Vocidalsilenzio - Un'altra cronaca è possibile |
da Il Manifesto - 27 AGOSTO 2008
Laboratorio Riace, rifugiati modello locride
Se a Lampedusa si pensa di recintare il Cpt con il filo spinato, nella locride gli immigrati sono diventati una risorsa. Impegnati in laboratori tessili e di ceramica e perfettamente integrati con la popolazione. L'esperienza di un'immigrazione possibile a Riace, Caulonia e Stignano I sindaci di tre paesi: «Accogliamo gli immigrati»
IDA DOMINIJANNI
INVIATA A RIACE (REGGIO CALABRIA)
Lem Lem fila la ginestra per farci i tessuti, un'antica
arte della Calabria jonica che sta rifiorendo anche grazie a lei e ad altre
come lei. Ha 25 anni, è bella, capelli e occhi scuri, vive a Riace
da quattro anni con sua figlia Anna e suo nipote Thomas che lei considera
un altro figlio e Anna un fratello, tutti e due hanno sette anni e tutti e
due, mentre la madre lavora nel laboratorio di tessitura, frequentano con
un'altra dozzina di bambini la scuola estiva in un antico palazzotto ristrutturato
poco più in là, imparano l'italiano, giocano e hanno l'aria
felice. Lem Lem sbarcò con i due bimbi in Sicilia nel 2004, viaggio
per mare dalla Libia per 900 dollari, ma era in fuga dal Sudan e dalla guerra
già nel 2000, e ora che vive a Riace non va tanto male: 400 euro al
mese li guadagna al laboratorio la mattina, altrettanti li tira su facendo
la colf nel pomeriggio. Di fronte a lei, al telaio, c'è un'eritrea
di 23 anni, statuto di rifugiata, tre figli anche loro alla scuola estiva,
sono qui da otto mesi; anche lei, come Lem Lem, è ortodossa, altre
ospiti di Riace invece sono cattoliche, altre islamiche. Issa invece di anni
ne ha 37, non lavora nel laboratorio tessile ma in quello di ceramica, nel
2001 scappò da Gazine, piccolo centro afgano a cinquanta minuti da
Kabul, dove i taliban volevano arruolarlo per forza, venne in Italia attraverso
la Turchia, due mesi nel Cpt di Crotone, poi il centro di prima accoglienza
di Venezia dove gli consigliarono di stabilirsi a Riace. Adesso che fa il
ceramista guadagna 800 euro al mese, ne paga altrettanti all'anno per l'affitto
e dell'Afghanistan dice, scuotendo la testa, che va sempre peggio.
Di storie come quella di Lem Lem e di Issa, a Riace se ne contano una sessantina:
tanti sono gli immigrati, perlopiù rifugiati, eritrei, etiopi, afgani,
rumeni, palestinesi, che hanno trovato accoglienza in questo piccolo borgo
appeso sulle colline della costa jonica, da dove l'altro ieri è partita
la proposta, d'intesa con gli altri due comuni vicini di Caulonia e Stignano,
di aprire le porte ai migranti che le trovano chiuse a Lampedusa. Riace è
un centro della Locride noto più degli altri per via del ritrovamento
dei Bronzi, ma come gli altri segnato da un passato novecentesco di emigrazione
di massa in America e in Nord Europa e come gli altri destinato a un futuro
di decadenza e di spopolamento, finché a qualcuno non è venuto
in mente che quel piccolo borgo, oltre a ridare vita agli immigrati, poteva
riceverne. Quel qualcuno è l'attuale sindaco, Mimmo Lucano, meno che
cinquantenne, militanza nei movimenti e nella «sinistra antagonista»
come la chiama lui, mai una tessera di partito però, e un'idea lucida
sul suo territorio, questa: tutta quella gran corsa allo sfruttamento turistico
del mare, con tanto di massacro edilizio della costa jonica, non serve proprio
a niente se non si rivitalizzano gli antichi paesi della collina, con i loro
tesori artistici (la cattedrale di Stilo è a un passo da qui), la montagna
incontaminata alle spalle e una vista da sballo sul golfo di Squillace. Così
nel '98, quando da queste parti cominciarono gli sbarchi di esuli curdi e
i primi esperimenti di accoglienza a Soverato e Badolato, Lucano non ci vide
una jattura ma una risorsa, umana ed economica. Mise su un'associazione, «Città
futura», un centro culturale ed etnografico in uno dei più bei
palazzi di Riace, e un progetto integrato di accoglienza dei migranti e di
turismo equo e solidale, con l'idea di ripopolare l'antico borgo desertificato.
Si trattava di riaprire le case abbandonate, nel corso del 900, dagli emigrati
in America e in Nordeuropea e di riusarle in parte per gli immigrati che arrivano
a ondate dal mare, in parte per creare un «albergo diffuso» per
turisti in cerca di natura e sapori autentici. Così l'amministrazione
del 2001 si convinse ad aderire subito al primo programma di protezione per
i rifugiati, e il resto è venuto dopo l'elezione a sindaco di Lucano,
nel 2004, con la lista civica «Un'altra Riace è possibile»,
un nome un programma. Adesso i migranti - più donne che uomini - diventati
stanziali sono 60, i posti letto dell'albergo diffuso 120, vengono scolaresche
in gita da tutta Italia a vedere l'esperimento e capita che si coronino matrimoni
fra turisti francesi e tedeschi con le bomboniere fatte a mano da Issa.
Non c'è dunque solo un istinto di generosità, ma anche un esperimento
oliato alle spalle, dietro la proposta di accoglienza avanzata da Lucano ha
avanzato assieme ai suoi colleghi di Caulonia, Ilario Ammendolia, e di Stignano,
Piero Sasso. Fra le case abbandonate dei tre paesi, una scuola dimessa di
Caulonia e la Casa del pellegrino della diocesi di Locri, affidata in comodato
d'uso al comune, si arriva a più di trecento posti: un messaggio civile
e mediatico potente da una zona abituata a ricevere gli onori della cronaca
solo in caso di mattanze mafiose. Non c'è nemmeno omogeneità
di campo politico: se Ammendolia è un sindaco Pd che viene dal Pci
e volentieri racconta e rivendica i fatti della «Repubblica rossa»
di Caulonia del '43, Sasso viene da An e guida una giunta di centrodestra.
Tutti e tre però sono convinti che non si può continuare ad
assistere agli sbarchi - gli ultimi, proprio fra Riace e Stignano, l'8 luglio
e il 22 agosto - gridando continuamente all'emergenza. E che non è
solo disumano, ma anche antieconomico continuare a imbottire i Cpt: «Una
giornata di un immigrato in un Cpt costa allo stato 70 euro, una giornata
di un rifugiato coperto da un programma di protezione ne costa 22»,
dice Lucano. Se Lampedusa rammenda i fili spinati - «ma bisogna anche
capire che quell'isola non ce la fa più», dicono i tre - qualche
altro è pronto a strapparli.