Introduzione a “il tragediometro e altre storie”
Di Helene Paraskeva

Il “Tragediometro e Altre Storie” ha la valenza del ritorno nei luoghi di memoria. Il ritorno può essere lungo o breve, definitivo o provvisorio. Può essere avventuroso e gratificante, come quello di Ulisse, o tragico, come quello di Agamennone. Nel ritorno c’è l’angoscia della partenza, l’impatto dell’arrivo e l’affanno per recuperare il tempo trascorso “altrove”. Ritornare comporta dimostrare di non aver “tagliato i ponti”. E soprattutto il ritorno è un confronto, ricordiamo quello di Ulisse con i pretendenti.
Mentre la scena iniziale del racconto, che può essere un avvenimento “storico” come un colpo di stato, una guerra, l’occupazione dal nemico o una semplice lite nel quartiere, accade in primo piano, il personaggio, che fino ad ora è stato testimone stando all’ombra, comincia ad allontanarsi portando con sé l’emozione dell’evento. Si allontana ancora nel tempo e nello spazio. Si allontana parecchio, anche culturalmente. Emigra.
I racconti de “Il Tragediometro…” sono rituali di ritorni in quei luoghi di memoria. E trattandosi di rituali apotropaici, che fungono per scacciare il male, sono accompagnati da musica e risate, sin dall’Introduzione.
A volte i personaggi si muovono con leggerezza. Nel “Quella sera che il bacio...”, le scene comiche si alternano a riflessioni più o meno serie. Ma il personaggio rimane sulla leggerezza. Rabbia, frustrazione e ira sono controllate e mutuate da umorismo e ironia.

Il rischio
A volte il sentimento controllato porta a giocare “giochi” d’anticipo, che, sebbene divertenti, rischiano di trasformare la comunicazione in uno specchio che riflette i reciproci pregiudizi all’infinito.
Lo svantaggio
A volte l’emozione incontrollata può comportare una “retrocessione” culturale e sociale. L’emozione soffoca, toglie la parola, rende stranieri. L’emozione dello straniero lo rende due volte straniero, un alieno.
Il pensiero disciplinato
La razionalità e l’ispirazione artistica, invece, salvano dall’auto-commiserazione e sviluppano l’originalità e il pensiero divergente, come in “Balanzà l’acacia del tradimento” e in “Tempi Illuminati”.
Quando scrivevo “Ai Giovani”, un racconto che parla di guerra e occupazione dal nemico, temevo di essere anacronisticamente patetica ma l’attualità mi ha dato torto, purtroppo.
Infine, vorrei spendere due parole per “Da Sisifo” e “La Prima Passione di Queen Lady Blue”. Il primo, che per me è un tentativo di avvicinamento agli elementi di “eros e thanatos” attraverso le strettoie delle parole-non-parole, è stato anche definito un po’ “hard” o “osè”. Bene. Hanif Kureishi ha iniziato la carriera scrivendo racconti “hard” per vivere. Dà da pensare…
“La Prima Passione di Queen Lady Blue”, non è il racconto di “una Drag Queen alle prime esperienze”. “Queen Lady Blue c’est moi!”

Interlingua, fossilizzazione e shock culturale
Vorrei spendere poche parole di approfondimento dei termini “interlingua”, “fossilizzazione” e “shock culturale” non solo perché sono concetti che vanno demistificati ma anche per ribadire l’ “utilità” della letteratura della migrazione.
Esiste uno stadio di apprendimento di una lingua straniera (chiamiamola L2) che è composta da tre componenti:
- una parte di L2 appresa e utilizzata;
- un’altra parte di L2 appresa solo a livello di riconoscimento, e
- la lingua madre (L1) che va a “coprire” tutte le lacune ancora esistenti nella L2.
Per un emigrato che vive nel paese ospitante da un po’ di tempo, questa fase di conoscenza linguistica in evoluzione si chiama INTERLINGUA.
L’interlingua è in espansione dinamica continua. Mentre il nostro immigrato arricchisce il suo vocabolario, perfeziona e completa le sue conoscenze grammaticali e migliora le quattro capacità comunicative di base (ascoltare, parlare, leggere e scrivere) le prime due componenti prendono il posto della terza.
Infatti, mentre inizialmente l’Interlingua viene definita come una fase di linguaggio “ibrido” a metà strada fra la lingua madre (L1) e la L2, successivamente, nelle fasi più avanzate, (l’interlingua) si allontanerà sempre di più dai “supporti” della madre lingua (L1) per avvicinarci più possibile alla lingua straniera (L2) fino al raggiungimento della perfezione, si spera. Si tratta di un “allontanamento-avvicinamento” che riguarda solo la conoscenza linguistica e non è un “allontanamento” affettivo né l’oblio della madre lingua, come qualcuno possa temere.
Ma non sempre è così. Mentre alcuni immigrati migliorano le competenze linguistiche nella L2 da un giorno all’altro, qualcuno invece rimane in una “fase” di interlingua statica. Ad esempio, fare sempre gli stessi errori, nonostante correzioni e suggerimenti è un sintomo di “fossilizzazione” e dipende da fattori psicolinguistici e sociolinguistici ma sicuramente non è indice di incapacità.
Un altro fattore è l’età, naturalmente. Più è giovane l’immigrato quando affronta l’immigrazione e minori sono i rischi di fossilizzazione cui va incontro.
Fra i fattori psico sociolinguistici più incisivi, vorrei prendere in considerazione lo “shock culturale”. Se le due culture, quella di nascita e quella di adozione, sono molto diverse e qualche volta perfino in contrasto, questa diversità può portare ad uno “scontro” psicologico. Il conflitto interiorizzato fra le due culture può provocare nell’immigrato uno shock, lo shock culturale, che influisce negativamente sull’apprendimento della seconda lingua ma anche sul suo atteggiamento in generale nei confronti della cultura di adozione.
Fenomeni come interlingua, fossilizzazione e shock culturale rendono l’immigrato un “adulto bambino”, uno che rischia costantemente la “retrocessione sociale”. Lo straniero è uno che capisce poco, parla poco, si esprime male, uno che si sente di dover sempre superare l’esame, uno che diventa spesso “invisibile”. Le conseguenze di questo stato esistenziale sono infinite, intriganti, materia di letteratura.
In questo senso è da intendersi l’ ”utilità” della letteratura della migrazione. Storie, racconti poesie, romanzi che descrivono e analizzano un’ampia gamma di queste tematiche aiutandoci ad approfondire le cause del disagio e condividere esperienze analoghe.

 


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