Una letteratura profondamente consapevole dell'uomo
Di Mia Lecomte

 

Ho notato che il problema principale di tutti i presenti, oggi, è stato il modo secondo cui impostare il proprio intervento. Io sono venuta qui con un problema ancora maggiore: ciò che io stessa posso rappresentare all'interno di questo convegno, per questo convegno, nel senso che la mia posizione è un po' ibrida, in fondo.
Non sono infatti una studiosa, diciamolo. Ho una formazione universitaria comparatistica ma sono, o perlomeno mi sento, una scrittrice, una poetessa, quindi con un approccio alla materia, questa cosiddetta letteratura della migrazione, molto poco tecnico, molto poco teorico. E non solo non sono una studiosa, ma neanche una scrittrice, una poetessa, italiana. E mi trovo in una posizione ancora più equivoca di quella di uno straniero che si avvicini per la prima volta alla cultura, alla lingua italiana: sono una straniera italofona. E' un po' la posizione di Gangbo, in realtà, alla fine…Infatti sono francese, ma nata a Milano, dove ho passato una piccolissima parte della mia infanzia, cresciuta in Svizzera, ritornata in Italia solo per l'Università e poi restata per l'amore e la famiglia. Sono francese grazie a mio padre, che non è solo francese, ma è un poeta francese. Quindi sono approdata alla mia letteratura, ai contenuti e alla lingua della mia poesia, tramite la lingua francese, espressione di una cultura che certamente non è quella italiana, e soprattutto tramite la lingua francese di mio padre, espressione di quel legame affettivo che ci univa. Dunque, lo ripeto, sono in una posizione di straniera italofona, che è molto imbarazzante perché non si viene individuati subito come stranieri, però non si rientra neanche in alcuna categoria autoctona. Come Gangbo, appunto...ma per di più, non essendo io neanche nera, sfortunatamente, come lui, mi hanno lasciata dove ero e basta! Dicevo…Sono arrivata alla mia letteratura con un lavoro, proprio partendo da un lavoro di traduzione, diciamo, di passaggio da una cultura all'altra, da una lingua all'altra, in quanto, avendo studiato in italiano, quando ho avuto un'età possibile per essere d'aiuto a mio padre, che è in Italia da quarant'anni ma che non maneggia l'italiano alla perfezione, lui ha cominciato a consultarmi per la traduzione dei suoi testi. Quindi abbiamo intrapreso insieme questo lavoro di traduzione, quotidiano, artigianale, fino a che io non sono uscita di casa, e tramite questo lavoro, da questo lavoro, è nata la mia poesia. Poesia che è frutto dunque di un percorso segnato, di un cammino di transumanza, di contenuti, e anche di forme. Da una lingua all'altra lingua. Quando mi sono iscritta, in Italia, alla Facoltà di Lettere, alcuni professori universitari mi hanno subito fatto notare che nella mia forma letteraria si sentiva qualcosa di estraneo…Premetto che io sono francese ma non maneggio il francese come una francese, nel senso che lo so bene, lo parlo, lo leggo, lo scrivo, ma manco di fluidità, e ho un pessimo accento... Quindi non posso essere individuata neanche come una francese... Però, all'interno della mia prosa e della mia poesia in italiano, c'è indubbiamente qualcosa che la rende straniera, un'intrusione di tipo essenzialmente musicale. Forse l'osservazione dei miei professori era semplicemente un modo gentile per dirmi che scrivevo male... ma come tutte le critiche è servita per accendere una consapevolezza. Da queste premesse è cominciato quasi per necessità il mio avvicinamento alla letteratura, la poesia in particolare, della migrazione. Finita l'Università, con studi, chiaramente, di comparatistica, perché, a questo punto ero sempre sul confine, dei mondi e di me stessa, ho deciso, con un amico fotografo, di intraprendere un'indagine nei luoghi della poesia italiana, cioè di andare a stanare ventun poeti italiani contemporanei, dagli ottanta ai quaranta anni, e offrire una panoramica della poesia italiana di tre generazioni individuata, appunto, nei propri luoghi. E anche questo, sicuramente, ha una giustificazione autobiografica: abituata a vedere i miei luoghi, la mia casa, abitati dalla poesia, ho sentito il bisogno di un pellegrinaggio nei luoghi poetici altrui. Il libro è stato pubblicato ed è andato bene, stranamente, anche come vendite…Eppure mi ha lasciato un retrogusto amaro, come posso dire, quasi un senso di colpa…per non aver fatto un'operazione del tutto