Vorrei
introdurre in questa sede alcune riflessioni sulla questione del
rapporto tra scritture letterarie e migrazione nella ricerca letteraria.
Esse riguardano la possibilità di individuare il percorso di due
forme di indagine critica che rendono visibile, interpretandolo,
il nodo che unisce due ambiti apparentemente così estranei tra loro
quali l'esperienza migratoria e la scrittura avente caratteri di
"letteratura". Tali forme di indagine hanno come oggetto
rispettivamente da un lato il tema letterario della "migrazione"
e dall'altro la poetica della "migranza".
Per fare ciò devo, però, prima esporre brevemente le ragioni della
mia scelta di parlare di "migrazione", e non di immigrazione
o emigrazione, e di "scritture letterarie" anziché più
semplicemente (ma quanto "semplicemente?) di "letteratura".
Con "migrazione" faccio riferimento già ad un secondo
livello rispetto a quello primario dell'esperienza effettiva, storica,
del viaggio migratorio e del successivo accasamento altrove o del
ritorno alla terra di origine, tappe principali e le più evidenti
di un vissuto che chiamiamo "emigrazione" e "immigrazione".
Proprio perché sono due facce dello stesso vissuto, quella emigratoria
che fa riferimento al distacco doloroso (per quanto speranzoso)
del soggetto emigrante e quella immigratoria che allude invece al
sistema complesso di avvicinamento/accasamento/assimilazione nel
territorio di destinazione, esse sono ricomprensibili - ad un livello
non descrittivo ma critico ed interpretativo - sotto il tema della
"migrazione". Sia esso un tema letterario, ma anche storico,
sociologico, filosofico, antropologico che dir si voglia, caratterizzante
cioè un complesso interdisciplinare che va ormai sotto il nome di
"migrant studies".
Con "scritture letterarie" intendo porre il problema dello
statuto di questi testi che noi tutti, chiamati qui a confrontarci,
leggiamo (come lettori) o scriviamo (se siamo scrittori) o di cui
facciamo ricerca e/o "traduciamo" nella pratica didattica
(come studiosi e docenti). Optare per le "scritture letterarie"
anziché per la "letteratura" sic et simpliciter
(ma quanto simpliciter? Continuo a chiedermi) non vuol
dire togliere sin da subito "valore" ai testi che affrontano
il nodo letteratura-migrazione, o che derivano i loro temi da quel
nodo determinante, o esentarli, per converso dalla domanda sull'appartenenza
o meno di alcuni di loro al canone a cui inevitabilmente ci riferiamo
ogni volta che pronunciamo il termine "letteratura". Scegliere
"scritture letterarie" come campo di azione e di interlocuzione
del mio discorso significa per me provare a sfuggire la trappola
del canone/letteratura, la sua divisa normativa e censoria, per
volgermi ad una rete di scritture di diverso genere e rispondenti
a diverse intenzioni, progetti, desideri, di cui il termine "letteratura",
per come ancora lo intendiamo noi italiani, non riesce a dar conto,
incatenandoli al vecchio sfortunato dilemma di "cos'è la letteratura
e di cosa non lo è". Non sto qui velletariamente liquidando
il lungo percorso della critica letteraria, che ci ha consegnato
- rimettendoli continuamente in discussione - i termini entro i
quali definire la specificità della letteratura rispetto alle altre
forme di cultura umana. Vorrei solo porre l'accento sul fatto che
rispetto a quella che oggi chiamiamo "letteratura della migrazione"
qualsiasi atteggiamento "censorio" e discriminatorio tra
letteratura e non letteratura rischia di pregiudicare la comprensione
del fenomeno incasellandolo come accenno effimero di una qualche
probabile futura presenza di "migrant writers"
che scrivono in lingua italiana.
Dopo questa premessa, di cui spero si colgano tutte le buoni intenzioni
mirate ad un uso non ingenuo ma estremamente rispettoso dei termini
del discorso di cui noi tutti qui a diverso titolo partecipiamo,
vorrei passare ora alla presentazione di quelle che mi sembrano
possano essere praticate come due forme di indagine critica del
nesso letteratura/migrazione, evitando il falso problema, a mio
modo di vedere, di quale delle due possa guadagnarsi il primato.
