HELENE PARASKEVA E' nata ad Atene. Ha studiato in Grecia, in Italia e nel Regno Unito. Vive e lavora a Roma. Negli ultimi anni, oltre all'insegnamento curriculare, organizza e coordina progetti interculturali nell'Istituto Superiore "G.Caetani"

. Di H. Paraskeva sono stati pubblicati i racconti:
- "Quella sera che il bacio non era pneumatico" ("Faranews" n° 29, maggio 2002);
- "Tempi illuminati" (Primo Premio concorso III M, "Faranews" n° 32 agosto 2002);
- "Ai giovani" ("Kuma", 5 settembre 2002);
- La raccolta Il Tragediometro e altri racconti (gennaio 2003) con FARA Editore; una raccolta che ha vinto il concorso "Pubblica con noi" (Faraeditore, 2003) e si è classificata seconda al 25º Premio Letterario Internazionale “Città di Moncalieri”; Inoltre è autrice di Global Issues in English Literature (Clitt, 2003), un testo interculturale in lingua inglese per il Liceo di Scienze Sociali.
Ha collaborato al volume Odissea: inesauribile fonte di mostri e misteri della collana “Illustrissimi” (Fara Editore, 2004).
Altri suoi racconti sono stati pubblicati nelle riviste on-line «Kuma», «El-Ghibli», «Sagarana», «Caffè» e «Bellami».
Nell’anno 2005 ha pubblicato due racconti nella Antologia Pubblica, collana TerrEmerse, Fara Editore: “La vecchia dalla testa Mozza” e “Nella Città degli Imperatori”. Nel 2006 ha pubblicato il riomanzo Nell'uovo cosmico, (Fara Editore). 
 

 

Nell'uovo cosmico :

intervista a Helene Paraskeva

Helene, dopo numerosi racconti, con Nell’uovo cosmico ti confronti per la prima volta con un romanzo. Questo passaggio rappresenta una naturale continuità delle tua modalità narrative o credi che si tratti dell’approdo verso una forma più elaborata o più sicura, o più matura della tua scrittura?

Il romanzo “Nell’uovo cosmico” si stava “germogliando” già dai tempi del “Tragediometro…”. La differenza sostanziale sta nella volontà di raccontare cose diverse in modo differente. Se è “più elaborato, più sicuro, più maturo” lo lascio giudicare al lettore.

Nei tuoi racconti precedenti anche i toni più seri, gli eventi tragici, la rabbia, la nostalgia, sono controllati e mutuati da umorismo e ironia, Nell’uovo cosmico ci presenta invece atmosfere inquietanti in cui un potere violento e malvagio sembra condizionare ogni aspetto della nostra vita, e l’ironia sembra farsi anch’essa amara, quando non tragica.

L’ironia è una tipologia di umorismo, no? C’è l’ironia di battuta e l’ironia di situazione. Se volessimo visualizzare la comicità in Nell’uovo cosmico, la paragonerei a quella di Buster Keaton, una maschera comica dalle labbra serrate e dagli occhi a forma di interrogativo che non sorride mai ma che si fa cacciare sempre nelle situazioni più paradossali. Questo è l’umorismo del romanzo Nell’uovo cosmico, il titolo già suggerisce un tentativo di demistificare questo antico mitema.

Nel tuo romanzo l’intreccio trova come collante il riferimento a miti, rituali iniziatici, simboli misterici che si contaminano con gli scenari di un’umanità che pare asservita alla logica brutale e materialistica del potere e del denaro. Come si conciliano questi universi apparentemente così distanti?

Il “potere violento e malvagio” dalla logica brutale e materialistica “basata sul denaro” non si individua mai facilmente, non si presenta mai così, nudo e crudo. Altrimenti sarebbe stato uno spauracchio da favola per bambini e agli spauracchi spruzzati di incenso moralistico non crede nessun adulto. Il potere vero si instaura creando prima un’atmosfera mistificatoria intorno a sé, un’atmosfera fatta di riti, simboli, tabù, miti e credenze antiche quanto inconsapevoli (un esempio semplice ne è la manipolazione dei mass media) e nel frattempo inizia a operare o a “macinare”, tanto per usare un termine caro a FaraEditore, alias Alessandro Ramberti.
Riferendomi ai miti, quindi, ho inteso rappresentare proprio questa caratteristica del potere, che innesca un processo di mistificazione complesso e intricato, mai semplice. Ma poi, il riferimento ha anche altre chiavi di lettura perché i miti sono potenti (sic). Nessuno riesce a toccare il “fondo” dell’umanità così efficacemente come i miti.

La protagonista del tuo romanzo prende coscienza di essere inserita in un sistema che, come un mostro vorace, divora ogni valore ideale e ogni esistenza allo scopo di perpetrare la sua ineluttabile funzione di controllo e di potere. Pur dovendone sperimentare la violenza e la brutalità, il tentativo di una via di fuga da quel sistema, l’uscita “fuori dal pozzo”, la porta alla ricerca della propria identità, e con essa della propria alterità emotiva e culturale a quel sistema. E’ un percorso difficile e dagli esiti incerti. E’ anche il percorso a cui è chiamato ciascuno di noi in questa “comunità in subbuglio”?

