“Quest’antologia
raccoglie sessantuno testi, di cui tre in coda in lingua francese,
del poeta di origine olandese Arnold de Vos. Il titolo ci provoca
nella sua apparente impenetrabilità erudita, ma ci dà
allo stesso tempo una chiave per provare ad entrare in un labirinto
di scrittura e di passioni. Merore è l’esser mesto, la
mestizia in una forma letteraria antiquata, non la tristezza però.
Proviamo ad interpretare la “mestizia” o meglio l’esser
mesto come lo status del soggetto che parla attraverso questi versi,
ma anche di colui o colei che lo ascolti leggendolo. La voce che parla
ci introduce al suo mondo attraverso questa particolare forma dell’essere
al mondo che è la mestizia...”.
(dalla Postfazione Arnold de Vos e madonna materia
di Franca Sinopoli)
Nota
del curatore
"Come
ogni vero poeta, Arnold de Vos è costretto a scrivere, vittima
indifesa e indifendibile di una scrittura automatica che lo rende
vate a se stesso, e che lui cerca disperatamente di tradire. Ma da
ogni tradimento – con il dio padre/figlio, spirito, e carne
del suo amore omoerotico – sortisce invece una fedeltà
sacrilega e consacrante: al ruolo, ai versi, al corpo, ai sentimenti.
Scomposti, tutti, dal vento che nel mitico antro tutto solleva e tutto
depone, a rovescio: ruoli, versi, corpi, sentimenti. Il vento nell’antro,
il canto – “Dio, perché mi hai creato uccello/
che vado ripetendo sempre lo stesso verso…” – costretto
nei cunicoli dell’essere – “Vico torto, tu che mi
abiti…” – che soffia instancabile, guidando e confondendo
le parole: in olandese, in inglese, in francese, e dal 1967, anno
dell’arrivo di de Vos a Roma, in italiano.
La forza di questa poesia sta proprio nella sua ineluttabilità
oracolare, nell’impossibilità di trovare un’uscita
dal vortice dei sé, una formula di accomiatamento per sedare
le voci e ripristinare il vuoto – “Con uno straccio cancello
le mie orme/ alle calcagna di ogni passo…” –, l’immobilità
placata di ogni superficie specchiante – “Sparpaglio corpi,
case/ nei fondali della memoria, / e dall’acqua arrivano/ i
loro riflessi galleggianti…” –, di fermarsi in un
istante semplice, anche se provvisorio, che riscatti la pace: “Dormo
al mio fianco/ come una veste scivolata/ dal corpo sognato…”
.
Scegliendo tra le innumerevoli versioni della scrittura affannosamente
quotidiana di de Vos – “Scrittura è tortura…”
–, che ogni giorno ho il piacere di leggere grazie ai suoi invii
diligenti e ansiosi, ho voluto alternare versi liberi e gabbie metriche
chiuse ispirate alla poesia sufi, lascito della tradizione arabo-persiana
da lui approfondita nelle varie lingue di traduzione, seguendo il
percorso rigorosamente biografico indicato dal poeta, che va modulando
l’intermittenza ossessiva dei segni sul proprio commercio sentimentale
con l’uomo e il suo dio; senza ripetizioni né accumuli,
ma cercando se mai di affrancare, disbrogliare le voci, per amplificare
il canto sovrapposto delle infinite cicale che da quell’antro,
al buio, tutte insieme “…stridono/ come se stessero regolando
il traffico verso la luna…”.
Mia
Lecomte
L'autore
Approfondimenti:
testi
|