Anche quest'anno il Cies di Ferrara,
Vocidalsilenzio e l'Associazione Cittadini del Mondo, con la collaborazione
del Comune e della Provincia di Ferrara e della Regione Emilia Romagna,
promuovono il Convegno Nazionale "Culture e letteratura della migrazione",
giunto alla nona edizione, che si terrà nei giorni 26 e 27 marzo
2010 presso il Centro sociale “Il Quadrifoglio”, V.Savonuzzi,
54 – Pontelagoscuro - Ferrara (Autobus n. 11).
Come per le precedenti edizioni, l'iniziativa sarà dedicata in
modo particolare agli studenti delle scuole superiori, presso le quali
saranno avviati, nel periodo che precede il convegno, incontri con gli
scrittori e attività sulla letteratura della migrazione e sulle
tematiche dell'intercultura.
“Lungo una strada che attraversa le
risaie passano lentamente due uomini di colore a cavallo, uno con il
fucile in braccio, controllando che il lavoro venga ben eseguito. E
dall’acqua, da una delle persone piegate nello sforzo di cogliere
il riso si alza lentamente una voce: “Oh mia bella madunina…”
cui risponde un coro straziante “che te brilett de lontan…”.
Quello in comando si ferma e commenta: “Non c’è niente
da fare, questi lumbard hanno la musica nel sangue”.
Questa storiella riportata da G. Barbujani e
P. Cheli nel loro recente Sono razzista, ma sto cercando di smettere
(Laterza, 2008) capovolge uno dei più comuni stereotipi
razziali secondo cui i neri “hanno la musica nel sangue”
e nello stesso tempo disegna un futuro in cui “loro” hanno
preso il “nostro” posto (a cavallo col fucile).
Attraverso questa operazione di ribaltamento dell’immaginario
comune, una tecnica propria del comico, da un lato viene ridicolizzata,
attraverso l’enfasi, l’inquietudine da accerchiamento e
la paura di essere invasi dagli stranieri; dall’altro, però,
si rappresentano queste inquietudini come un sentire diffuso, tanto
che ormai se ne può perfino ridere.
Sentimenti come questi fanno parte di quel crescendo di pregiudizi,
intolleranze, fino a palesi episodi di violenza contro gli stranieri,
che caratterizza questi ultimi anni durante i quali manifestazioni verbali
o veri e propri comportamenti razzisti, talvolta efferati e brutali,
sono sempre meno celati da censure, come se si fosse spostato in avanti
( o indietro) la dicibilità stessa del razzismo.
A favorire questo crescendo, che pervade le relazioni quotidiane, contribuisce
anche il livello istituzionale, il quale, attraverso politiche come
quelle del “pacchetto sicurezza”, i “respingimenti”,
il reato di clandestinità , o rendendo sempre più problematico,
anìziché favorire, l’accoglienza e l’integrazione
di chi è definito “irregolare”, consolida in una
parte dell’opinione pubblica l’idea che sia legittimo che
una società si difenda costruendo confini profondi intorno a
sé e tra i suoi stessi membri, discriminando e privando di diritti
alcune minoranze.
Ma se il razzismo viene legittimato da chi detiene il potere si apre
una nuova possibilità di essere affrontato dalla satira, che
nelle distorsioni e nei contorcimenti del potere ha sempre trovato un
nutrimento.
Una delle particolari forme linguistiche della comicità consiste,
come nel “motto di spirito”, in un procedimento di estrazione
di un “non detto”, del senso nascosto che si cela sotto
il procedimento arguto, nel gioco di parole. Allora, forse, questo procedimento
è estendibile ad ogni tipo di produzione culturale, artistica
o letteraria, se è vero che ogni segno culturale può essere
visto come fenomeno di svelamento, che sotto una veste esterna ne cela
uno nascosto. Come sostiene lo scrittore e sociologo argentino Miguel
Angel Garcia “Ridere è corrodere le barriere dal di dentro,
è confondere la geometrica dicotomia tra il noi e il loro. Ridere
è soprattutto vincere la paura, fare un arma della vulnerabilità”
(Mantova, giugno 2002 (dissertazione nella premiazione Eks&Tra per
scrittori immigrati in Italia).
Ci si può porre, però, un interrogativo: é lecito
affrontare un tema così drammatico, come il razzismo, attraverso
la satira, il comico, l’umorismo? Una risposta l’ha data
in un intervista al “Manifesto” il regista palestinese Elia
Suleiman, autore di “The time that remains”, presentato
a Cannes nel 2009 :
“ L’umorismo si lega molto bene, per me, alla disperazione.
Può essere nero, compassionevole o entrambi, perché non
é facile relazionarsi al mondo quando si vive in un ghetto, non
sapendo mai quanto tempo si ha o quanto margine di movimento “
Ma se la satira, l’umorismo, l’irrisione possono essere
strumenti di resistenza alle crescenti intolleranze, un altro aspetto
dei meccanismi che innescano la risata deve forse farci ulteriormente
riflettere. Lucie Olbrechts - Tyteca, nel suo trattato Il comico
del discorso (Feltrinelli, 1977) delinea le circostanze che portano
alla risata nella vita quotidiana: si ride quando ci si sente superiori
a chi é caduto, a chi non ha capito: dietro la risata c’è
sempre una vittima ed uno o un gruppo che “ci ride sopra”;
il gruppo può essere rinsaldato dalla risata comune; il riso
però può anche escludere: lo stesso meccanismo del razzismo.
Partendo da queste suggestioni vorremmo
fare una riflessione collettiva sui modi e i significati del comico
e della satira: sulla possibilità di seppellire sotto un cumulo
di risate le forme di intolleranza e xenofobia che stanno dilagando.
Ci stiamo chiedendo e continueremo a farlo attraverso il convegno, se
e come sia possibile trovare delle modalità di risata che riescano
contemporaneamente a distruggere la disumanità del razzismo nelle
varie forme con cui si manifesta e a riconoscere l’umanità
anche di chi del razzismo si fa portatore. Se il razzismo è una
delle tante forme della esclusione non dovremmo cercare di trovare delle
modalità per combatterlo che modifichino questa tendenza alla
esclusione, applicando così uno dei capisaldi del pensiero della
nonviolenza ?
(settembre 2009)
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