Vorrei, infatti, che fosse chiaro sin da subito l'orientamento metodologico
di questo mio intervento, che parte da e vorrebbe ispirarsi e dedicarsi
a una complessità di approcci critici e di ipotesi di lavoro, piuttosto
che "accasarsi" a sua volta nell'alveo confortante di
una scienza letteraria ben determinata. Il discorso che ho accennato
riguardo la letteratura dovrebbe essere un indizio sufficiente di
questa mia "poetica inquirente".
La prima forma di indagine del nesso letteratura/migrazione è, come
dicevo, di tipo tematico, o meglio "storico tematico".
Essa intende tenere conto della attuale letteratura della migrazione
alla luce della storia del nesso tra letteratura e migrazione. Forse
questo tipo di indagine è la più comprensibile in questa sede, ospitando
essa insegnanti e studenti della scuola superiore avvezzi ormai
da anni allo studio della letteratura in chiave tematica, in questo
caso parliamo quindi della migrazione come tema nella letteratura
(nazionale o europea o mondiale, a seconda della focalizzazione
che decidiamo di adottare).
La seconda forma di indagine, invece, pur tenendo conto degli apporti
conoscitivi della prima, osserva la migrazione o migranza (per indicare
un permanere nel transito e una tematizzazione semmai del "confine")
come poetica della traduzione interculturale, oltre che interlinguistica,
veicolo - a sua volta - di temi diversi ma che possiamo semplificare
e allo stesso tempo generalizzare nel tema dell'identità o decostruzione
dell'identità (identità di genere, di colore, nazionale, sociale,
generazionale, linguistica eccetera). In questo caso, l'emigrazione/immigrazione
come tema portante dei testi ne è solo apparentemente l'argomento
centrale, o viene lasciato sullo sfondo.
La forma d'indagine tematica ha una tradizione
ormai centenaria [1], anche se dalla fine dell'800
ad oggi essa ha modificato i suoi presupposti e le sue finalità,
ridefinendo in termini del tutto nuovi il rapporto tra testo/testi
e tema letterario. La migrazione come tema letterario presenta innanzitutto
dei riferimenti di ordine extra-testuale: esso non può infatti essere
svincolato dalla rappresentazione di una situazione oggettiva, originata
dal viaggio migratorio, ed è per questo che i testi in questione,
anche i più antichi, sono leggibili anche come testimonianza delle
diverse emigrazioni avvenute in area mediterranea, europea e poi
anche transoceanica. Trascurerò qui di menzionare le fonti "mitiche"
del tema, basti pensare all'Esodo nelle Bibbia (2,22), all'Iliade,
ai lirici greci, a Virgilio a Petronio o a Marziale. Mosé, Enea,
Andromaca, ad esempio, sono figure mitiche di emigranti presenti
nelle fonti letterarie della cultura occidentale.
Nell'epoca delle grandi emigrazioni europee verso le Americhe, in
particolare, e cioè i decenni compresi tra la seconda metà dell'Ottocento
e la prima metà del Novecento, il tema dell'emigrazione presenta
una corrispondenza quasi perfetta con quello del viaggio nelle sue
fasi della partenza, del viaggio vero e proprio e del ritorno. E'
possibile tradurre queste tappe attraverso i punti di vista che
specificano il trattamento letterario del tema: l'emigrante che
parte, l'emigrante che narra il proprio viaggio, l'emigrante di
ritorno, l'emigrante assente (raccontato da chi resta), l'emigrante
che diventa immigrato e quindi racconta la sua nuova vita altrove.
