CIES
Ferrara |
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Associazione
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20° Convegno Nazionale Franco Argento Culture e letteratura dei mondi
PRESENTAZIONE
“frontiera confine, limite, bordo, margine sono anche l’insieme dei punti che si hanno in comune” (Franco Cassano, Il pensiero meridiano, 2021)
“Abitare
[…]
è
sentirsi a casa, ospitati da uno spazio che non ci
ignora, tra cose che dicono il nostro vissuto, tra volti
che non c'è bisogno
di riconoscere perché nel loro sguardo ci sono le tracce dell'ultimo congedo. Abitare è sapere
dove deporre l'abito, dove sedere alla mensa, dove incontrare l'altro” (Umberto Galimberti, Il Corpo, 2013)
“L’immigrato
è per definizione atopos,
senza luogo, anche fisico, quindi a mio avviso non importa se abiti i quartieri alti o quelli bassi. Sei sempre fuori luogo”. (Tahar Lamri, in Città, identità, culture, Atti del Convegno, Ferrara 2005)
Camminiamo di notte per il villaggio rurale sembra una pista da ballo, sembra una giostra in stallo il pensiero va a chi ha inventato questo posto ci fermiamo nei discorsi per osservare in silenzio sentiamo che passa un camion da lontano, sentiamo un treno chiunque venga qui viene da lontano
(Nader
Gazvinizadeh, “Corticella”,
in Abitare sociale. Un’indagine fotografica per Bologna, 2016)
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Restare
indica
il
fermarsi,
il trattenersi, l’arrestarsi, il non procedere oltre. Suggestiva
un’accezione del termine quando viene utilizzato nel linguaggio
musicale:
restare è una didascalia (una di quelle indicazioni relative
al tempo o velocità di movimento dei brani),
utilizzata nelle partiture per strumenti a corda e prescrive di
mantenere una
posizione (una nota o un accordo) quando possa sorgere il dubbio se si debba mantenerla o lasciarla. Restanza, la forma sostantivata del verbo restare, se da un lato conserva in sé l’idea del permanere, dall’altro può indicare ciò che avanza o non si consuma. Nei suoi studi antropologici, Vito Teti usa questo termine conferendogli questa tendenza al dinamismo, al cambiamento:
“Mi
sono trovato, quasi per caso, come capita nella magica
imprevedibilità della scrittura, ad adoperare, a inventare almeno
in una nuova accezione, la parola “restanza”. L’ho fatto in
continuità e per assonanza con termini come erranza e lontananza.
Perché restanza denota non un pigro e inconsapevole stare fermi, un attendere muti e rassegnati. Indica, al contrario, un movimento, una
tensione, un’attenzione. Richiede pienezza di essere, persuasione,
scelta, passione. Un sentirsi in viaggio camminando, una ricerca
continua del proprio luogo, sempre in atteggiamento di attesa:
sempre pronti allo spaesamento, disponibili al cambiamento e alla condivisione dei luoghi che ci sono affidati. Un avvertirsi in
esilio e straniero nel luogo in cui si vive e che diventa il sito
dove compiere, con gli altri, con i rimasti, con chi torna, con chi arriva piccole utopie quotidiane di cambiamento. (Vito Teti, Il senso della restanza, 2017 https://www.treccani.it/magazine/atlante/cultura/Il_senso_della_restanza.html))
Questa riflessione innesca un dispositivo critico che mai come di questi tempi pare necessario. Oggi viviamo immersi in una dimensione in cui sempre più locale e globale si confondono.
La
mobilità umana è sempre più ampia e veloce. Il numero di persone
migranti nel mondo risulta in costante crescita negli ultimi
vent’anni, e ha raggiunto la
cifra
di oltre 281 milioni nel 2020, (erano 173 milioni nel 2000); la
percentuale di migranti internazionali ha
raggiunto il picco del
3,6 per cento della popolazione mondiale, dopo che tra il 1960 e il 1985 non avevano mai superato il 2,6 per cento (fonte CESPI - FOCUS Migrazioni internazionali, febbraio 2021).
In
base ai dati di UNHCR, a inizio del 2020 circa 79,5 milioni di
persone sono state costrette a lasciare le loro case a causa di
persecuzioni, conflitti e violazioni dei diritti umani. Secondo fonti governative, in Italia sono 899.000 le persone trasferite all’estero negli ultimi 10 anni. Di questi, 208.000 (23%) sono in possesso almeno della laurea.
Negli
ultimi 25 anni una persona su sette se n’è andata dai piccoli
paesi. Piemonte, Calabria, Sardegna e Campania sono le regioni in cui
centinaia di comuni rischiano di estinguersi per sempre.
Non
esistono più paesi di sola immigrazione e viceversa. I flussi sono
spesso bidirezionali, temporanei, intermittenti, reversibili,
occasionali. Se guardiamo l’Europa, la Germania è il primo paese
europeo per numero di emigranti; nel Regno Unito, per ogni due
persone che arrivano ce n’é una che parte; in Francia il numero di
uscite è quasi pari al numero di arrivi, in Spagna e in Italia le
partenze sono superiori agli ingressi. Insomma si può ormai parlare
di una “circolarità globale” (Stefano Allievi, Torneremo a percorrere le strade del mondo. Breve saggio sull’umanità in movimento, UTET, 2021).