Prima di tutto, grazie della citazione. Mi sembra un’ottima interpretazione anche se, come l’avevo concepito inizialmente, il “pozzo” aveva un significato più intimo.
Vorrei soffermarmi qui, per un attimo, sul fatto che il romanzo parla anche di cose intime, come l’amore, la passione, il tradimento, l’ambizione e la vendetta. Andrebbe anche letto come un romanzo sull’attualità, pensate che inizia con una serie di intercettazioni ambientali. Ma per la protagonista è difficile distinguere i buoni dai cattivi e questa sua “incertezza” rende il romanzo “aperto” a varie interpretazioni e livelli di lettura. Ma l’incertezza c’è. E rimane.

A proposito di attualità, tra gli spaccati di realtà fotografati dal tuo romanzo trovano spazio anche diverse figure di migranti, ritratti nelle loro misere esistenze di venditori dispersi nel viavai metropolitano o come profughi e clandestini trattati come merce umana per torbidi mercati, ma anche come potenziali portatori di culture che sanno fondersi in un metaforico “ballo cosmico”. Potresti approfondire qual è il ruolo che affidi a questi personaggi?

Sì. Il ruolo dei migranti si evolve nel romanzo: da “extracomunitari” smarriti, chiamati provocatoriamente proprio così, da merce umana, diventano i sostegni sui quali costruire nuove speranze, chiamiamolo “futuro”, se vuoi.
Il gioco di parole fra “ensemble”, termine che si attribuisce solitamente ad un gruppo coreutico-musicale e “insieme” come contrario di frammenti, è voluto. I migranti che arrivano in una notte tempestosa, la vita appesa da un filo (la volontà di altri umani) hanno il potenziale di aiutare a costruire l’insieme globale, cosmico.

Usciamo ora dal tuo romanzo, perché oltre che scrittrice sei un’insegnante e ti vorrei chiedere se hai notato che quest’anno una delle tracce dei temi dell’Esame di Stato riportava tra la documentazione allegata brani di scrittori migranti: precisamente un’intervista rilasciata da Christiana de Caldas Brito alla rivista “Leggere donna” e un’intervista a Julio Monteiro Martins realizzata proprio da “Vocidalsilenzio”. Cosa ne pensi?

Finalmente un riconoscimento istituzionale alla letteratura italiana della migrazione!
L’ho saputo immediatamente e le mie reazioni sono state emozioni di orgoglio, gratificazione e gratitudine. Conosco Christiana de Caldas Brito e Julio Monteiro Martins da un po’ di anni. Christiana l’ho invitata a scuola nell’ambito del Progetto Intercultura, e abbiamo letto, discusso e interpretato i suoi racconti con i ragazzi. Julio mi ha accolto a Lucca con grande simpatia.
E questo grazie a voi, “Vocidalsilenzio”, bella gente di Ferrara, da voi ho vissuto giorni indimenticabili insieme ad altri carissimi scrittori migranti, i colleghi e i ragazzi. Sono orgogliosa di aver lavorato e di aver imparato a declinare l’intercultura e l’impegno vero proprio da voi, con voi. Spero, mi auguro, di far parte delle “VocidalSilenzio” ancora. Ma c’è anche la gratificazione di incontrare gli occhi brillanti dei ragazzi che mi cercavano per dirmi “Beh, avevi ragione, allora! Christiana ce l’hai fatta conoscere tu, l’abbiamo vista, incontrata, l’abbiamo letta, ci abbiamo parlato, abbiamo a casa il suo libro firmato da lei.” Anche alcune colleghe mi hanno detto “Hai visto? I ragazzi erano entusiasmati!” Erano orgogliose anche loro. Questa vale come risposta a tutte quelle volte che ho visto il Progetto Intercultura rischiare di non realizzarsi a causa delle critiche:
• “Troppo tempo sprecato e tolto dalle vere lezioni!” (Ma quali sono la “vere” lezioni?) o
• “I mediatori culturali sono purtroppo esterni alla scuola!” (Ma se non fossero esterni, che mediatori culturali sarebbero?)
• Oppure la Signora Burocrazia (sic) che ti pone il quesito: “Che impatto hanno avuto gli incontri interculturali sugli studenti? Precisare.” “L’impatto più forte! Hanno conosciuto in persona gli autori e sanno parlare di emozioni provocate dalle letture. I testi letterari si sono trasformati in vissuto, non mere note biografiche e recensioni maldigerite! La letteratura della migrazione fa parte del vissuto degli studenti, di tutti gli studenti, oramai.”
Ecco perché vi dico: “Grazie, VocidalSilenzio! Io con voi esco dal “pozzo nero” della frustrazione. Adesso le speranze ci sono. Facciamoci sentire sempre più forti!”



a cura di Paolo Trabucco (Ferrara - Roma Luglio 2006)

 

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