Ecco solo alcuni esempi. In piena epoca migratoria, il tema è oggetto
di interesse rispettivamente di Stevenson ed De Amicis. Nei due
racconti lunghi Emigrante per diletto e Attraverso
le pianure, frutto del viaggio compiuto da Stevenson su una
nave di emigranti nel 1878, da Glasgow a New York e da qui, in treno,
a San Francisco, l'emigrazione è finalmente focalizzata come epopea
della sopravvivenza rispetto all'epopea dell'avventura. Incline
al bozzettismo è invece Sull'Oceano di De Amicis, anch'egli
"scrittore emigrante" nel 1884 in occasione del suo viaggio
da Genova a Montevideo. Il romanzo si intitolava I nostri contadini
in America, il cui tema è un pretesto utile a dare in pasto
al lettore una serie di singoli "documenti umani" della
"miseria italiana" dal punto di vista del "curioso"
. Sull'Oceano viene ritenuto comunque, nonostante alcuni
interessanti tentativi di rilettura nel quadro della letteratura
postrisorgimentale[2], il primo tentativo di
scrivere un romanzo italiano sull'emigrazione, che se non è certamente
un reportage è di fatto la rappresentazione letteraria
di un'idea socialista e populista della condizione umana; stessa
cosa dicasi per Dagli Appennini alle Ande, in Cuore
(1886). Ma continuiamo con qualche altro esempio per poi spingerci
fino ai nostri giorni. Frutto di un'ideologia rurale, conservatrice,
sono invece I Malavoglia (1881) di Verga, dove 'Ntoni emigrante
viene rappresentato in un'ottica negativa, così come la serie di
poesie di G. Pascoli sul grande esodo migratorio italiano (1880-1914),
tra cui le ben note Italy e Pietole. Tra le prose
del Pascoli, il discorso La grande proletaria si è mossa
(Barga, 26.11.1911) codifica il topos dell'emigrazione
italiana come umiliazione e vergogna nazionale, da sanare (e da
rimuovere) attraverso lo spirito coloniale. La sospensione del tempo
per chi parte e per chi resta e l'alienazione patetica dell'emigrante
dimentico di sé e di chi resta sono al centro di due novelle di
Pirandello, Nell'albergo è morto un tale e soprattutto
L'altro figlio (Novelle per un anno, 1922). La
chiave di lettura del 'documento' si ritrova, come è noto, nei Taccuini
(1899-1900) di Pascarella, sugli italiani in Argentina. Dopo la
Prima Guerra mondiale si delinea la rimozione dell'emigrante, a
favore di una ideologia che punta tutto sulla realizzazione del
Risorgimento attraverso il completamento dell'unificazione nazionale.
L'emigrazione considerata in una prospettiva positiva, piuttosto
rara nella letteratura italiana, è invece in Con me e con gli
alpini (1919) di Jahier, il quale ritrae un contadino veneto
emigrato temporaneo in America e richiamato in guerra, o molto più
tardi in Sgorlon, con La conchiglia di Anataj (1983), che
è una storia di emigrati friulani che lavorano alla costruzione
della Transiberiana. Autobiografia e letteratura si confondono anche
in Girovago (1918), In memoria (1916) e L'Affricano
a Parigi (1919) di Ungaretti. Emigrante di ritorno è invece
Anguilla, protagonista di La luna e i falò (1950), contadino
emigrato dal Monferrato, e il cugino de I mari del Sud
(1936) di Pavese. Non mancano alcuni accenni di interesse per la
vita degli emigrati italiani all'estero, come ne I trapiantati
(1963) di Prezzolini. Il volume di Prezzolini è un esempio
di autorappresentazione degli Italo-americani nel quadro dell'emigrazione
come grande tragedia nazionale, mentre di tono opposto è invece
lo straordinario romanzo autobiografico Son of Italy (1924),
recentemente riscoperto e tradotto dall'inglese in italiano, di
Pascal D'Angelo, leggibile come una vera e propria epopea di un
contadino abruzzese che da spaccapietre diventa addirittura uno
scrittore nella lingua della nuova patria. Il tema dell'emigrazione/immigrazione
in Canada e negli USA ha trovato ulteriori sviluppi, tra i quali
alcuni molto famosi. Per la narrativa italo-americana si pensi a
Dago Red (1940) di Fante e a The Fortunate Pilgrim
(1964) o a The Godfather (1969) di M. Puzo. All'emigrazione
italiana in Europa, ad esempio a quella in Belgio, Svizzera e Germania,
sono dedicati Le parrocchie di Regalpetra (1956) di Sciascia,
Terra di emigranti (1956), Noi Lazzaroni (1978)
e Gente in viaggio (1980) di Strati, la raccolta di racconti
Il muro dei muri (1993) di Carmine Abate.
La letteratura sulla emigrazione e quella sulla immigrazione sembrano
oggi essere trascese in un terzo 'genere', quello dei così detti
'scrittori migranti' (migrant writers), cioè, scrittori
esuli, espatriati o emigrati, comunque sradicati, che ci parlano
della dislocazione verso l'Europa di genti provenienti dai paesi
colonizzati dagli europei negli ultimi Cinquecento anni. Si possono
citare, tra i tanti: La vergogna (1983) di Rushdie,
Il Budda delle periferie (1990) di Kureishi, Le pareti
della solitudine (1976) di T.B. Jelloun o tra la giovane letteratura
della migrazione in lingua italiana [3], Immigrato
(1990) del tunisino Salah Methnani e Va e non torna (2000)
dell'albanese Ron Kubati. Quello che li accomuna, nel trattare il
tema dell'emigrazione, è la focalizzazione sul proprio passato:
rivissuto in chiave fantastica, come fa Rushdie, nella nostalgia
del sogno per Jelloun e Methnani o attraverso un ripensamento lucido
e problematico come in Kureishi e Kubati.
