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Ferrara 20 dicenbre 2021


20° Convegno Nazionale Franco Argento Culture e letteratura dei mondi


“Spaesamenti e appaesamenti. Per una antropologia del restare”



PRESENTAZIONE




frontiera confine, limite, bordo, margine sono anche

l’insieme dei punti che si hanno in comune”

                                (Franco Cassano, Il pensiero meridiano, 2021)


Abitare […]  è sentirsi a casa, ospitati da uno spazio che non ci ignora, tra cose che dicono il

nostro vissuto, tra volti che non c'è bisogno di riconoscere perché nel loro sguardo ci sono le

tracce dell'ultimo congedo. Abitare è sapere dove deporre l'abito, dove sedere alla mensa,

dove incontrare l'altro”

                            (Umberto Galimberti, Il Corpo, 2013)


“L’immigrato è per definizione atopos, senza luogo, anche fisico, quindi a mio avviso non

importa se abiti i quartieri alti o quelli bassi. Sei sempre fuori luogo”.

(Tahar Lamri, in Città, identità, culture, Atti del Convegno, Ferrara 2005)


Camminiamo di notte per il villaggio rurale

sembra una pista da ballo, sembra una giostra in stallo

il pensiero va a chi ha inventato questo posto

ci fermiamo nei discorsi per osservare in silenzio

sentiamo che passa un camion da lontano, sentiamo un treno

chiunque venga qui viene da lontano


                                           (Nader Gazvinizadeh, “Corticella”, in Abitare sociale.

                                             Un’indagine fotografica per Bologna, 2016)



Restare indica il fermarsi, il trattenersi, l’arrestarsi, il non procedere oltre. Suggestiva un’accezione del termine quando viene utilizzato nel linguaggio musicale: restare è

una didascalia (una di quelle indicazioni relative al tempo o velocità di movimento dei brani), utilizzata nelle partiture per strumenti a corda e prescrive di mantenere una


posizione (una nota o un accordo) quando possa sorgere il dubbio se si debba mantenerla o lasciarla.

Restanza, la forma sostantivata del verbo restare, se da un lato conserva in sé l’idea del permanere, dall’altro può indicare ciò che avanza o non si consuma. 

Nei suoi studi antropologici, Vito Teti usa questo termine conferendogli questa tendenza al dinamismo, al cambiamento:


Mi sono trovato, quasi per caso, come capita nella magica imprevedibilità della scrittura, ad adoperare, a inventare almeno in una nuova accezione, la parola

“restanza”. L’ho fatto in continuità e per assonanza con termini come erranza e lontananza. Perché restanza denota non un pigro e inconsapevole stare fermi, un

attendere muti e rassegnati. Indica, al contrario, un movimento, una tensione, un’attenzione. Richiede pienezza di essere, persuasione, scelta, passione. Un sentirsi in

viaggio camminando, una ricerca continua del proprio luogo, sempre in atteggiamento di attesa: sempre pronti allo spaesamento, disponibili al cambiamento e alla

condivisione dei luoghi che ci sono affidati. Un avvertirsi in esilio e straniero nel luogo in cui si vive e che diventa il sito dove compiere, con gli altri, con i rimasti,

con chi torna, con chi arriva piccole utopie quotidiane di cambiamento.

(Vito Teti, Il senso della restanza, 2017 https://www.treccani.it/magazine/atlante/cultura/Il_senso_della_restanza.html))


Questa riflessione innesca un dispositivo critico che mai come di questi tempi pare necessario.

Oggi viviamo immersi in una dimensione in cui sempre più locale e globale si confondono.

La mobilità umana è sempre più ampia e veloce. Il numero di persone migranti nel mondo risulta in costante crescita negli ultimi vent’anni, e ha raggiunto la cifra di oltre

281 milioni nel 2020, (erano 173 milioni nel 2000); la percentuale di migranti internazionali ha raggiunto il picco del 3,6 per cento della popolazione mondiale, dopo che

tra il 1960 e il 1985 non avevano mai superato il 2,6 per cento (fonte CESPI - FOCUS Migrazioni internazionali, febbraio 2021).

In base ai dati di UNHCR, a inizio del 2020 circa 79,5 milioni di persone sono state costrette a lasciare le loro case a causa di persecuzioni, conflitti e violazioni dei diritti

umani.

Secondo fonti governative, in Italia sono 899.000 le persone trasferite all’estero negli ultimi 10 anni. Di questi, 208.000 (23%) sono in possesso almeno della laurea.

Negli ultimi 25 anni una persona su sette se n’è andata dai piccoli paesi. Piemonte, Calabria, Sardegna e Campania sono le regioni in cui centinaia di comuni rischiano di

estinguersi per sempre.

Non esistono più paesi di sola immigrazione e viceversa. I flussi sono spesso bidirezionali, temporanei, intermittenti, reversibili, occasionali. Se guardiamo l’Europa, la

Germania è il primo paese europeo per numero di emigranti; nel Regno Unito, per ogni due persone che arrivano ce n’é una che parte; in Francia il numero di uscite è

quasi pari al numero di arrivi, in Spagna e in Italia le partenze sono superiori agli ingressi. Insomma si può ormai parlare di una “circolarità globale” (Stefano Allievi,

Torneremo a percorrere le strade del mondo. Breve saggio sull’umanità in movimento, UTET, 2021).

