LA MIA
STANZA
di Leela Marampudi
Piove ormai da tre settimane sulla
strada in discesa che conduce al fiume. “Sei sicura che sia malata, Myra? Che malattia ha, mamma? Non è che semplicemente non vuole andare a scuola?”. Rosy, la sorellina più piccola di Myra, non capisce il dolore della sorella, perché non si esprime fisicamente. È un dolore interno, che nasce nelle persone che hanno una sensibilità incontrollata. “Empatia. La sua malattia si chiama empatia, Rosy. Non è propriamente una malattia: è un dono, ma per il momento Myra non è ancora pronta ad affrontarlo”. Un dono, per alcuni, per gente come il professor Harvey lo è. L’ex psichiatra Harvey Robert, dopo visite alla bambina, ha stabilito la tesi che ora la madre sta riferendo a Rosy: “La bambina è infetta di troppo sentire”. Così ha pronunciato il verdetto per una sentenza gratuita in quanto amico di famiglia. “Quando imparerà a controllare la sua capacità di vedere oltre, la sua malattia si trasformerà in un dono… anch’io, da piccolo, ero affetto dal suo stesso male e all’inizio il cinismo mi ha aiutato a creare una spietata padronanza di lasciare al loro posto le sensazioni viste fuori da me… le vedevo, ma sapevo che non erano mie. Lei, per ora, crede che ciò che sente degli altri sia un problema personale”. Il professor Harvey, a differenza di Myra, ignora che l’incoscienza infantile svela una grande coscienza: Myra, come l’acqua, non può smettere di muoversi. È la vita. Non può morire costruendo un muretto di cinismo dentro sé, perché l’universo che è in grado di vedere, quell’universo che ci avvolge, è parte di lei o lei è parte di lui… sono uguali in dimensioni diverse: una matrioska. Per questo gli è legata visceralmente, come tutti. Non riesce a morire nel non accettare ciò che la contiene e che lei stessa contiene. E così, Myra, sta male perché affronta l’universo con coscienza. L’incoscienza di smettere di vedere la si lascia ai vecchi, che credono di essere pronti alla vita smettendo di viverla. Myra: troppo piccola per morire e per altri troppo piccola per vivere. “Vedi, Rosy, se Myra è forte potrebbe trasformare il suo star male in un aiuto per gli altri. Con gli anni Myra sarà fiera del suo dono”. Ma, per Myra, il miracolo di ciò
che riesce a sentire, per ora, è solo un incubo, dal quale viene
dominata come un fiume in piena. *** L’aria. Vento gelido che non
trova barriere per lei, anche se a proteggerla in quella stanza sono presenti
tapparelle che di proposito abbassa il meno possibile. “Siamo venuti a prenderti: scappa, vieni con noi, tu fai parte del mondo, non credere a chi ti ha detto che non è vero!”. “Come posso venire”, chiede. “Cercaci dentro di te”, risponde la voce nel vento. “Ho pa… mi han detto di aver paura”, replica Myra. “Lasciati andare”. Si lascia andare nell’acqua
e nel vento che sente dentro. “Io… esco dalla finestra. Sono libera. Sono viva!”. No. Manca qualcosa. “Una formica si è persa”. No. L’ultimo anello della sua catena non si è perso, si è staccato apposta. È voluto rimanere là. “Perché?”. Lo chiama, stando nella vita. Telepaticamente le risponde: “Se ti dimostrassi che questo “mondo” non è una delusione, torneresti?”. Quel granello di Myra è così pazzo da sperare che si possa vivere con uomini? “Quel mondo è uguale
a questo, ma gli uomini non lo sanno. Credono di essere qualcos’altro…
“ …no”. *** I tuoni sono passati. Rimbombano lontani. Finalmente la pace. Qualche ritardatario ruggisce ancora con arroganza, ma è solo, si sfoga per finire di scaricare la sua eccitazione: l’aria ormai è silenziosa e purificata dalla pioggia. “…Forse il fascino del
temporale è sentire la violenza che sfuma in una pioggia sensuale”. “Dopo anni mi stupisco ancora
di fronte a questo misterioso qualcosa. “Causa-effetto… uhm…
ma se è certo che un bambino ha bisogno dell’approvazione
dei genitori, pena gravi disturbi nello sviluppo della sua personalità,
cosa spiega il perché esista questa relazione di causa-effetto?
