavoro come teatro-terapeuta ed animatore sociale ma la mia
lettura del mondo che mi circonda passa inevitabilmente attraverso l'osservazione
del modo di muoversi e di camminare delle persone che incontro, delle espressioni
dei loro visi, delle emozioni che esprimono con essi e con i gesti. Ma soprattutto
con il linguaggio, il dialetto, lo slang e i codici nascosti in esso.
Immagino che si evinca, e lo spero, che città per me vuol dire gente, persone,
umanità.
HELENE PARASKEVA
A proposito
delle “Città invisibili” di Calvino, quella che più m’intriga è Isaura,
dove “un paesaggio invisibile condiziona quello visibile”.
Nel mio racconto “Nella città degli Imperatori” (Antologia
Pubblica 2005, Faraeditore)
Prendiamo come esempio
“Nella città degli Imperatori” c’è
anche un'altra interpretazione del rapporto fra paesaggio visibile e invisibile,
palese ma nascosta, che lascio scoprire al lettore.
D. In
questa edizione delle giornate del Convegno avrà luogo la performance
teatrale AND THE CITY SPOKE, uno
spettacolo a più voci realizzato da Jennifer
Langer e Marta Niccolai.
Cosa ha determinato questa scelta? Il teatro in tal senso può
essere visto come metafora della città multietnica,
pluri -identitaria?
PAOLO TRABUCCO
La
performance teatrale “And the city spoke”,
ideata da Jennifer Langer
e Marta Niccolai, affidata alla regia di Ernst Fisher,
è il frutto di un progetto promosso dall’ associazione inglese, “Exiled Writers Ink”. Come Cies-Ferrara abbiamo partecipato volentieri a questo progetto, viste le
consonanze di interessi tra le due
associazioni, che si occupano di letteratura della migrazione. Il progetto
prevede l’incontro, lo scambio delle esperienze, ma anche della sensibilità e dei
linguaggi, di scrittrici e scrittori
migranti che risiedono in diversi paesi europei: Inghilterra, Belgio,
Polonia e Italia. Gli autori sono stati invitati a
incontrarsi e a portare ciascuno un contributo personale intorno al tema del
rapporto tra la città e l'esperienza, concreta o simbolica, della migranza. Dalla messa
in circolo di questi contributi è nato lo spettacolo “And the city spoke”.
Abbiamo voluto portare
gli esiti di questa interessante esperienza, già
rappresentata a Londra e Varsavia, anche a Ferrara, realizzando questa “apertura
europea”, perché la riteniamo particolarmente
in sintonia con lo spirito del nostro convegno. Crediamo che la scelta della performance teatrale,
per la peculiarità delle sue caratteristiche
espressive, e per le particolari modalità
con cui questa esperienza è stata pensata e realizzata,
sia adatta a rappresentare, attraverso le forme comunicative piuttosto immediate del
linguaggio teatrale, da un lato, come
dici tu, una efficace metafora della città multietnica,
pluri–identitaria, dall’altro
la disponibilità e lo sforzo di ricerca per intrecciare
le propria storia, la propria cultura, i propri linguaggi con le storie, le
culture, i linguaggi degli altri.
D. Come nasce l'idea di realizzare lo spettacolo AND THE CITY SPOKE?
MARTA NICCOLAI
Lo spettacolo è
stato concepito e sviluppato all'interno di un'organizzazione che si
chiama Exiled Writers Ink, il cui scopo è di promuovere
poesia e scrittura creativa per i rifugiati e gli esiliati in Inghilterra.
Jennifer Langer, direttrice dell'organizzazione
(ONG), aveva questa idea di mettere insieme le voci
di emigrati o rifugiati di più paesi, e la città è sembrato un legame ovvio
con i loro sentimenti e pensieri in relazione all'Europa. L'idea è nata anche
dalla consapevolezza che ogni qualvolta c'è un consiglio europeo per discutere
"la questione immigrati, o extraeuropei",
è sempre l'Europa che parla e scrive, mai l'Altro.
Quali sono le caratteristiche dello spettacolo
e in base a quali criteri avete scelto gli autori?
Abbiamo chiesto ad alcuni che erano nel data base di EWInk. Fin dall'inizio, lo spettacolo
avrebbe avuto partecipanti dal Belgio, dalla Polonia,
e dall'Italia, due per ogni paese. Questa collaborazione è stata possibile
per conoscenze mie e di Jennifer. Abbiamo inviato
loro la tematica con descrizione di cosa dovevano
descrivere e la lunghezza. i tempi e i dettagli non
sono stati molto rispettati quindi alcuni hanno prodotto a seconda della richiesta,
altri hanno riciclato, ma infine ci siamo rese conto che ovunque negli scritti
si esprimeva il conflitto tra la cultura interna e quella nuova, o il ricordo
del paese di origine, insomma il dualismo era presente in una forma o nell'altra.
Nessuno di loro è attore professionista e qui abbiamo rischiato,
ma volevamo che fosse lo scrittore stesso a
rappresentare i propri sentimenti. Poi c'era il grosso problema della lingua,
in quanto alcuni non parlavano inglese per niente,
quindi c'era bisogno di traduzione, ma non volevamo dare troppa voce all'europeo,
anche se era una voce che permetteva all'Altro di farsi sentire e vedere.
