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Ferrara 4 - 5 maggio 2007
6° Convegno Nazionale

Culture e letteratura della migrazione

"Confini: luoghi, storie, culture di frontiera"

Centro di promozione sociale “Il Quadrifoglio” - V.Savonuzzi, 54 – Pontelagoscuro (FE)

 


"Tavola/Europa" di Anton Roca

 

“Siamo abitatori di frontiera, perciò il nostro vicino è al di là del confine ”(Umberto Galimberti)

PRESENTAZIONE

Nelle ultime edizioni del convegno abbiamo tentato di guardare all’interno dei nuovi scenari prodotti dalla trasformazione del nostro paese da luogo di emigrazione a luogo di immigrazione. La letteratura della migrazione, nei suoi intrecci con la letteratura italiana e più in generale con la “letteratura dei mondi”, si è offerta come insostituibile paradigma per guidarci verso una lettura delle trasformazioni in corso, non solo per la crescente rilevanza e maturità che questo fenomeno culturale sta assumendo, ma anche per le valenze extraletterarie che porta con sé.
In questa prospettiva abbiamo affrontato il tema della città, delle nuove realtà metropolitane che si stanno trasformando in luoghi di attrazione per migliaia di individui di diversa provenienza e creano così le premesse per inedite mescolanze di storie, memorie, lingue, identità, culture. Abbiamo messo a confronto, su queste tematiche, le suggestioni provenienti dalle esperienze degli artisti e degli scrittori migranti con le analisi di un geografo di mestiere, e intellettuale curioso per passione, come Franco Farinelli.
Con Iain Chambers, nostro ospite nella passata edizione del convegno, ci siamo lasciati trasportare nell’esplorazione dei nuovi “paesaggi migratori”: una sorta di inedito territorio aperto nel quale le radici di ciascuno di noi sono messe in discussione, uno spazio critico nel quale prendere coscienza di come le culture, i linguaggi, le storie individuali e collettive sono qualcosa in continua elaborazione, da rileggere nel confronto costante con l’altro e con l’altrove; di come ogni identità non sia un punto di arrivo, ma un punto di partenza.
Per l’edizione di quest’anno, proseguendo in questa prospettiva, abbiamo scelto come tema e titolo del convegno “Confini: luoghi, storie, culture di frontiera”. L’attenzione al tema dei confini e delle frontiere sarà orientata in due direzioni: da un lato con riferimento ad esperienze tipiche di luoghi attraversati da più frontiere e caratterizzati da convivenze multilinguistiche e multiculturali, dall’altro, sul piano simbolico, alle sue rappresentazioni artistiche, culturali e letterarie.
Le esperienze di scrittori, poeti, intellettuali e artisti saranno messe in relazione al tema, nel tentativo di delineare un’idea di arte e letteratura di confine intesa non solo come soglia attraverso la quale storie, culture, linguaggi, si intrecciano e si mescolano tra loro, ma anche come esperienza dello spaesamento, dello sradicamento dalle culture e dalle lingue d'origine (di cui le scritture dell'emigrazione e dell'esilio rappresentano un paradigma significativo), per avviare una ricomposizione e una rimessa in discussione dell’idea stessa di identità.
Per intraprendere questo percorso abbiamo scelto un angolo visuale molto particolare da cui partire: quello del “paesaggio istriano”, e più in generale dell’area geografica friulana: per molti aspetti luogo emblematico della Frontiera.
Questa è la ragione per cui fra i nostri ospiti abbiamo chiamato a portarci la loro esperienza due intellettuali come Melita Richter, sociologa, scrittrice, croata che vive a Trieste dal 1980 e da sempre attenta osservatrice delle dinamiche interculturali, e Mauro Daltin, direttore del quadrimestrale “PaginaZero”, ispirato proprio alle “letterature di frontiera”, come recita il sottotitolo della rivista.
Qui, in questo paesaggio di frontiera, il corso della storia ha profuso terribili tragedie, ha marcato profondamente le sue popolazioni, sulle quali l’idea del confine ha lasciato segni profondi:

Quando cammino lungo le strade di Trieste mi sembra di essere lontano mille chilometri da casa mia. Quando mi ritrovo lungo le vie di Pordenone provo la stessa strana sensazione. Eppure distano pochi chilometri dalla provincia di Udine, dove vivo e lavoro. Ci sono confini e frontiere invisibili che si attraversano inconsapevolmente ogni giorno.” (Mauro Daltin, Editoriale, in "PaginaZero" - Maggio 2004- Numero 4)

Un paesaggio che però ha sempre rivelato anche una grande sensibilità per i fenomeni legati alla coesistenza delle diverse lingue o culture e per le problematiche che attraversano le cosiddette zone di frontiera o di confine.