Come risulta evidente da questa breve carrellata di esempi, la ricerca
tematologica si muove in senso diacronico e comparativo, ma è accompagnabile
da un approfondimento tematico, che può indugiare invece sullo studio
del tema all'interno delle diverse opere di uno stesso autore, qualora
ovviamente costui o costei lo abbiano estesamente elaborato
[*].
La seconda forma di indagine che non fa ricerca
sullo sviluppo storico del tema letterario, ma che studia la migrazione
come poetica del transito e della transitorietà, è invece indirizzata
ad individuare la messa in crisi dell'idea di appartenenza intesa
come far parte di un luogo identitario fortificato e ben delimitato.
Questa messa in crisi è presupposto della realizzazione del testo,
ma è anche considerabile come il suo prodotto, qualora proviamo
a leggere il testo come un laboratorio di trasformazione dell'identità
monoculturale. Se da più parti è stata sollevata l'urgenza di sviluppare
una riflessione in grado di porre il migrante al centro e non ai
margini dei processi storici, con tutto ciò che ne consegue in termini
di rifiuto della retorica della frontiera e dell'appartenenza genealogica,
possiamo allora cominciare ad individuare i caratteri di questa
seconda forma di indagine, che trova i suoi riferimenti nei lavori
di alcuni critici e scrittori contemporanei (da E. Glissant e S.
Rushdie, a E. Said, A. Appadurai, A. Gnisci, I. Chambers, bell hooks,
ed altri). Essa riguarda, come ho detto, non un "tema",
ma una "poetica", un progetto cioè di vita e di letteratura
molto più elaborato, che va articolato attraverso l'analisi dei
testi che si presentano come un laboratorio di trasformazione dell'identità
monoculturale in una identità interculturale, la quale traduce e
mette in gioco due o più culture diverse tra loro.
Farò due brevi esempi tratti da due scritture letterarie completamente
diverse, l'una romanzesca, l'altra saggistico-autobiografica. Il
primo esempio è tratto dal recente romanzo dell'italo-togolese Kossi
Komla Ebri, Neyla, un incontro, due mondi (2002), lì dove
il protagonista parla del suo viaggio di ritorno in Africa dall'Europa.
Si tratta dunque di una fase "riflessiva" in cui l'emigrato
ormai si sente anche europeo, ma proprio per questo si trova in
difficoltà de deve spiegare ai parenti africani rimasti in patria
cos'è l'Europa:
Quando mi chiesero dell'Europa e cercai di parlare dei sobborghi
di Parigi e dei quartieri di Napoli, molti rimasero scettici ed
increduli. Sembrava quasi che avendo scovato la gallina dalle uova
d'oro, cercassi di scoraggiarli per tenere il bottino solo per me.
L'Europa è abituata a mostrare ai suo figli le immagini negative
degli altri e a farsi bella invece nei riguardi dei poveri. Per
molti bambini, l'immagine dell'Africa non va oltre il mondo fantastico
di Tarzan [
] Per altri, la conoscenza dell'Africa, si limita
a quella dei bambini con la pancia gonfia di fame [
] Per i
più grandi, l'Africa è quel continente che fa notizia con i suoi
dittatori cannibali, le sue selvagge e sanguinose guerre "tribali"
[
] L'Africa del virus Ebola e dell'Aids, l'Africa del "Restore
Hope"
Invece ai nostri giovani fanno vedere Dallas, Dinasty
e tanti sogni impossibili
Chi mai se l'aspettava, arrivando
in Europa, di scoprire oltre ai grattacieli e la neve, i barboni
e i quartieri popolari? [
] Mi sentii grottesco e strano nel
raccontare di quelli che, finite le ferie a casa, se ne tornano
ai semafori, al lungomare, alle piazze [
] A che pro ammonirli
dei tormenti con la polizia, la questura, dei permessi di soggiorno,
della trappola della droga, della prostituzione? L'attrazione dell'Europa
è così "fatale", così forte, come forte è la convinzione
che se tanti ce l'hanno fatta, possono farcela anche loro. [
]
l'Attrazione per l'Europa è così "mortale" per l'Africa
che la dissangua, togliendole le forze vive e i cervelli del continente,
perché partono quelli più intraprendenti, fuggendo la fame e la
miseria, per legarsi di propria scelta a quella nuova catena della
schiavitù dei tempi moderni. ( pp.66-67).