Quindi abbiamo sì usato traduzioni simultanee,
ma anche proiezioni di testi, e in certi punti, pannelli esposti da comparse
sulla scena, o voci fuori campo. Il regista è stato encomiabile perché in
pochissimi giorni ha messo insieme gente non professionista che non si era
mai vista prima, ed ha racchiuso il tutto in una forma 'sequenziale', perché
interazioni non potevano esserci a causa delle lingue diverse. Più o meno
poetici, più o meno discorsivi, i testi, come già detto, esprimono tutti presenza e assenza, del proprio paese, del dialogo e
scambio con l'europeo, della cultura diversa che si scontra con la propria,
e la propria che deve ritirarsi in un interno, personale, non visto,
perché bisogna diventare Altri.
D. In che misura la città apporta un contributo alla formazione identitaria dei suoi cittadini migranti
MARTA NICCOLAI
Penso che la
risposta alla città e all'identità riprenda un po' quanto detto sopra, quel
movimento interiorizzato di espansione e contrazione, molto interiorizzato, che non
necessariamente si porta con sé obiezioni, anzi c'è la comprensione della
necessità di 'alterarsi', ma alla fine la città ...che cos'è la città? è lo scambio tra persone, è cultura e memoria culturale e
la diversità isola, lo scambio è assente. però città
europea vuol dire anche opportunità, come nel caso di Soheila,
che ne evidenzia l'importanza in rapporto alla sua voglia di libertà, mentre
Bashir ironizza sulle differenze culturali che causano malintesi;
Simon e Tahar mettono l'accento sui diritti umani,
e mentre Simon lo fa in un modo più fantascientifico, Tahar lo poetizza con l'incontro di bambini morti che hanno
subito l'ingiustizia di essere nati nel Sud del mondo; per Lola invece è l'incontro
con la comunità e i suoi pregiudizi, ma nella constatazione delle differenze,
Lola trova uno spazio e uno scambio.
D. Tahar ci vuoi parlare di questo progetto,
come nasce e come sei entrato a farne parte?
TAHAR LAMRI
Questa “performance”
che è un vero e proprio spettacolo teatrale nasce
da un’idea di Marta Niccolai e Jennifer
Langer, della rivista Exiled Ink!. Sono stati raccolti diversi autori migranti (migrant writers, per dirla in inglese)
residenti in alcuni paesi europei ( Italia – Belgio – Gran Bretagna – Polonia),
attorno a un regista tedesco, Ernst Fischer, che ha costruito
a partire da questi testi uno spettacolo teatrale e ha vinto, a mio avviso,
la sfida di far diventare questi autori, veri e propri attori. Sono entrato
a farne parte grazie a Marta Niccolai che ho incontro
durante i lavori del Convegno di Ferrara, l’anno scorso.
D.
Tu sei anche autore di testi teatrali,
ti identifichi con l’immagine del teatro che diventa
metafora della città multietnica, luogo di relazione,
un luogo che può essere costruito con l’apporto di tutti?
Sì assolutamente. Il teatro ha questa forza, volevo dire missione. Solo che il teatro va
al di là del multietnico
e l’interculturale, costruisce il meticciato. E’
quasi un’utopia. Ma il teatro riesce a realizzarla,
perché il teatro è una biblioteca, quindi l’universo, e nelle biblioteche
convivono le lingue, le religioni …
D. Paolo com'è nella tradizione delle giornate
ferraresi, gli studenti delle scuole superiori saranno protagonisti.
Con la loro presenza, riconfermate l'impegno a creare un luogo privilegiato
dove le nuove generazioni e gli scrittori possano incontrarsi definendo possibili
tracce di dialogo e scambio tra percorsi identitari diversi?
PAOLO TRABUCCO
Quello
di dedicare le giornate del convegno a
un pubblico così speciale come quello degli studenti è rimasto, in questi
quattro anni, un nostro obbiettivo prioritario ed è sempre più un tratto distintivo del convegno stesso.
Crediamo molto nella potenzialità educative
dell’ l’incontro tra percorsi culturali e identitari
diversi. La scuola, che essenzialmente si fonda su relazione e cultura, è
un luogo privilegiato in cui proporre
questo tipo di esperienza. In questi anni, durante
le fasi preparatorie del convegno, abbiamo cercato di favorire il più possibile
nelle scuole gli interventi di mediazione
interculturale e le occasioni di incontro tra scrittori migranti e studenti. L'incontro
diretto, la conoscenza reciproca, lo scambio di esperienze
sono i veicoli attraverso i quali si può tentare di sradicare pigrizie concettuali
e stereotipi che pongono la figura del migrante ai margini di ogni fenomeno
sociale e culturale. Fino ad ora l’impegno da noi profuso in questa direzione
ha trovato una straordinaria rispondenza nell’interesse e nell'impegno con
il quale gli studenti e gli insegnanti hanno accompagnato
le diverse edizioni del nostro convegno. Ne sono testimonianza i tanti lavori prodotti nelle scuole sui
temi dell’interculturalità e della letteratura della
migrazione, che noi sistematicamente raccogliamo negli atti del convegno e
pubblichiamo sul sito “Voci dal silenzio”.
Pubblicato su Librialice.it il 12 aprile 2005
(http://www.librialice.it/news/primo/conv_migrazione.htm)