Nel
mondo in cui tutto corre e si consuma in un baleno sembra tuttavia
favorita la circolazione delle cose a quella degli esseri umani, e
l’immigrazione
rappresenta uno fra i temi di maggior dibattito, in quanto il
discorso pubblico tende frequentemente a mettere in relazione
immigrazione, criminalità e sicurezza, segno che all’universalismo delle merci non corrisponde l'universalismo dei valori e dei diritti. Chi arriva o chi parte, oltre a doversi confrontare spesso con l’ostilità di chi si sente assediato
vive
un profondo e talvolta drammatico passaggio, che non è solo
territoriale e geografico, riflette la necessità di misurarsi con
quel senso di estraneità prodotto dal vivere a cavallo di mondi,
fra un passato quasi del tutto perduto e un presente mai pienamente
integrato: dimensione che esprime una condizione ormai molto comune
e che rappresenta la metafora del generale spaesamento che caratterizza tanta parte della modernità.
La
"migranza", nel suo senso più ampio, esprime la metafora
della condizione umana contemporanea: può
diventare
una sorta di "poetica
del transito e della transitorietà,
messa
in crisi dell'idea di appartenenza identitaria” (F.Sinopoli,
Ferrara 2003). Allo stesso modo la “restanza” ne può costituire
una specie di immagine specchio, attraverso la quale riguardare i
luoghi con rispetto, con un occhio attento e nuovo, riflettere in
modo critico i confini della mentalità comune e della stessa geografia umana e culturale.
“Etica
della restanza si misura con l'arrivo degli altri, con la messa in
custodia del proprio luogo di appartenenza, con la necessità di
avere riguardo, di avere una nuova attenzione, una particolare sensibilità, per i nostri luoghi”. (Vito Teti https://www.quodlibet.it/recensione/1194)
All’interno
di questa geografia in movimento dove “ci
troviamo inevitabilmente di fronte a storie mischiate, miscele
culturali, lingue composite e arti meticce che sono al centro anche
della nostra storia”
(Jain Chambers, Paesaggi
migratori,
2003) si assiste anche a una nuova dimensione delle relazioni e
dell'abitare, tra spaesamento e appaesamento, dimensione che emerge
con nitidezza oltre
che
dagli studi di scienze sociali, attraverso lo sguardo dell’arte e
della
letteratura, soprattutto nella cosiddetta letteratura della
migrazione, cioè quella ad opera di autori che l’esperienza
migratoria l’hanno vissuta in prima persona, adottando una lingua
letteraria diversa dalla propria madrelingua, o di riflesso (le seconde e terze generazioni).
Il
grande scrittore e poeta caraibico Eduard Glissant ribadisce come
“L’erranza
è un principio che vale in tutti i campi della vita, anche nella
scrittura. Ogni realtà è un arcipelago; vivere e scrivere significa errare da un’isola all’altra, ognuna delle quali diventa un po’ la nostra patria“ (conversazione con Claudio Magris, https://www.corriere.it/cultura/09_ottobre_01/magris-dialoghi-glissant_c3667c46-ae5c-11de-b62d-00144f02aabc.shtml)
Ogni
luogo
contiene
il mondo intero,
ci ricorda ancora Vito Teti, e in un mondo in cui tutto cambia
rapidamente “ciò
che resta è forse ciò che che parla ancora di umano”, a condizione che si sappia leggere il presente non con la nostalgia per un passato che non c’è più, ma con lo sguardo aperto a ciò che potrebbe essere.
Perché
“è
da un mondo
interiore decolonizzato,
dalla solitudine che non è isolamento, ma riflessione per
l’altro e con gli altri, che può nascere, anche e soprattutto in luoghi cosiddetti marginali, un nuovo senso del mondo.” (Sandro Abruzzese, “Avere un posto nel mondo”, in Aree interne, sperimentare per ri/abitare”, a cura di Nicola Flora e Francesca Iarruso, 2021).
Ne parleremo con: Vito teti - antropologo e scrittore, per anni professore ordinario di Antropologia Culturale presso l'Università della Calabria, Tahar Lamri - Scrittore Nader Gazvinizadeh - poeta e scrittore Sandro Abruzzese - insegnante e scrittore
Per
l’Associazione
Gariwo
(Gardens of the Righteous Worldwide): Pietro
Kuciukian (console
onorario d’Armenia, scrittore e co-fondatore di Gariwo) e
Annamaria Samuelli (filosofa, co-fondatrice di Gariwo e responsabile dei progetti didattici della Fondazione). Occhioaimedia - redazione di giovani che si occupano di monitorare e segnalare gli articoli etnicamente discriminanti Gruppi di lavoro di studenti e insegnanti delle scuole superiori di Ferrara che hanno realizzato ricerche e laboratori sul territorio.
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Per informazioni:
• E-mail: info.vocidalsilenzio@tiscali.it
con il contributo di
con il partrocinio di
Ufficio Scolastico Regionale |
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con il contributo di
IT “V.Bachelet”
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