Sono piante dalle radici in apparenza delicate,
fragili, quasi radici non radici, perché sono in superficie,
attraversano il confine tra terra e acqua, fanno da ponte tra questi
due elementi. Così, anche per lo straniero, la lingua dell’ospite,
è radice esile, perché non propria, non intima, eppure
sopravvivenziale perché consente di con-vivere. Come la mangrovia
lo scrittore migrante affonda le sue radici nell’acqua, elemento
dinamico e mutevole invece che nella solida terra, che è madre
e proteggente. |
Silvia De Marchi Laureata in Filosofia presso l’università "La Sapienza" di Roma, è' redattrice della Casa editrice Traccediverse di Napoli. E' tra le principali animatrici della collana "Mangrovie", inaugurata nel 2006 e dedicata alle tematiche dell'intercultura, con una sezione di narrativa, una di saggistica, ed una di diari e reportages di viaggio.
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Mangrovie: intervista a Silvia De Marchi
“Mangrovie” è una nuova collana
della casa editrice Traccediverse di Napoli, inaugurata nel 2006 e dedicata
alle tematiche dell'intercultura, con una sezione di narrativa, una di
saggistica, ed una di diari e reportages di viaggio. Silvia, la casa editrice TracceDiverse si è orientata con decisione nella direzione dell’ intercultura e della letteratura migrante offrendo, sin dall’inizio della sua attività, spazi importanti agli autori stranieri, e dedicando ora a questi temi la collana “Mangrovie”. Da dove nasce questo specifico interesse? Il progetto della collana è il frutto di una scelta precisa: quella di voler dare voce e spazio, forma e diffusione, a scrittori e storie che de-scrivono da un punto di vista diverso, quello, appunto, dell’altro. La Mangrovia è una pianta le cui radici emergono a fior d’acqua, a mezz’aria tra la terra e il cielo: come loro, la storia degli scrittori migranti non si nutre di una terra madre solida e protettiva, ma, aprendosi all’alto e all’altro, sfiora superfici mutevoli e scivolose. Questa collana vuole ospitare chiunque intenda la propria scrittura come un ponte tra due culture, due linguaggi, due popoli: quello, appunto, di origine – abbandonato, rimosso o rimpianto - e quello di approdo – atteso e talvolta deludente.
Il mercato editoriale italiano si è aperto solo di recente ai testi di scrittori migranti. Quello che in altri paesi europei, come Francia e Inghilterra, è ormai un prodotto collaudato, da noi stenta ancora a conquistarsi una posizione autonoma e forte. Certo, il nostro paese ha avuto un passato coloniale molto diverso (l’egemonia linguistica che possiamo esercitare all’estero è debolissima), e soprattutto migrazioni molto più giovani e recenti. Ma ormai anche da noi il fenomeno migratorio ha raggiunto una maturazione sufficiente per poter fare un primo bilancio che valuti stato e prospettive di una convivenza che già possiamo dire multietnica. E quale modo migliore di farlo che non passare la parola a chi ha vissuto quest’esperienza sulla propria pelle, affrontando le conseguenze di un esilio geografico e linguistico, e dimostrando un’ammirevole volontà dialogica e comunicativa con la scelta di scrivere nella nostra lingua? Uno dei temi di interesse tra autori e studiosi
della letteratura della migrazione è quello relativo ai suoi rapporti
con quella prodotta da autori italiani. Tra i tanti che se ne sono occupati,
Silvia Camillotti sostiene che la letteratura della migrazione, oltre
a costituire un efficace strumento di intercultura, “può
rappresentare un apporto vitale all’interno della letteratura italiana,
contribuendo ad innovarla, trasformarla ed arricchirla di sensibilità
e musicalità nuove”. Ciò che sta accadendo alla letteratura del nostro paese è speculare a quanto già da qualche tempo si verifica dentro la nostra lingua, oltre che dentro la nostra vita. L’apporto, vitale e rigenerante, che i popoli migranti hanno avuto sui nostri codici comunicativi è già in atto. Quindi è inevitabile che anche la lingua scritta, la produzione letteraria, registri questi cambiamenti. Del resto negli ultimi tempi molti autori italiani, scrittori ma anche, ad esempio, registi, hanno mostrato interesse per le realtà multiculturali presenti nel nostro paese, narrandone sfumature, caratteristiche, contraddizioni. Questo tipo di scambi, di sguardi diversi che si incrociano a descrivere lo stesso spazio condiviso è la premessa migliore per promuovere una convivenza consapevole.
Mangrovie ha effettivamente riscosso un grande successo, tanto che stiamo lavorando per trasformare la collana in un marchio editoriale autonomo, composto a sua volta da tre collane: una di narrativa, una di reportage e scritture di viaggio, e una di saggistica. Si riconfermano, inoltre, l’impegno con il premio letterario “Lo sguardo dell’altro” e il consueto appuntamento con la Giornata di Studi sull’Intercultura che anche quest’anno si terrà in settembre all’Istituto di Studi Filosofici di Napoli.
a cura di Paolo Trabucco (Ferrara - Napoli, Febbraio 2007) |