L'intero brano, come del resto anche il romanzo, è incapsulato dentro
un dialogo che il protagonista conduce nella memoria parlando alla
sua donna morta, Neyla, in cui è metaforizzata la stessa Africa.
Dunque si tratta di un racconto alla stessa Africa. Questa soluzione
narrativa consente che tutto il racconto del viaggio in Africa acquisti
il tono e il senso di una riflessione: il soggetto che parla non
è più Africa, non è solo Africa, si è alterato nell'essere europeo,
e da questa condizione di "simbiosi" ancora immatura individua
il gioco delle immagini identitarie che Europa ed Africa si scambiano,
ingannandosi a vicenda.
Solo un soggetto trasformato, non più monoculturale ma incamminato
verso una definitiva interculturalità, può individuare questo discorso
imagologico che vediamo infatti all'opera nel secondo esempio, tratto
dal diario-racconto antropologico della italo-camerunense Geneviève
Makaping Traiettorie di sguardi. E se gli altri foste voi?
(2001). Questa volta, attraverso la forma pseudo-diaristica, poiché
di contenuto non intimo - come ci avverte la stessa autrice - bensì
sufficientemente "straniato", e nella osservazione antropologica
così detta "partecipante", si coglie la costruzione dell'identità
proprio come implicazione tra il sé e l'altro, e tra gli altri che
formano il sé. Il brano è tratto dal capitolo 5 intitolato "Chiamatemi
negra":
Osservare significa guardare, vedere, scrutare e cercare di capire.
Sforzarsi di guardare è molto faticoso, significa "essere implicata"
[
] Quando non si ha il "potere" [
] perché
non si appartiene all'élite che "nomina" e tramanda i
preconcetti e i pregiudizi, l'esercizio diventa ancora più difficile.
Come faccio ad avere la certezza che il mio sguardo sia nel giusto?
Certamente i miei ex colonizzatori e quelli nuovi non si sono posti
questa domanda, o, comunque, lo hanno fatto in modo da non crucciarsene.
Come faccio a sapere che il mio sia un guardare corretto, senza
speculazioni di sorta, solo perché sono una minoranza? [
]
Penso e sto zitta, convinta che un giorno prenderò la parola. Dove?
Ora, qui e adesso. La parola prima a me stessa: adesso parlo io.
[
] Il mio sguardo si sposta da un luogo all'altro e devo ricordarmi
che ci sono anch'io su cui farlo scorrere e posare. Il privilegio
di questo tipo di atteggiamento può essere qualcosa di molto vicino
all'ubiquità. Essere al margine e al centro di volta in volta. Essere
il margine e il centro quasi contemporaneamente. [
] Devo ancora
fare uno sforzo, quando parlo degli altri da me (gli occidentali),
per scindere il loro mondo in uomini da una parte, donne dall'altra,
ed io dall'altra ancora. E poi il noi: noi extracomunitari - noi
extracomunitari donne - noi africani - noi africani sub-sahariani
- noi negri - noi donne negre - noi camerunesi e noi camerunesi
donne, fino ad arrivare a noi Bamiléké - a noi donne Bamiléké ed
infine a me, donna bamiléké immigrata, che è tutte queste donne
insieme e che ha rinunciato alla cittadinanza di origine, per assumere
quella italiana. [
] Varie appartenenze e identità che sento
il bisogno di negoziare e aggiustare continuamente. Ma la stessa
elencazione, stavolta "ragionata", "mediata",
"non gerarchizzata", di queste appartenenze, presenta
un aspetto positivo: è la condizione di chi appartiene a varie culture,
che ha dunque memorie diverse, preziose per la costruzione di uno
"stato di multiculturalità", nel quale sentirsi parte
di un tutto, ma anche essere libera di posizionarsi in un luogo
ben preciso, non ambiguo. (pp. 36, 37; 49, 50)
In questo testo assistiamo ad una forzatura della monoculturalità,
ottenuta attraverso un estremo sforzo rappresentativo di autoconsapevolezza,
che restituisce all'altro europeo l'immagine mutata di segno dell'altro
africano. L'esercizio dell'osservazione, che si traduce in narrazione
del viaggio (reale e metaforico) verso la nuova identità, sfrutta
il sapere e il linguaggio occidentali dell'antropologia, anche se
se ne dichiara ai margini. Lo sfrutta per leggere l'identità a partire
dall'"importanza dell'autorità dell'esperienza" (l'autrice
sta citando esplicitamente bell hooks, Elogio del margine),
ma della "sua" esperienza in Europa di donna, africana,
negra, camerunese, bamiléké di cittadinanza italiana.
