Si possono scegliere vari modi per parlare della
propria esperienza migratoria; lo si può fare ripercorrendo la
storia della propria famiglia o ricordando le tappe di un viaggio, attraverso
la descrizione sofferta dell'incontro-scontro con il diverso o abbandonandosi
al confronto tra un'infanzia serena ormai lontana nel tempo e nello spazio
ed il presente di un'età adulta spesso caratterizzata dalla solitudine
e da un senso di non appartenenza.
Mihai Mircea Butcovan, nel suo libro “Allunaggio di un immigrato
innamorato”, lo fa attraverso il racconto di una storia d'amore,
inevitabilmente giunta al termine, che vede protagonisti un giovane immigrato
romeno ed una bellissima militante leghista. Il testo è un diario
che, non solo ripercorre i vari momenti che hanno caratterizzato il rapporto
dei due amanti, dal romantico incontro in un bar poco poetico alle incomprensioni
nate non unicamente per alterità linguistica, ma che diventa la
testimonianza del percorso personale di un giovane uomo alle prese con
il paese nel quale ha scelto di vivere e di essere libero. La storia d'amore
diventa, quindi, il pretesto per parlare di Consolati affollati o di un
“genuino” razzismo padano, ma anche di quei delicati equilibri
che si innescano quando si parla di emozioni e sentimenti.Argometi questi
che l'autore tratta con un'ironia pungente e mai banale lasciando in bocca
al lettore l'amaro sapore della più disarmante verità: “L'amore
è come una partita a poker. La posta in gioco è molto alta,
ma qui l'unica paura è quella di perdere l'avversario. Ma la maggior
parte delle persone è perseverante nell'errore...se quest'ultimo
ha prodotto orgasmo.” (pag.50).
Ad arricchire l'impianto lessicale e linguistico del testo contribuiscono,
inoltre, i numerosi giochi di parole ai quali l'autore ricorre dimostrando
un'eccellente padronanza della lingua italiana e dando un'acuta chiave
di lettura della società nella quale viviamo. Scherza, ad esempio,
con il significato della parola “Consolato”, seconda casa
di chi si ritrova a vivere in terra straniera, e dell'aggettivo “consolato”
riferendosi alla vicenda del povero Giuan che, proprio in terra straniera,
ha trovato la “bella fanciulla romena, l' unica al mondo ad averlo
compreso ed amato” (pag.73), così come scherza con il lettore
celando e svelando nello stesso tempo la propria provenienza in un “ignaro-me-nottambulo”
che, sin dalla prima pagina, ci svela il registro narrativo con il quale
ci misureremo. Ed ecco che il monologo assume le caratteristiche stralunate
di un “Moonologo” per evocare il nome del bar nel quale tutto
ha avuto inizio ed un nuovo giornale, l'“Osservatore Romeno”,
diventa lo sguardo attento e disincantato di chi crede che si possano
modificare le proprie opinioni solo osservando più in profondità
ed aprendo, così, un dialogo con il diverso che sempre più
spesso ci assomiglia.
La narrazione mescola parti descrittive, riferite sia ad un passato recente
sia ad un passato più remoto che parla di una vita precedente in
un luogo diverso dall'Italia, con parti più evocative in cui lo
scrittore non si limita a ricostruire immagini, ma ricorre a sensazioni
ed emozioni provate in momenti specifici della propria vita. Ma Butcovan
va oltre, inventando ed utilizzando un linguaggio che ha davvero del poetico,
proprio per l'attenzione e la raffinatezza nella scelta dei vocaboli.
Il lettore si troverà, così, di fronte ad una tecnica narrativa
diversa da quella del romanzo che lo spingerà a porsi continuamente
su livelli differenti “inciampando” in un ritmo non costante,
ma molto intrigante. La declamazione della donna amata è una trasposizione
in chiave moderna di un componimento trecentesco in cui la figura angelica
della donna veniva e viene celebrata e declamata per le sue virtù
dal poeta innamorato: “Caracameriera, che cosa o chi mi ha detto
che esisti, che ci sei, bella e dolce, respiri la vita e sorridi ai clienti,
ascolti e comprendi.” (pag.45).
La scelta di alcune parti auliche che, citando i più nobili sentimenti,
sembrano trascendere il tempo e lo spazio sono seguite dalla descrizione
di situazioni molto reali e quotidiane che conferiscono al testo un ritmo
nuovo e sempre differente mettendo alla prova il lettore che non riuscirà
più a “rilassarsi” nell'intuizione di aver compreso
su che basi viene condotta la narrazione, ma dovrà adeguarsi ai
continui mutamenti di registro: “Sento deserto la luce addietro...E
al posto dei ricordi, un' ombra sui Navigli ieri sera...Convinta che non
tornerò, ti volti dall'altra parte e un piacevole bacio consideri
incubo. Io vado a fare l'esame di matematica.
Il mio amore per te? Un angolo al centro.” (pag.49).
Rendendo omaggio alla complicata bellezza ed alla ricca varietà
lessicale della lingua italiana, l'autore descrive uno spaccato di vita
reale con il quale ognuno di noi è chiamato a confrontarsi quotidianamente;
storie di amici che si incontrano per parlare di donne e di politica,
storie di innamoramenti e dell'incontro con la diversità, storie
della difficile ricerca di un lavoro e della consapevolezza di essere
parte di una trasformazione sociale che rappresenta una vera e propria
ventata d'aria fresca per un “vecchio stivale” malandato.
E quando vivere in un paese in cui esistono “Grandi Famiglie Padane”
che fanno distinzioni “da Roma in giù” diventa davvero
difficile, ci si può sempre rivolgere alla Luna che, evocata nel
nome di un insignificante bar di periferia, sussurra sogni, porta amore
e ricopre l'esistenza umana di un sottile velo poetico.
Recensione già comparsa su www.letterranza.org
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