"Figli
del vento"
di
Lorenzo Spagnolo
Venerdi
25 Marzo 2005, a Brindisi, presso la libreria Camera a Sud, in Largo
Otranto, è stata inaugurata la mostra fotografica "Figli
del vento" dedicata al raduno annuale dei Gitani in Camargue, realizzata
da Lorenzo Spagnolo, in collaborazione con Lele Amoruso.
Dopo Brindisi la mostra sarà presentata a Bologna nel mese di
settembre.
Ogni fotografia è un certificato di presenza.
Roland Barthes
Alle SANTE MARIE DEL MARE ogni 24 di maggio si ritrovano dal 1946, in
migliaia, Gitani, Manouches, Rom, Sinti o come vi piace di chiamarli.
Nella cittadina della Camargue, mediterraneo francese, perché lì
ci sono le loro due Sante Marie insieme alla loro protettrice Santa Sara,
detta anche Sara la Nera. Maria di Giacobbe, presunta sorella della Madonna,
e Maria Salomé vi arrivarono dalle terre di Palestina con Maria
di Magdala, Lazzaro ed altri cristiani iniziando l’evangelizzazione
del sud francese.
Anche Sara, forse domestica delle due Marie, si imbarcò fortunosamente
sulla navicella, senza remi né vele, camminando, secondo il leggendario,
sulle acque con l’ausilio di un mantello steso opportunamente per
Lei dall’imbarcazione. In lingua tzigana Sara la nera, cioè
Sara-la-kali, significa sia gitana che nera.
Da ciò la tradizione di festeggiare le feste gitane a Saintes Marie
de la Mer, toponimo attestato dal 1839, con il rito culminante della processione
che vede la discesa in mare del simulacro di Santa Sara, scortata dai
gardians, cavalieri camarguensi, e da un colorato folcloristico corteo,
con i portatori che s’immergono nelle acque per ricordare la tradizione
della Santa venuta dal mare, portatrice della nuova fede, e rinnovare
l’unione mistica tra terra e mare e il mito fondativo.
Da circa due secoli la cittadina è meta di pellegrinaggi delle
genti nomadi sparse per l’Europa. La Camargue, terra di tori è
stata ospitale con i figli del vento, popolo che non si è mai ristretto
nei confini di uno Stato. Abili commercianti, domatori di cavalli, artigiani
di metalli e pentole, suonatori alle feste e giostrai itineranti, venditori
di merceria porta a porta, artigiani del rame e capaci di leggere la mano
e fondi di bevande. Alcuni uomini portano i baffi e le donne portano gioielli
che rappresentano il “tesoro” del gruppo e vestono abiti colorati,
gonne lunghe, fazzoletti annodati sul capo quando si maritano. Molte di
esse, con bambini appesi al collo, fanno dell’accattonaggio il loro
mestiere.
Il nomadismo come scelta e stile di vita. Una concezione del tempo e dello
spazio lontana dalla consuetudine occidentale, origine di incomprensioni
e ostacolo a forme di interculturalità.
Comunque alcuni stili di vita originari stanno cambiando, soprattutto
tra le giovani generazioni che frequentano le scuole pubbliche, celebrano
matrimoni misti con i gagè fondendo così varie culture.
Ma la storia dei gitani è anche storia di grandi misconosciute
persecuzioni: al processo di Norimberga non fu ammessa la loro testimonianza
nonostante furono massacrati in oltre 500.000 nei lager nazisti.
Gli zingari chiamano se stessi rom, cioè uomo, ma anche marito.
Gli altri, i non zingari, sono gagé. Sarà per questo che
quando non sono perseguitati, sono ignorati?LORENZO non è un fotografo,
nel senso che la sua professione è altra. Ma Lorenzo Spagnolo fotografa
da quando è stato affascinato dalla duplicazione artificiosa del
reale tanto da rendere l’artificio prossimo alla propria sensibilità.
Va in giro con la sua macchina fotografica manuale, fotografa in bianco-nero
e trova sempre un posto, in casa, dove approntare una camera oscura provvisoria.
Fotografare è una forma di conoscenza apprendendo attraverso un
mezzo: è una pratica riflessiva e mediata.
Nelle sue immagini i volti, tanti di bambini, anziani, donne sensuali
e mature. Sante che si mischiano con un popolo che scandisce il proprio
tempo a suon di musica. Musica vissuta come espressione profonda della
loro anima e che celebri musicisti, come Bartok e Stravinsky, hanno incorporato
in composizioni rapsodiche e melodiche, mentre la fisarmonica continua
ad essere lo strumento preferito e il fuoco il centro e punto di ritrovo
per la comunità. I Manouches e i Sinti sono grandi appassionati
di musica e compongono famose orchestre tzigane, generalmente idonee per
rallegrare i matrimoni e lenire gli strazi dei funerali.
La festa è festa ed è tale quando c’è musica
da ballare (Bachofen).
Lorenzo va in giro e scatta, e il reale lo colpisce fino nel fondo là
dove risiedono le emozioni e i sentimenti si fanno valori.
Scatta e poi sceglie, e mentre ci narra di una festa di maggio in un certo
posto dell’Europa ci racconta, invero, di una storia che non è
solo di un popolo ma storia dei popoli. Tutto ciò non è
un niente in epoca di omologazione culturale.
Il nomadismo come forma della attuale condiziona; il nomadismo culturale
non solo per sfuggire ai meccanismi sociali ma come ricerca di nuova complessità
che rischiari orizzonti e dimensioni altre della dignità personale
e collettiva.
Così Lorenzo si ritrova alle Santes Marie de la Mer e, come in
tutti i veri viaggi, esplora dentro quanto condivide con gli altri. Così,
infine, il ritrovarsi di un popolo in raduni annuali, modalità
per un’etnia divisa e sparsa di ricostruzione di legami, di conferma
di tradizioni, di an-coraggio ad una identità minacciata, offre
agli altri gagé l’occasione per ritrovare e ritrovarsi come
rom, cioè uomo.
Brindisi, marzo 2005
Emanuele Amoruso
http://www.brundisium.net/approfondimenti/shownotiziaonline.asp?id=2110
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