L'indagine tematica e quella incentrata sulla poetica possono evidenziare,
quindi, come si è cercato di mostrare, aspetti molto diversi della
questione che delimita il rapporto tra letteratura e migrazione.
Nel praticare l'una e/o l'altra via, il punto, credo, sia quello
di chiedersi cosa ci interessi conoscere e in quale piano di discorso,
se prevalentemente storico-letterario oppure se prevalentemente
critico-culturale, vogliamo giocare il nesso letteratura/migrazione.
Se decidiamo, come studiosi, docenti o ricercatori, di tenere presente
il quadro della ricerca tematica, e di praticare anche quello della
ricerca che opera sul margine e che ho provato a definire come "poetica
inquirente", ci troviamo molto probabilmente ad operare nel
dilemma così bene individuato da Edward Said, il quale parla di
"condizione metaforica" dell'intellettuale odierno: "Anche
se non si è immigrati o espatriati in senso proprio, è sempre possibile
pensare come se lo si fosse [
]" (p.74).
Note:
[1]
Per un profilo sintetico degli studi tematici vedi il capitolo 3
"Temi e miti letterari" di A.Trocchi, nel volume Letteratura
comparata, a cura di A.Gnisci, Milano, B.Mondadori, 2002.
[2]
Cfr. ad esempio C.Chiellino, Parole erranti. Emigrazione, letteratura
e interculturalità. Saggi 1995-2000, Cosmo Iannone Editore,
Isernia, 2001, pp.49-50
[3]
Rimando alla Banca Dati online BASILI sulle opere degli scrittori
immigrati in Italia che pubblicano in lingua italiana: www.disp.let.uniroma1.it/basili2001www.disp.let.uniroma1.it/basili2001
e alla rivista di letteratura e arti della migrazione KUMA, sempre
online: www.disp.let.uniroma1.it/kuma.htmwww.disp.let.uniroma1.it/kuma.html
[*]
Ho utilizzato, rielaborandoli, per questa parte del mio discorso
alcuni materiali della ricerca da me svolta per la stesura del lemma
"Migrazione" del Dizionario dei temi letterari,
a cura di R.Ceserani, M.Domenichelli e P.Fasano, in preparazione
per la casa editrice Utet.
Bibliografia
Bell Hooks, Elogio del margine, tr. it. Milano, Feltrinelli
1998
Chambers, I., Paesaggi migratori, tr. it., Roma, Meltemi
2003
Chiellino, G., Parole erranti. Emigrazione, letteratura e interculturalità.
Saggi 1995-2000, Isernia, Cosmo Iannone Editore 2001
Glissant, E., Poetica del diverso, Roma, Meltemi 1998
Diaspore europee & Lettere migranti, a cura di A. Gnisci
e N. Moll, Roma, Edizioni Interculturali 2002
Gnisci, A., Una storia diversa, Roma, Meltemi 2001
Gnisci, A., (a cura di), Letteratura comparata, B. Mondadori
2002
Gnisci, A., Creolizzare l'Europa. Letteratura e migrazione,
Roma, Meltemi 2003
King, R., Connell, J., White, P.(a cura di), Writing across
worlds, London, New York 1995
Komla-Ebri, K., Neyla, Milano, Edizioni dell'Arco 2002
Makaping, G., E se gli altri foste voi?, Soveria Mannelli, Rubettino
Editore 2001
Marchand, J.-J. (a cura di), La letteratura dell'emigrazione.
Gli scrittori di lingua italiana nel mondo, Torino 1991
Said, E., "Gli intellettuali in esilio: espatriati e marginali",
in Id., Dire la verità. Gli intellettuali e il potere,
Milano, Feltrinelli 1996, pp.59-74.
Sinopoli, F., "Migrazione", in Dizionario dei temi
letterari, a cura di R. Ceserani, M. Domenichelli e P. Fasano,
Torino, Utet (in preparazione).
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