pulita. Non ero convinta di alcune scelte dell'ultima generazione poetica, che avevo dovuto fare, come sempre accade nelle antologia, per motivi editoriali. Nel frattempo, avevo intrapreso altri studi, approfondito altre problematiche e con Francesco Stella, direttore della rivista di poesia comparata "Semicerchio", di cui sono redattrice, abbiamo cominciato a pensare di affrontare un nuovo viaggio, questa volta più coraggioso e radicale, alla ricerca della poesia, la vera poesia., la poesia, appunto, del cuore, come diceva prima Tahar Lamri, una poesia che avesse una ragione d'essere, una necessità, diciamo, al di fuori dei maneggi delle accademie, delle logiche editoriali, delle critiche, dei debiti reciproci, di tutti quei giochi che con la sua esistenza non dovrebbero avere niente a che vedere. Era il 1997 quando ci siamo messi sulle tracce di quegli autori stranieri che scrivevano in italiano, all'inizio totalmente alla cieca, rivolgendoci candidamente a centri culturali e ambasciate. Questo al di là di qualsiasi discorso sociale, politico, concernente l'immigrazione. Cercavamo esclusivamente della poesia di qualità, o meglio della poesia tout court, perché la qualità è implicita, la poesia non può essere né bella né brutta, o è poesia o non è niente. Allora la narrativa cosiddetta della migrazione era già stata studiata e in parte pubblicata, ma di poesia si parlava molto poco. A parte il concorso Eks&Tra, di Fara editore, che pubblicava però antologie miste, con poesia e narrativa mischiate, e un solo testo per ogni autore - il che è molto poco, non si capisce nulla da un testo - e la ricerca critica pionieristica di Armando Gnisci, era tutto molto confuso e approssimato. Dal 1998 al 2000 videro la luce i nostri primi cinque quaderni antologici, divisi per aree geografiche - una cosa che sicuramente adesso non farei più - ognuno includente quattro o cinque poeti con una quindicina, una ventina di testi ciascuno, perché l'individualità poetica potesse emergere un po' più chiaramente, e doppie prefazioni: di un intellettuale straniero legato alla terra di origine dei poeti antologizzati, e di un poeta italiano che li accoglieva sulla soglia della lingua. Proprio questo discorso della collaborazione, lo dirò poi, per me è fondamentale. Avviata la collana sono stati anni di conoscenze, di amicizia, di intrecci, di scambi e di individuazione di problemi che, ultimamente, soprattutto parlando con amici scrittori di diversi paesi, ho verificato che cominciano a ripetersi un po' ossessivamente. Per cui non riesco a fare a meno di pensare, proprio in questo periodo, a cosa ci sia da cambiare, a come si debba riaffrontare l'argomento, all'angolazione che deve assumere il nostro sguardo. E intanto, col passaggio all'editore Zone di Roma, ho iniziato col ristrutturare la collana diversamente. Il nuovo volume della nuova collana, dedicato al brasiliano Heleno Oliveira, è monografico, perché, nel frattempo, dal 1996 ad adesso, i poeti si sono fatti, e rinforzati. E' una questione di tempi. Siccome l'italiano non è una lingua che ha un passato coloniale importante, da una parte, a chi la sceglie per esprimersi, è garantita una maggiore libertà, e quindi una inventiva maggiore, una innovazione maggiore, però è anche vero che c'è bisogno di più tempo per impadronirsene perché, comunque sia, è uno strumento sonoro e come tale va fatto suonare e, per imparare a suonare, ci vuole del tempo. Adesso che sono emersi, a mio avviso, dei buoni poeti, è giusto che abbiano la possibilità di avere una raccolta in cui possano pubblicare quaranta, cinquanta, sessanta poesie, con le quali mostrarsi in tutto il proprio valore. Quello che ho notato, purtroppo, è il ripetersi di un meccanismo perverso che appartiene già alla situazione strettamente italiana: ci sono pochi autori, cioé, che sono approdati alle grosse case editrici, che, per meriti o per demeriti, sono comunque arrivati, che pubblicano e che scelgono di non partecipare più a questo genere di convegni. O almeno solo pochissimi non rinnegano il passato. Fanno gli scrittori e basta, e tutto il discorso attorno alla poesia e alla letteratura della migrazione, a quel punto, sembra non riguardarli più. Vogliono essere solo poeti e scrittori italiani, e non intendono più discutere di quello che li rende comunque diversi, di quelle caratteristiche umane e dunque letterarie che solo la migrazione conferisce e