“Nella vita di una città come in quella dei suoi cittadini, una progressiva acquisizione di identità nuove diventa un processo del tutto naturale. Questo processo è ancora più visibile per coloro che attraversano i diversi contesti geografici e culturali. Ogni cultura viva cambia e artefici di questo cambiamento sono donne ed uomini, a volte più figli del loro tempo che dei loro padri. Per cui, faccio mie le parole di un grande errante del mondo, Tzvetan Todorov: “ Condannare l’individuo a restare chiuso nella cultura dei suoi antenati presuppone che la cultura sia un codice immutabile, cosa empiricamente falsa”. (…)
In questa città [Trieste] io continuerò a rivendicare tutte le mie identità, tutte quante sono diventate parte di me, quelle ereditate e quelle acquisite: Donna Zagabrese, Croata, Jugoslava, Mitteleuropea, Europea, Mediterranea, Continentale, forse Ebrea errante, sicuramente Nomade…e, perché no? Triestina e anche S’ciava! “
(Melita richter, “Essere stranieri”, in Melita Richter, e Lorenzo Dugulin (a cura di), Sguardi e parole migranti, Trieste, 2005).

Da un confine ad un altro, o meglio, da uno sconfinamento ad un altro, cercheremo di allargare lo sguardo in più direzioni e attraverso le prospettive che sapranno offrirci gli ospiti del convegno.

Nei racconti dello scrittore algerino Tahar Lamri ritorna con frequenza la metafora del viaggio, anche attraverso il continuo “ pellegrinaggio della voce” che racconta e che affida alle storie, alle parole, il compito di costruire ponti tra culture:

“la scrittura non rappresenta per me un mero nomadismo, in cerca di pascoli letterari, ma rappresenta un pellegrinaggio circolare, dove non è assente lo smarrimento, il saccheggio, la meraviglia, il mito, e, forse, il ritorno verso di sé, o in altri termini più precisi l’eterna perdita della mia propria identità, coltivando in segreto, come i marrani nella Spagna della Riconquista, l’identità primordiale, in un luogo al di là dell’errare. Forse si tratta di una ricerca dell’”anima plurima” con le sue implicazioni pagane. Scrivere in una lingua straniera è un atto pagano, perché se la lingua madre protegge, la lingua straniera dissacra e libera". (Tahar Lamri, “Il pellegrinaggio della voce: esperienze e complessità della scrittura migrante”, in Atti del Secondo Convegno Nazionale"Culture della migrazione, scrittori poeti e artisti migranti, Ferrara 2003).

Nelle storie raccontate da Karim Metref, di origini berbere, alla passione per la terra di nascita fa da contrappunto la tensione verso l’altrove, come gesto di responsabilità nei confronti di se stessi e della propria identità, da ricercare costantemente attraverso il confronto con l’Altro:

«Partire - mi sono detto. Partire! Staccarmi, cambiare aria… acquisire più libertà, un’altra libertà. Non fuggivo dalla mia cultura, non me ne vergognavo. No! Volevo prendere distanza, vedere altro. Partire e confrontarmi con l’altro. Partire e poter assumere la mia cultura per scelta mia e non per costrizione dovuta all’azzardo di una nascita in un paesino sperduto della montagna Cabila…» (Karim Metref, Tagliato per l'esilio, Traccediverse Edizioni, collana Mangrovie, 2006)

Per Leela Marampudi, scrittrice italo-indiana, il confine sembra rivelarsi come una linea sottile, tutta interiore, tra due possibili appartenenze, la cui sintesi mette in moto, anche sul piano simbolico, il desiderio e la necessità di una costante ricerca di sé.

Venezia si è mossa. I piccioni l’hanno sentito. Il mare vuole poter cullare il dolore di questo posto… forse gli uomini, nella loro ingenuità, hanno permesso un ultimo respiro all’anima di questa città…rompere un involucro, un guscio che non può rappresentarla e così volare alla ricerca di un altro” (Leela Marampudi, Malbianco, Fara Editore, 2006).

Per Mihai Mircea Butcovan che dalla Romania, il suo paese d’origine, è giunto in Italia “per necessità e non per turismo”, il passaggio tra confini e frontiere si traduce metaforicamente in una sorta di Allunaggio, l’approdo su un altro pianeta (dal Comunismo al Consumismo) tutto da scoprire che, attraverso una scrittura ironica e disincantata, viene spesso svelato nei suoi aspetti più paradossali e grotteschi.