E poi, tutte queste relazioni di causa-effetto sono sufficienti a spiegare
la complessità dell’animo di un essere umano? Strumento, appunto. Come lo è un cacciavite. “Inizio a pensare che solo tramite
le sensazioni, il Sentire, si possa cogliere il secondo perché,
arrivare a dio. Al tutto. Senza ragionamenti. “Scusa tesoro: ero pensierosa e poi mi sembrava che parlassi da solo ad alta voce. Che hai detto?”. “Psf! Che pensavi? Va beh. Ho detto che domani vado a trovare Myra”. “Pensavo… a come dirtelo… ho sentito la madre di Myra al telefono e dice che è scappata”. *** “Sono un granello di Myra. Un granello di sabbia a forma di formica, che aspetta come un bambino rinchiuso in sé stesso, la speranza, lo stupore nel trovarsi di fronte alla vita”. Oggi han detto che Myra è fuggita,
è scappata. Nessuno capisce il perché. Tutti piangono perché
lei era la speranza, la vita, che nessuno le aveva dato. “Guardo il brusio, l’andirivieni
di persone che cercano indizi, ma nessuno si ferma ad osservami. *** Nella stanza di Myra, il sole che filtra dalla finestra socchiusa sembra meno immateriale della luce, più concreto. Tanti raggi, come fili metallici luccicanti, costruiscono un passaggio che porta dall’interno a chissà dove. “Già la parola “dove”, nel cielo, mi sembra così strana: come distinguere un punto da un altro? È tutto così uniforme: un mare senza onde, un punto infinitamente grande”. I raggi, come il riflettore di un
palcoscenico, illuminano, appoggiandosi, una zona ben definita della moquette.
“È strano pensare che, semplicemente respirando ne sto adottando molti, dentro di me, nei miei polmoni, o nel setto nasale, fin sotto agli occhi… li sto adottando tutti… tutti uguali… no!”. Uno si distingue: è scuro e danza più freneticamente degli altri. “Sembra che stia cercando qualcosa…”. Il professor Robert, avvicinandosi, non si accorge che quel granello salta la corda di luce per poter confidarsi con lui. “Dov’è finito? “Eccomi!”. Riconoscendo la voce della bambina, dentro sé il professor Robert si spaventa: “Myra, tesoro, dove sei?”. Così, ad alta voce, inizia a parlare con la piccola, sperando che la voce sentita provenga da fuori dal suo corpo. “Tesoro esci fuori! Siamo tutti preoccupati!”. Sperando di non scoprirsi pazzo per sé stesso, passa per tale davanti alla madre di Myra che, entrando nella stanza, vede un uomo parlare ad un fantasma. “Myra parlami ancora, dove sei?”. “Sono qui!”. “Professore, si sente bene?”, chiede la madre di Myra. “Non la sente, signora? Non ha sentito la voce di Myra?”. Con una prima espressione speranzosa
nel viso, la madre si protrae in modo attento verso il vuoto della stanza,
ma la mente, più forte della speranza, fa mutare lo sguardo in
direzione del professore. “Professore, si sente bene? Cosa sta cercando?”. Senza riflettere, Harvey Robert risponde: “La sto cercando. Mi ha chiamato”. La donna, spaventata, corre fuori
dalla stanza, lasciandolo solo nelle ricerche. “Sta meglio, professore?”. “So cos’è successo”. La donna si siede distante da lui, sul letto. “Dica. La ascolto”. Senza girarsi, guardando sempre fuori dalla finestra, inizia il suo monologo: “Ho visto la verità e ora la sento. Mi ha parlato. Myra è fuggita perché questo mondo, il mondo degli uomini l’ha delusa. Sentendolo dentro sé, sentiva anche i suoi limiti. È fuggita verso il mondo che l’uomo non accetta per troppa ragione. La ragione dovrebbe rafforzare le verità, non essere utilizzata per scappare da esse, giustificando le proprie paure. Fuggendo ha lasciato un ricordo di sé: la speranza di non doversene andare”. La donna si avvicina alla finestra e appoggia una mano sulla spalla del professore. “Io ho raccolto quella speranza e la custodisco dentro me. Myra in fondo è ancora presente grazie a me. Mi ha scelto per aiutarla a vivere tra gli uomini”. La donna indietreggia. “Guardi, signora!”. Il professore indica fuori dalla finestra il Lerion. “La vede! Myra galleggia! È viva nel mondo. E ora anche la sua speranza ha trovato casa. È viva tra gli uomini e nel mondo. Sono felice per lei… sento la sua felicità”. La donna, dopo aver sgranato gli occhi
puntati verso il fiume, scoppia in un terribile urlo e esce nuovamente,
correndo, dalla stanza. Como, 2002 Tutti i diritti letterari di quest’opera sono di esclusiva proprietà dell’autore. |
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