garantisce. E' un impoverimento, che perde di vista una questione di importanza capitale che investe il futuro di tutte le letterature, e non solo, seppellisce un percorso evolutivo e identitario di cui diventa impossibile rintracciare reperti. E' già successo in Francia, ad esempio, con gli scrittori francofoni. Poi, un po' al di sotto e separata da un confine invalicabile, c'è la fascia di autori in cui continua questo dibattito intorno a temi che poi, comunque, alla fine, cominciano ad essere sempre gli stessi, riguardo appunto alla qualità e alle competenze nel maneggiare la lingua italiana, riguardo addirittura alle definizioni, che poi è un discorso per me totalmente assurdo, o perlomeno non così rilevante. Io credo che, arrivati a questo punto, parlo proprio umilmente, dalla base della mia esperienza editoriale e anche di scrittrice, perché poi sono tutti autori con cui ho stretto amicizia e con cui scambio letteratura, in un arricchimento reciproco, da questo, dicevo, sono arrivata a concludere che è necessario adesso - e mi ha fatto piacere vedere che l'organizzazione di quest'anno di questo convegno ne abbia tenuto conto - che ci sia un avvicinamento stretto tra autori italiani e questi autori stranieri. Per un mutuo e fertile sostegno: per noi, è fondamentale per riscoprire la lingua italiana, per liberarla dai barocchismi, dalla autoreferenzialità, per liberarla da…diciamo..anche da un certo vocabolario di una certa avanguardia che non ha più il senso di esistere perché avanguardia non è. Per ridarle vita, insomma. Perché quello che, poi, contraddistingue questa nuova letteratura, questa nuova poesia - nel mio caso io conosco meglio la poesia - è una sostanza etica fortissima. E' una letteratura carica di contenuto, una letteratura profondamente consapevole dell'uomo. Buona parte della poesia italiana di oggi sembra ignorare l'uomo: è una poesia di corte, narcisistica, totalmente priva di sentimento e non risuona dentro - come si diceva questa mattina - non può risuonare perché l'uomo, l'animale uomo, non è contemplato e finisce per non esistere. Non può risuonare all'interno di un uomo che non c'è, e non c'è nessun uomo a causare questo risuonamento. E questo è fondamentale. Però è anche vero che altrettanto fondamentale è una collaborazione ai testi dal punto di vista strettamente linguistico, da parte degli autori italiani. Anche io, in tutti questi anni, con chi più, con chi meno, ho dovuto fare un lavoro di editing, perché è chiaro che, insomma, uno straniero, anche dopo molto tempo, ha bisogno di perfezionare, di interiorizzare strutturalmente e musicalmente una lingua diversa dalla madre, in tutte le sue sfumature. E non esistono più figure, all'interno delle case editrici, che siano in grado di fare un lavoro di questo genere, di accompagnare con competenza, artisticamente direi, questo lavoro di messa a punto dello strumento sonoro. Esternamente si rischia di appoggiarsi a incompetenti o, comunque, a non letterati - letterati è una brutta espressione, diciamo a non scrittori - che non respirano la lingua da scrittori e che, quindi, provocano un appiattimento di questi testi. Ecco, io penso che il contributo fondamentale che noi - e coinvolgo me stessa per prima - possiamo dare a questa letteratura, al di là dei convegni in cui, ormai, si è sviscerato tutto quello che c'era da sviscerare teoricamente, sia proprio un lavoro a tavolino di collaborazione reciproca, all'interno o anche all'esterno di case editrici, per cercare di fare in modo che questa letteratura possa trovare una collocazione, lo spazio che le è consono, per fare eco in tutta la sua potenza, acclimatarsi e posizionarsi nella letteratura italiana, perché il problema non è più quello di definire questa letteratura, ma di ridefinire la letteratura italiana in modo che possa accoglierla. In modo che, per esempio, all'interno della poesia, un Hajdari, uno Stanisic, possano convivere con un Magrelli, o un Cucchi. Però, perché questo possa essere, bisogna lavorare insieme. Perché questo possa succedere ci vuole una collaborazione le cui modalità sono ancora un po' da studiare, insieme. Ormai, dal mio punto di vista, questi due universi non possono più viaggiare separatamente. Non solo per il rischio di ghettizzazione, come si sta cominciando finalmente a dire, ma per non impoverire entrambi gli universi letterari.


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