La narrativa italiana scritta da stranieri*
di Davide Bregola

Meticcio narrativo 

Vero è che una somma di indizi non vale come prova, ma quanto meno alimenta il sospetto che rende necessario un supplemento di indagine.
Si sta radicando una nuova coscienza nell’ambito narrativo del nostro paese, le tracce si trovano in quotidiani, libri che parlano di narrativa dell’immigrazione, riviste di scrittura, bimestrali o periodici, siti internet. Vediamo di cosa si tratta.
Esistono scrittori la cui lingua principale è diversa dalla italiana, eppure, per svariati motivi, decidono di comunicare, scrivendo, con la lingua di Dante. Ecco i nomi: Ron Kubati, Younis Tawfik, Smari Abdel Malek, Muin Madih Masri, Jadelin M. Gangbo, Christiana de Caldas Brito, Mbacke Gadji, Julio Cesar Monteiro, Mohamed Ghonim, Emmanuel Tano Zagbla, Alvaro Santo, Mohsen Melliti.
Tutti gli autori appena nominati hanno scritto uno o più libri senza un coautore, provengono dalle più svariate parti del mondo, hanno scelto la lingua italiana per farsi capire e comunicare.
La letteratura che producono non è letteratura marginale, narrativa etnica, esotica o chissà cos’altro. Questa è letteratura tout court, perché innova il dire e la rappresentazione di mondi possibili. C’è molta consapevolezza di scrittura in tutti gli scrittori immigrati. Il più delle volte sono intellettuali motivati, animatori culturali di riviste, associazioni culturali, convegni e seminari. Non si cada nell’errore di scambiare i loro libri per “strategie letterarie di sopravvivenza”, come ha scritto la studiosa Nadia Valgimigli sulla rivista Africa e Mediterraneo (n.1/1997). Tutti i libri di questi autori sono testimonianze letterarie di una palingenesi del linguaggio e delle tecniche narrative di una lingua viva: l’italiano .
Nel novembre del ’99 sul Corriere della sera, in occasione dell’uscita dei libri La straniera ed. Bompiani di Younis Tawfik e Nel sole d’inverno ed. Portofranco di Muin Madih Masri, la giornalista Cinzia Fiori chiedeva: “Ma attraverso quali processi può cambiare la lingua letteraria di un paese? Egi Volterrani, traduttore di Ben Jelloun, porta l’esempio della Francia. «Lì – dice – l’influenza degli immigrati è stata molto evidente. Su Nedjma, pubblicato nel 1956 dal drammaturgo arabo Kateb Yacine, sono state scritte decine di tesi di laurea. E’ un romanzo che vive di scrittura, Yacine usa il francese con un fervore tale da rendere efficacemente atmosfere quasi intraducibili. Per ottenere questo risultato, non esita a cambiare la struttura della frase: non mette sempre il soggetto, non usa le dipendenti e, anche quando sceglie una sintassi tradizionale, lo fa in modo inaudito. Grazie ad autori come lui la letteratura francese ha perso aulicità. Poi altri fenomeni sono venuti, penso alla torrenzialità equatoriale di Sony Labou Tansi, ottenuta con l’utilizzo di centinaia di termini anziché accontentarsi di uno. Ma potrei portare altri esempi, per dire come l’attenzione posta dagli autori francofoni agli etimi delle parole, abbia segnato la narrativa francese».
Per tornare in Italia, dove il caso della letteratura scritta da stranieri non è paragonabile al fenomeno di scrittori anglofoni o francofoni, l’americanista Marisa Bulgheroni puntualizza: «La lingua prescelta tende ad essere modificata secondo due linee. La prima è una trasformazione profonda, ottenuta tramite invenzioni idiomatiche partite dalla lingua d’origine. La seconda è una trasformazione nascosta, che non altera formalmente la lingua acquisita, ma con qualcosa di simile a una pronuncia mentale la piega all’espressione di rituali e comportamenti che le sono estranei. C’è però una differenza fra le letterature anglofone o francofone, nate dal desiderio di dar voce a un passato soffocato, e il mutamento spinto dalla necessità vitale di comunicare in un paese nuovo, con una nuova lingua. In questo senso, quanto si annuncia in Italia è simile a ciò che è avvenuto negli Usa. Lì ogni etnia ha riformato l’inglese partendo dal proprio patrimonio, arrivando a creare delle vere e proprie letterature, poi entrate nella storia letteraria americana».
Nel caso dell’Italia conclude: “Penso che passeremo per una fase di espressività, con modi di dire, come quelli in siciliano di Camilleri, che pur forzando la convenzione, non riescono a diventare neologismi. Soltanto se l’immigrazione continuerà, l’italiano orale dei vari gruppi etnici giungerà ad arricchire d’invenzioni la nostra letteratura, com’è successo in America”.
Oltre agli scrittori nominati poco fa ce ne sono altri che non arrivano dai cosiddetti “Mondi sud” ma che provengono e si sono formati in altri Paesi per poi approdare in Italia e scrivere con una lingua diversa dalla originaria. Questi scrittori sono: Helga Schneider, Giorgio Pressburger, Jarmila Ockayovà, Alice Oxman, Helena Janeczek. Sono polacchi, come nel caso della Schneider e della Janeczek, ungheresi di Budapest come Pressburger. Jarmila Ockayova è Ceca e Alice Oxman degli Stati Uniti. Un bel giro del mondo!