Nel mondo in cui tutto corre e si consuma in un baleno sembra tuttavia favorita la circolazione delle cose a quella degli esseri umani, e l’immigrazione rappresenta uno fra

i temi di maggior dibattito, in quanto il discorso pubblico tende frequentemente a mettere in relazione immigrazione, criminalità e sicurezza, segno che all’universalismo

delle merci non corrisponde l'universalismo dei valori e dei diritti.

Chi arriva o chi parte, oltre a doversi confrontare spesso con l’ostilità di chi si sente assediato

vive un profondo e talvolta drammatico passaggio, che non è solo territoriale e geografico, riflette la necessità di misurarsi con quel senso di estraneità prodotto dal vivere

a cavallo di mondi, fra un passato quasi del tutto perduto e un presente mai pienamente integrato: dimensione che esprime una condizione ormai molto comune e che

rappresenta la metafora del generale spaesamento che caratterizza tanta parte della modernità.

La "migranza", nel suo senso più ampio, esprime la metafora della condizione umana contemporanea: può diventare una sorta di "poetica del transito e della

transitorietà, messa in crisi dell'idea di appartenenza identitaria” (F.Sinopoli, Ferrara 2003). Allo stesso modo la “restanza” ne può costituire una specie di immagine

specchio, attraverso la quale riguardare i luoghi con rispetto, con un occhio attento e nuovo, riflettere in modo critico i confini della mentalità comune e della stessa

geografia umana e culturale.


Etica della restanza si misura con l'arrivo degli altri, con la messa in custodia del proprio luogo di appartenenza, con la necessità di avere riguardo, di avere una

nuova attenzione, una particolare sensibilità, per i nostri luoghi”.

(Vito Teti https://www.quodlibet.it/recensione/1194)


All’interno di questa geografia in movimento dove “ci troviamo inevitabilmente di fronte a storie mischiate, miscele culturali, lingue composite e arti meticce che sono

al centro anche della nostra storia” (Jain Chambers, Paesaggi migratori, 2003) si assiste anche a una nuova dimensione delle relazioni e dell'abitare, tra spaesamento e

appaesamento, dimensione che emerge con nitidezza oltre che dagli studi di scienze sociali, attraverso lo sguardo dell’arte e della letteratura, soprattutto nella cosiddetta

letteratura della migrazione, cioè quella ad opera di autori che l’esperienza migratoria l’hanno vissuta in prima persona, adottando una lingua letteraria diversa dalla

propria madrelingua, o di riflesso (le seconde e terze generazioni).

Il grande scrittore e poeta caraibico Eduard Glissant ribadisce come L’erranza è un principio che vale in tutti i campi della vita, anche nella scrittura. Ogni realtà è un

arcipelago; vivere e scrivere si­gnifica errare da un’isola all’altra, ognuna delle quali diventa un po’ la nostra patria

(conversazione con Claudio Magris, https://www.corriere.it/cultura/09_ottobre_01/magris-dialoghi-glissant_c3667c46-ae5c-11de-b62d-00144f02aabc.shtml)


Ogni luogo contiene il mondo intero, ci ricorda ancora Vito Teti, e in un mondo in cui tutto cambia rapidamente “ciò che resta è forse ciò che che parla ancora di

umano”, a condizione che si sappia leggere il presente non con la nostalgia per un passato che non c’è più, ma con lo sguardo aperto a ciò che potrebbe essere.

Perché è da un mondo interiore decolonizzato, dalla solitudine che non è isolamento, ma riflessione per l’altro e con gli altri, che può nascere, anche e soprattutto in

luoghi cosiddetti marginali, un nuovo senso del mondo.”

(Sandro Abruzzese, “Avere un posto nel mondo”, in Aree interne, sperimentare per ri/abitare”, a cura di Nicola Flora e Francesca Iarruso, 2021).


Ne parleremo con:

Vito teti - antropologo e scrittore, per anni professore ordinario di Antropologia Culturale presso l'Università della Calabria,

Tahar Lamri - Scrittore

Nader Gazvinizadeh - poeta e scrittore

Sandro Abruzzese - insegnante e scrittore

Per l’Associazione Gariwo (Gardens of the Righteous Worldwide): Pietro Kuciukian (console onorario d’Armenia, scrittore e co-fondatore di Gariwo) e Annamaria

Samuelli (filosofa, co-fondatrice di Gariwo e responsabile dei progetti didattici della Fondazione).

Occhioaimedia - redazione di giovani che si occupano di monitorare e segnalare gli articoli etnicamente discriminanti

Gruppi di lavoro di studenti e insegnanti delle scuole superiori di Ferrara che hanno realizzato ricerche e laboratori sul territorio.



Paolo Trabucco  dicembre 2021




 

Per informazioni:

• E-mail: info.vocidalsilenzio@tiscali.it


PRESENTAZIONE DEL CONVEGNO

COMUNICATOSTAMPA

GLI AUTORI

 

con il contributo di

 

con il partrocinio di


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Ufficio Scolastico Regionale
 Per l'Emilia Romagna



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FERRARA


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