La letteratura della migrazione e la pace
di Christiana De Caldas brito

Questo convegno è una manifestazione di pace. Non consiste in una passeggiata per le vie di Ferrara, ma nell'opportunità data a noi, artisti migranti, di portarvi i nostri lavori, di riflettere su quello che stiamo scrivendo, di parlarvi della nostra poetica.
Di solito abbiamo un'idea negativa della pace. L'associamo all'inerzia dei defunti ("requiescat in pacem"), all'ozio dei fannulloni, all'indifferenza degli egoisti. Diciamo "lasciami in pace" quando non vogliamo essere coinvolti in un'azione. Per alcuni di noi essere in pace significa non avere dei problemi.
Ma sarà così negativo il concetto di pace?
Sicuramente ci sfugge l'aspetto dialettico della realtà. Vivere in pace significa essere sempre in guerra con i problemi.
Quando si cerca di capire le diversità, di creare le condizioni perché la cultura non sia un privilegio del potere, si sta lottando per la pace. In una democrazia la semplice opposizione è già un conflitto. La diversità crea dei problemi che sono però il sottofondo della pace. Se c'è un problema c'è una soluzione e vivere in pace sarà esattamente trovare le soluzioni per riconoscere e rispettare le diversità.
Qualche anno fa ho partecipato ad un festival internazionale di poesia a Struga, una graziosa cittadina sul Lago di Ochrida, nel sud della Macedonia. (Se avete visto il film macedone "Prima della pioggia" vi ricorderete del bellissimo monastero medievale presentato all'inizio del film. Quel monastero si trova in alto ad una collina che si affaccia sul lago di Ochrida).
Poeti di tutto il mondo si erano trovati a Struga per recitare le loro poesie e migliaia di persone, io fra loro, si erano radunate per sentirle. Ero arrivata da Skopje,la capitale della Macedonia, e da lì avevo visto molto da vicino le montagne del Kossovo, scenario di un'altra recente guerra.
Osservando i poeti che recitavano le loro poesie e che poi se le scambiavano, mi resi conto dell'utilità di questi incontri per mantenere accesi i valori della creatività. La creatività allontana la frustrazione e la paura. E sono sempre la frustrazione e la paura a renderci aggressivi. Mi sembrava di sentire nella voce dei poeti a Struga, come sicuramente avete sentito qui ieri, e sentirete anche oggi, quello che Simone de Beauvoir ha giustamente chiamato "i mormorii sotterranei della speranza".
In un mondo pieno delle cicatrici di guerre passate e delle ferite della guerra di questi giorni in Irak, è giusto creare dei momenti per mantenere viva l'arte, la poesia, la letteratura. È uno dei modi di rinvigorire la pace.

Vi racconto una storiella brasiliana.
Siamo in Amazzonia. Non molto lontano dal grande fiume. In piena foresta si sviluppa un terribile incendio. Le fiamme cominciano la loro distruzione. Il fuoco si propaga, arde la vegetazione, cadono gli alberi. Un uccellino vola, in mezzo al fumo provocato dall'incendio. Si avvicina alle acque del fiume, prende con il becco una goccia, vola verso la zona dell'incendio e fa cadere la goccia d'acqua. Ritorna al fiume, prende un'altra goccia, vola verso l''incendio e nuovamente la butta giù. Ripete questo in continuazione. Gli altri animali vedono l'uccellino indaffarato e uno di loro gli grida: "Guarda che non serve a nulla quello che stai facendo! L'incendio va avanti lo stesso. Le gocce che mandi giù sono inutili!" Prima di riprendere un'ennesima goccia, l'uccellino risponde: "Non so se l'incendio si spegnerà. Solo so che sto facendo la mia parte."
Il nostro incontro di oggi è il risultato di un lungo e faticoso lavoro del gruppo di Ferrara. È la nostra comune goccia d'acqua per spegnere gli incendi provocati dalle bombe.
Un proverbio africano dice: "Chi vuole fare sul serio qualcosa, trova una strada; gli altri, una scusa."