“Siamo cittadini di un nuovo, grande ma sempre più stretto, villaggio globale. I nuovi cavalli sono automobili, le nuove diligenze sono traghetti, le nuove navi sono aerei, e partiamo e ritorniamo per la conquista di un nuovo continente nella stessa settimana. Ma le dogane e le frontiere sono ancor più difficili da passare. Eppure non si parte più con la supposizione di nuovi mondi ma con la certezza di “Americhe” da conquistare. Dove le “Americhe” sono, nel nostro immaginario, almeno un’opportunità per vivere meglio.”( da Allunaggio di un immigrato innamorato: intervista a Mihai Mircea Butcovan, in http://www.comune.fe.it/vocidalsilenzio/intervistamihai.htm)

Francesco Vietti, studioso di lingue lontane, insegnante e mediatore linguistico-culturale, eploratore di possibili opportunità di convivenza tra le diversità, ci racconterà, tra l’altro, della sua città, Torino, dove sembra ci sia una città dentro la città che attenda di essere esplorata e conosciuta più in profondità. E’ quanto emerge nell’antologia di cui è curatore, In Madrelingua ( Traccediverse Edizioni, Torino 2006), una raccolta di circa 50 poesie e racconti composti da 50 autori di tutto il mondo, ma residenti a Torino:

"Io amo profondamente Torino e credo che questo libro, nel suo complesso, sia una dichiarazione d’amore e di fiducia nei confronti di questa città. I giornali spesso sembrano voler raccontare solo le risse, le retate, le violenze che feriscono Torino. Ma per fortuna ogni giorno decine di persone si impegnano per un altro obiettivo: abitare la città. E questo significa innanzitutto lavorare per superare il disagio sociale, le barriere e i pregiudizi e che dividono i “quartieri degli italiani” dai “quartieri degli stranieri”, le vie dove si passeggia la sera da quelle da evitare dopo il calar del sole, i giardinetti dei bambini da quelli dei “pusher”. La Torino “multietnica” non è solo quella dei mercatini o dei ristoranti: è qualcosa di più profondo, di meno folkloristico, di più difficile, ma anche di più interessante e vero". (“In madrelingua: intervista a Francesco Vietti”: http://www.comune.fe.it/vocidalsilenzio/intervistafrancescovietti06.htm).

Anton Roca, intellettuale e artista catalano, anche a causa delle peculiari condizioni dell’area geografica da cui proviene, ha sempre dimostrato una grande sensibilità per i fenomeni legati alla coesistenza delle diverse lingue o culture e per le problematiche che attraversano le cosiddette zone di frontiera o di confine.
Emblematiche restano alcune tra le sue iniziative artistiche. LuogoComune # 2, che si pone in continuità con il progetto LuogoComune realizzato in coincidenza con il terzo millennio, è inteso come spazio di riflessione, affidato alla creazione artistica, intorno a quei luoghi e/o spazi in cui confluiscono tutte le diversità, come espressione di una normalità a carattere “ancestrale” e, per questo, comune a tutte le culture.

"...mi pare ovvio che per una convivenza in cui prevalga il rispetto e la tolleranza bisognerebbe trovare un luogo comune, equidistante a tutte le realtà presenti in un determinato contesto, locale, nazionale, statale o globale che esso sia.
Un luogo comune in cui possa avvenire l'incontro.
Un luogo comune in cui prevalga il rispetto della diversità.
Un luogo comune in cui sia possibile ribaltare il concetto stesso di diversità: dal carattere preminentemente negativo ad un senso di positività, per quanto esso possa significare crescita, ricchezza rinnovamento..."
(Anton Roca, da "Luogo Comune", 2002)

Altri “sconfinamenti” saranno affidati al LECHAIM KLEZMER TRIO, un gruppo musicale composto da Gianluca Fortini (clarinetto, clar. Basso), Salvatore Sansone (fisarmonica), Giovanni Tufano (chitarra, percussioni arabe).
La musica klezmer era l’espressione di piccole orchestre (kapelye) che si spostavano di luogo in luogo mescolando la tradizione musicale degli ebrei dell’Europa dell’est alle polche e alle mazurche dell’Europa orientale e al rag-time di origine statunitense trasportando, con questa miscela di emozioni, “il sorriso tra le lacrime”.

Le diverse sessioni del convegno saranno arricchite poi dalla presenza di un pubblico, composto in larga parte da studenti, che anche quest’anno, come nelle edizioni precedenti, saprà certamente distinguersi per interesse, curiosità, disponibilità a farsi coinvolgere e a rimuovere, magari, quel confine sottile che separa, a volte, chi parla e chi ascolta quando non prevalgono la volontà di dialogo e di confronto.

p.t. aprile 2007

 


 

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PROGRAMMA DEL CONVEGNO

GLI OSPITI

COMUNICATO STAMPA

Le immagini del convegno

 


 

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