Storia alternativa

Sulla rivista Afriche e Orienti dell’autunno-inverno 2000, Nadia Valgimigli nel suo saggio Nel ventre della balena sancisce la nascita di questa letteratura “emergente”, come la chiama lei, con l’avvenimento dell’assassinio di Jerry Essan Masslo avvenuto il 24 agosto 1989 a Villa Literno. Razzismo e intolleranza, nei fatti di cronaca, entrano nella letteratura di alcuni migrant writers e, come nel caso di Essan Masslo, vengono cristallizzati come «evento-limite», dice la studiosa. L’evento è preso come convenzione, con tutti i pregi e i limiti del caso.
Naturalmente prima di quella data scrittori stranieri avevano già scritto e pubblicato in Italiano. Primo tra tutti l’indimenticabile J.Rodolfo Wilcock. Approdato in Italia da Buenos Aires, già alla fine degli anni ’50 dello scorso secolo ha iniziato a pubblicare scrivendo direttamente in Italiano trasfondendosi con un’operazione che solo a pochissimi, come Conrad e Nabokov per l’inglese è riuscita.
Nel processo di sviluppo della letteratura di immigrazione, possiamo distinguere tre momenti sfumati tra di loro. Il primo è costituito dalla cosiddetta letteratura di testimonianza, nata dal bisogno di comunicare, attraverso la scrittura, direttamente con il pubblico italiano. Di questo filone sono espressione i romanzi, scritti tutti a quattro mani con autori o giornalisti italiani, di Salah Methnani che scrisse Immigrato ed. Teoria nel ‘90, Nassera Chohra con Volevo diventare bianca ed. E/O del 1993, Saidou Moussa Ba con La promessa di Hamadi ed. De Agostani 1991, Pap Khouma con Io venditore di elefanti ed. Garzanti del 1990. Testimonianze che vogliono rappresentare violenza e razzismo, solitudine e nostalgia (la gurba) sempre sottesa dalla voglia di integrazione con la società "ospitante". In tempi più recenti, una seconda ondata di scrittori dell'immigrazione ha incominciato ad emanciparsi dalla scrittura in collaborazione con autori o giornalisti italiani e sta mostrando di volersi costituire e presentare come scrittori dalla voluta dimensione letteraria. Diventano così testimoni e allo stesso tempo usano spaesamento e malinconia come carburante per scrivere e “ventriloquizzarsi”. Sono nati così testi letterari dai risultati alterni ma che cercano, nella poetica dell’autore, di narrare l’evoluzione di una vita da emigrato che cerca tematiche alternative alla tematica testimoniale. Un terzo momento della scrittura di immigrati la spiega bene lo scrittore Carmine Abate in una recente intervista al sito di Voci dal Silenzio (http://www.comune.fe.it/vocidalsilenzio) Ho seguito questa letteratura fin dalla nascita e devo dire che col tempo sto scoprendo degli autori che hanno davvero molto da dirci e lo dicono sempre meglio. Oggi è stata superata la fase che Armando Gnisci, appassionato esperto di questa letteratura, aveva definito efficacemente “carsica”, cioè “resa invisibile dall’industria culturale”. Autori come Yunis Tawfik, Muin Masri, Momhse Melliti, Christina de Caldas Brito, Jadelin Mabiala Gangbo, Ron Kubati, Gezim Hajdari, per citare qualche nome, o scrittori come Dante Liano, Jarmila Ockajovà, Alice Oxman, che scrivono in italiano, ma non (ancora) sui temi dell’immigrazione, hanno conquistato uno spazio importante nel panorama letterario italiano. A me sembra che anche in Italia cominci a prendere forma una letteratura che ha alla base il dialogo, affiorino i primi tentativi di incrocio e ibridazione di modelli letterari, di lingue, di storie, si creino i presupposti di quella che dovremmo cominciare  a chiamare letteratura multiculturale. Una letteratura fatta dallo sguardo plurimo e ibrido sul mondo, di cui è portatore chi parte e vive altrove”.
Tra qualche anno avremo anche in Italia casi editoriali come quelli di Salman Rushdie, Tahar Ben Jelloun, Hanif Kureishi. Si tratta solo di aspettare.

  * Articolo apparso sulla rivista FERNANDEL numero 30 (ottobre-dicembre 2001)


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