Noi, scrittori migranti, veniamo da mondi più o meno lontani, siamo espressione della diversità, ma non abbiamo in comune solo la nostra goccia d'acqua. Abbiamo in comune la lingua italiana. Quando gridiamo contro le ingiustizie, le discriminazioni, la mancanza di sentimento nel vivere quotidiano, gridiamo in italiano. Facciamo la nostra parte nella costruzione della pace. Non quella pace concepita come assenza di problemi, ma la pace che lotta per distruggere gli stereotipi, per rabbonire i cuori e focalizzare alcuni dei problemi dell'esistenza.
Nella prefazione del suo "Lunario dei giorni di quiete", libro che mi fu prestato da Nora, una simpaticissima argentina che vive a Ferrara, Guido Davico Bonino racconta che da giovane, nelle sue "librarie scorribande" cercava delle risposte ad alcune domande. Quelle domande sono le stesse di ogni lettore. Sono i grandi temi della letteratura:"Qual è il ruolo dell'uomo nell'esistenza? Esiste Qualcuno o qualcosa che può determinare il nostro destino? Cosa vuol dire avere un'anima? Si può possedere la felicità? Quanto conta nella vita l'amicizia? È umano avere paura della morte?"
Ognuno di questi temi potrebbe ispirare un romanzo. Tentare delle risposte, o per lo meno mantenere vive le domande, ecco il compito della letteratura. Vorrei aggiungere ai temi citati da Davico Bonino, quelli considerati tipici della letteratura della migrazione: l'allontanamento dalla terra di origine, le ingiustizie e le disuguaglianze sociali, le persecuzioni politiche, la lotta per conquistare la propria indipendenza e dignità, i flussi migratori, le discriminazioni subite.
Nei racconti pubblicati in Italia, ho scritto di donne che vivono in disagio, donne senza peso nella società, la cui voce non conta: immigrate, colf, lavandaie, prostitute, donne sole, a volte persino violente.
Anche il mio romanzo, che spero sarà presto pubblicato, è caratterizzato dalle condizioni difficili in cui vivono i suoi protagonisti, abitanti di una delle tante favelas di Rio de Janeiro.
Nel 1955, quando ero un'adolescente, un libro che mi ha colpito: "Quarto de despejo", scritto da Carolina Maria de Jesus, una favelada. (In Italia, "Quarto de despejo" è stato tradotto da Alberto Moravia: "La stanza dei rifiuti", Bompiani, 1965). Carolina Maria de Jesus nel suo diario affermava che le favelas erano le stanze dei rifiuti delle grandi città brasiliane.
Se Daniel Pennac ha ragione nel dire che "noi siamo abitati da amici e dai libri che abbiamo letto", forse il mio romanzo mi abita dalla mia adolescenza. A me interessava riflettere sulla sorte di una determinata classe sociale brasiliana il cui destino sembra essere segnato già dalla nascita. Che via di uscita hanno gli abitanti delle favelas di Rio? Volevo portare i lettori ad una riflessione sulla povertà del terzo mondo e sull'ineluttabilità di certi destini in condizioni sfavorevoli.
Noi, scrittori migranti, viviamo in un paese diverso da quello in cui siamo nati e scriviamo in una lingua che non è quella dell'infanzia. Il distacco dal nostro paese di origine (madre patria), dalle nostre parole (madre lingua) e dai nostri affetti (rappresentati dalla nostra madre biologica) non può che incidere sulla nostra creatività. Ma non deve assolutamente limitarla. Vogliamo scrivere su temi che non siano necessariamente attinenti alle problematiche della migrazione (la partenza, l'adattamento con i suoi conflitti, la saudade). Se lo scrittore è legato soltanto alla sua condizione esistenziale di migrante e crea una scrittura autobiografica, forse non è uno scrittore nel senso lato ma solo uno che ha scritto sulla sua pur valida esperienza della migrazione.
Lo scrittore dovrà approfittare delle sue esperienze nel nuovo paese per allargare la sua visione del mondo (anche del suo mondo prima della migrazione). Scrittore sarà quello che oltre a quanto detto con i suoi scritti autoreferenziali, racconterà storie che si ambienteranno non solo nel suo paese di origine ma anche o in Italia o nei paesi in cui tale scrittore desidera mostrare i suoi personaggi. Penso che l'etichetta "migrante" attaccata ad uno scrittore può definirlo all'inizio della sua permanenza in un nuovo paese, ossia nel periodo iniziale della sua scrittura. Man mano che uno scrittore straniero, che scrive in italiano, acquista dimestichezza con l'Italia e con la lingua italiana, il problema sarà se quello scrittore potrà o meno essere considerato un buon scrittore.
La letteratura si occupa dell'umano. Quel che importa è che gli scrittori migranti, o no, oltre a scrivere bene, abbiano gli occhi e il cuore aperti sulla propria realtà.
Senz'altro le tematiche iniziali di uno scrittore migrante sono legate a quello che il migrante ha vissuto nel suo paese di origine. La sua scrittura sarà condizionata dai suoi vissuti. Tali vissuti si presenteranno nel suo stile, nel suo modo di costruire le frasi e di comporre un testo. Ma lo scrittore straniero che vive in Italia, proprio perché di origine diversa, guarderà con stupore una realtà alla quale gli italiani sono abituati. Gli toccherà focalizzare su aspetti nuovi nella realtà italiana.

Come già detto, oggi, a Ferrara, abbiamo manifestato per la pace perché abbiamo confermato la dignità umana attraverso l'arte, la cultura, la letteratura.
La pace suppone l'io, l'altro, l'uguale e il diverso. Senza diversità non si costruisce la pace. Ed è nella diversità che risiede la forza della letteratura della migrazione.
 

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