"I protagonisti di questo romanzo non
sono esseri umani: sono il passato e il presente. Casablanca è
il passato, la memoria che si impone al presente. Le voci narranti
sono quelle del tempo. Evocano un sogno da cui non è possibilòe
sottrarsi, perché il destino è più forte della
volontà. Gli uomini, come comparse, recitano la commedia della
vita: Fatima possiede un nome che le è stato imposto come le
violenze patite. Mustafa, che odia il padre, viene addestrato ad uccidere.
Il loro viaggio porta dall'inferno al paradiso e dal paradiso all'inferno
e a guidarli è Carla, simbolo dell'Occidente, in un percorso
che ha la circolarità del destino e del tempo." (Dalla
quarta di copertina)
Introduzione
di Salvatore Di Marco
Eravamo in Bagheria.
Il professore Natale Tedesco dell'Università di Palermo e io
con tutti gli altri componenti la commissione giudicatrice d'un premio
letterario al suo esordio, a buon motivo sfiduciati sul dignitoso
esito della difficoltosa selezione alla quale stavamo lavorando. Cosa,
del resto, consueta in frangenti del genere. Senonché l'attenzione
generale si portò su di un "trittico di liriche"
di un autore dal nome esotico, un poeta che nessuno di noi conosceva.
Alla lettura dei testi, che rinfrancati replicammo, si convenì
che eravamo davanti a poesie evidentemente fuori dagli stilemi consueti
della lirica novecentesca italiana ed europea, comunque occidentale.
E tuttavia quelle poesie, che reclamavano a loro volta una istantanea
revisione dei nostri codici di interpretazione critica, ci apparivano
interessanti. Una di queste intitolata Il sole degli arabi ha un "incipit"
quasi felpato, accorto e promettente:
Ho lasciato la mia terra
e il mio viaggio è senza fine non mi volgo indietro
il sole degli arabi mi accecherebbe
Il poeta narra nel suo "trittico"
storie di dolore, di fughe senza speranza dalla terra dei padri, di
profonde lacerazioni che la lontananza provoca nell'ordito degli ancestrali
affetti dell'uomo per le persone e i luoghi, ed evoca suggestioni,
inusitate metafore, immagini, figurazioni liriche, malinconie, proponendo
nel contempo linguaggi e cadenze di buona fattura creativa.
Il canto sofferto dell'emigrazione africana che, soddisfatto nella
sintassi letteraria, non solo recuperava partecipazioni dell'anima
alle sofferenze d'un popoio, ma rievocava pure patimenti uguali che
il popolo siciliano ha sofferto e ancora noh ha riscattato e piange
davanti al mondo.
Per la cronaca, quelle poesie ebbero il primo premio senza tentennamenti
né ostacoli. Il poeta si chiamava Mohammed Lamsuni, marocchino
in Italia, impeccabile nell'uso anche letterario della nostra lingua
nazionale.
Chiusa così la vicenda di quel concorso di poesia, e deluso
perché Lamsuni, impedito da ragioni di salute in quel momento,
non venne in Sicilia a ritirare il premio, volli saperne di più
del poeta, della sua vita, delle sue opere. Ora ho appena terminato
di leggere un suo romanzo (che mi ha da poco mandato in regalo) Il
clandestino di cui dirò qualcosa più avanti.
Una sua silloge di racconti Porta Palazzo mon amour è in corso
di stampa, ho una scheda bibliografica e una piccola raccolta di giudizi
della critica italiana: insomma uno scrittore da non trascurare, dal
quale sarà bene non distrarsi. Mohammed Lamsuni è nato
nel 1950 a Casablanca in Marocco dove all'età di sedici anni
pubblicò i suoi primi versi e le sue esordienti prove narrative.
Spirito irrequieto e anticonformista, a vent'anni fu costretto a sperimentare
l'esilio e quindi emigrò in Francia dove lavorò come
operaio mentre studiava a Tours letteratura e psicologia. Nel 1982
è ancora nella sua Casablanca dove insegna al liceo "Taha
Hussein". Studia il marxismo, le letterature moderne, la storia
contemporanea, mentre la sua attività letteraria suscita vieppiù
l'interesse della critica e dei lettori. Però, come è
detto in una sua scheda biografica, "è costretto ad un
secondo esilio, dopo la tempestosa collaborazione con numerosi quotidiani
e riviste in Marocco e all'estero, tra cui "Le message de la
Nation".
Dal 1990 si è trasferito in Italia e si è fermato a
Torino (tra gli immigrati della zona di Porta Palazzo) dopo avere
adottato l'italiano sia come lingua della sua attività letteraria
che come meezzo di espressione delle lotte sociali che intraprende
in difesa degli arabi emigrati, degli africani e della gente di colore
per il riconoscimento dei loro più elementari diritti umani.
Non quindi uno scrittore che si conserva immacolato all'interno dei
recinti della propria scrivania, ma un intellettuale che trasferisce
nella poesia le scommesse della storia e nella vita le scommesse della
letteratura. Più d'una volta il quotidiano "La Stampa"
di Torino s'è occupato di lui. Nella edizione del 26 luglio
2002, recensendo il suo romanzo già citato Il clandestino (Edizioni
l'Harmattan, Torino 2002), si dice: "Mohammed Lamsuni è
un professore di francese. [...] E' un poeta-filosofo, un seguace
di Edgar Morin [...].Un musulmano laico che mette a nudo le ipocrisie
della sua religione. Uno che fra una traduzione e un volantino polemico,
naviga tra le emarginazioni e le integrazioni difficili degli arabi
di Porta Palazzo". Scrive, a sua volta, il poeta, nella ricordata
lirica
Il sole degli arabi:
Mio padre conobbe una guerra non sua ma io
non conosco la mia
cerco l'albero del pane
tra edifici che sembrano caserme contese dal ferro e dal cemento e
che si specchiano
nel limaccioso corpo del serpente
che separa colline con le sue acque [torbide
dal volto della città che muta la sua pelle.
E ancora "La Stampa" del 24 maggio 2003 dice del nostro
autore marocchino: "E' un intellettuale puro, un ribelle che
paga con la lontananza l'impossibilità di tacere le proprie
idee. A Porta Palazzo Lamsuni è un riferimento. Ma io è
in generale per chiunque desideri comprendere il perché di
certe tensioni o di certi atteggiamenti nella comunità islamica".
E viene definito "Il poeta dell'emigrazione".
C'era un tempo in cui - e non lontano - gli emigrati senza lavoro
in terra patria e senza più alcuna speranza, dall'Italia meridionale
dilagavano nei grandi centri del Nord e dell 'Europa, vittime dell'emarginazione
più discriminante. A Torino si leggevano normal-mente su molti
portoni cartelli "Non si affittano camere a meridionali".
E anche terre come la Sicilia o la Calabria hanno avuto i loro "poeti
dell'emigrazione". Dobbiamo forse ricordare scrittori come Rocco
Scotellaro o come Carlo Levi o Danilo Dolci, o registi come Pietro
Germi, Vittorio De Sica?
Una personalità complessa e irrequieta quella dello scrittore
Mohammed Lamsuni, fondamentalmente scomoda, come s'usa dire con un
aggettivo abusato: e tutto questo si riflette in modo netto nelle
sue poesie e soprattutto nel suo ultimo romanzo Il clandestino. La
prima impressione è che si tratti di un testo narrativo forte
e drammatico, con pagine di intensa liricità a cui ne seguono
altre (mi riferisco agli ultimi capitoli) segnate da conclusivi eventi
crudi e spietati. L'autore segue il doppio registro, quello della
prosa narrante e quello della poesia, senza mostrare forzature o cedimenti
nella orditura del testo.Alla superficie il romanzo narra le sofferenze
degli immigrati (penso a Mustafa, a Fatima e a figure minori) e debbo
dire che mancava in Italia una voce che provenisse da quell'area sociale
e antropologica. Naturalmente dò qui come risolto positivamente
il quesito se Il clandestino, romanzo pensato e scritto in lingua
italiana, pubblicato in Italia per lettori italiani - anche italiani
- sia da inscrivere nella narrativa italiana dei nostri giorni.
Anche se altrettanto buone ragioni stanno a sostegno della tesi che
questo romanzo, e tutto il resto di Lamsuni appartenga alla letteratura
arabo-musulmana.
Ma è chiaro, a lettura ultimata, che ci troviamo davanti ad
una sorta di metafora del reale, di un suo allegorico affresco, con
archetipi che però assumono valenze generali, al di là
del tempo e della storia, nonostante il forte realismo che connota
il libro.
In sostanza, il romanzo non è un vessillo della realtà
anche se ne denuncia le più aspre storture. Non si sfugge all'impressione
che l'autore abbia tratto materia per le sue narrazioni da fonti autobiografiche,
dalla sua esperienza vissuta tra gli immigrati in Francia e in Italia,
coniugate però da una vocazione di trasfigurazione e di superamento
per andare alla radice delle cose e delle idee.
Il clandestino, sia detto in breve, è la storia di un marocchino
che viene in Italia dove, capitato a lavorare nella grande villa di
una donna bella e ricca che ha nome Carla, lesbica e corrotta, ma
proclamatasi "madre" di Mustafà il clandestino, si
trasforma (attraverso varie vicissitudini sempre più coinvolgenti),
da poveraccio, in un boss della malavita torinese. Mustafà
perde i propri connotati sociali e diviene Stefano, vigoroso
e fedele braccio del malaffare. Con la morte tragica di Carla in una
sparatoria infernale, anche Stefano si dissolve come realtà
psicologica rivelando tutta la precarietà della metamorfosi,
e il protagonista ritorna ad essere Mustafa di Casablanca. E può
riunirsi alla donna che ama, Fatima, la quale si riscatta dalla sua
dolorosissima storia di fanciulla violentata, stuprata, venduta e
quindi prostituita. Così come si potrebbe dire che il protagonista
del romanzo sia Stefano, ma anche Mustafa, allo stesso modo si ha
nel romanzo una ambientazione delle vicende della Torino di Porta
Palazzo ("la Mecca degli extracomunitari"), ma in effetti
il luogo da cui si parte e a cui si tende, a cui alla fine si ritorna,
è Casablanca. Una poetica delle antinomie?
Non proprio, ma certo della duplice categoria: Carla-Fatima, Mustafà-Stefano-Mustafà,
povertà-ricchezza, emarginazione-riscatto sociale, Torino-Casablanca.
E' come se l'autore ci volesse dire che ogni verità ha la sua
faccia nascosta come la luna vista dalla terra. Quasi pirandellianamente.
E' questo il solo riferimento letterario che mi sono concesso insieme
agli scrittori neorealisti del secondo Novecento italiano; e altri
se ne potrebbero suggerire. E però Il clandestino non è
assimilabile ad alcuna scuola occidentale, se non alla grande lezione
della vita e della storia, di cui Mohammed Lamsuni ha saputo farsi
cantore fedele e ribelle.
|