Migrazione/ letteratura:
due proposte di indagine critica.

Di Franca Sinopoli

 

Vorrei introdurre in questa sede alcune riflessioni sulla questione del rapporto tra scritture letterarie e migrazione nella ricerca letteraria. Esse riguardano la possibilità di individuare il percorso di due forme di indagine critica che rendono visibile, interpretandolo, il nodo che unisce due ambiti apparentemente così estranei tra loro quali l'esperienza migratoria e la scrittura avente caratteri di "letteratura". Tali forme di indagine hanno come oggetto rispettivamente da un lato il tema letterario della "migrazione" e dall'altro la poetica della "migranza".
Per fare ciò devo, però, prima esporre brevemente le ragioni della mia scelta di parlare di "migrazione", e non di immigrazione o emigrazione, e di "scritture letterarie" anziché più semplicemente (ma quanto "semplicemente?) di "letteratura".
Con "migrazione" faccio riferimento già ad un secondo livello rispetto a quello primario dell'esperienza effettiva, storica, del viaggio migratorio e del successivo accasamento altrove o del ritorno alla terra di origine, tappe principali e le più evidenti di un vissuto che chiamiamo "emigrazione" e "immigrazione".
Proprio perché sono due facce dello stesso vissuto, quella emigratoria che fa riferimento al distacco doloroso (per quanto speranzoso) del soggetto emigrante e quella immigratoria che allude invece al sistema complesso di avvicinamento/accasamento/assimilazione nel territorio di destinazione, esse sono ricomprensibili - ad un livello non descrittivo ma critico ed interpretativo - sotto il tema della "migrazione". Sia esso un tema letterario, ma anche storico, sociologico, filosofico, antropologico che dir si voglia, caratterizzante cioè un complesso interdisciplinare che va ormai sotto il nome di "migrant studies".
Con "scritture letterarie" intendo porre il problema dello statuto di questi testi che noi tutti, chiamati qui a confrontarci, leggiamo (come lettori) o scriviamo (se siamo scrittori) o di cui facciamo ricerca e/o "traduciamo" nella pratica didattica (come studiosi e docenti). Optare per le "scritture letterarie" anziché per la "letteratura" sic et simpliciter (ma quanto simpliciter? Continuo a chiedermi) non vuol dire togliere sin da subito "valore" ai testi che affrontano il nodo letteratura-migrazione, o che derivano i loro temi da quel nodo determinante, o esentarli, per converso dalla domanda sull'appartenenza o meno di alcuni di loro al canone a cui inevitabilmente ci riferiamo ogni volta che pronunciamo il termine "letteratura". Scegliere "scritture letterarie" come campo di azione e di interlocuzione del mio discorso significa per me provare a sfuggire la trappola del canone/letteratura, la sua divisa normativa e censoria, per volgermi ad una rete di scritture di diverso genere e rispondenti a diverse intenzioni, progetti, desideri, di cui il termine "letteratura", per come ancora lo intendiamo noi italiani, non riesce a dar conto, incatenandoli al vecchio sfortunato dilemma di "cos'è la letteratura e di cosa non lo è". Non sto qui velletariamente liquidando il lungo percorso della critica letteraria, che ci ha consegnato - rimettendoli continuamente in discussione - i termini entro i quali definire la specificità della letteratura rispetto alle altre forme di cultura umana. Vorrei solo porre l'accento sul fatto che rispetto a quella che oggi chiamiamo "letteratura della migrazione" qualsiasi atteggiamento "censorio" e discriminatorio tra letteratura e non letteratura rischia di pregiudicare la comprensione del fenomeno incasellandolo come accenno effimero di una qualche probabile futura presenza di "migrant writers" che scrivono in lingua italiana.

Dopo questa premessa, di cui spero si colgano tutte le buoni intenzioni mirate ad un uso non ingenuo ma estremamente rispettoso dei termini del discorso di cui noi tutti qui a diverso titolo partecipiamo, vorrei passare ora alla presentazione di quelle che mi sembrano possano essere praticate come due forme di indagine critica del nesso letteratura/migrazione, evitando il falso problema, a mio modo di vedere, di quale delle due possa guadagnarsi il primato. Vorrei, infatti, che fosse chiaro sin da subito l'orientamento metodologico di questo mio intervento, che parte da e vorrebbe ispirarsi e dedicarsi a una complessità di approcci critici e di ipotesi di lavoro, piuttosto che "accasarsi" a sua volta nell'alveo confortante di una scienza letteraria ben determinata. Il discorso che ho accennato riguardo la letteratura dovrebbe essere un indizio sufficiente di questa mia "poetica inquirente".
La prima forma di indagine del nesso letteratura/migrazione è, come dicevo, di tipo tematico, o meglio "storico tematico". Essa intende tenere conto della attuale letteratura della migrazione alla luce della storia del nesso tra letteratura e migrazione. Forse questo tipo di indagine è la più comprensibile in questa sede, ospitando essa insegnanti e studenti della scuola superiore avvezzi ormai da anni allo studio della letteratura in chiave tematica, in questo caso parliamo quindi della migrazione come tema nella letteratura (nazionale o europea o mondiale, a seconda della focalizzazione che decidiamo di adottare).

La seconda forma di indagine, invece, pur tenendo conto degli apporti conoscitivi della prima, osserva la migrazione o migranza (per indicare un permanere nel transito e una tematizzazione semmai del "confine") come poetica della traduzione interculturale, oltre che interlinguistica, veicolo - a sua volta - di temi diversi ma che possiamo semplificare e allo stesso tempo generalizzare nel tema dell'identità o decostruzione dell'identità (identità di genere, di colore, nazionale, sociale, generazionale, linguistica eccetera). In questo caso, l'emigrazione/immigrazione come tema portante dei testi ne è solo apparentemente l'argomento centrale, o viene lasciato sullo sfondo.

La forma d'indagine tematica ha una tradizione ormai centenaria [1], anche se dalla fine dell'800 ad oggi essa ha modificato i suoi presupposti e le sue finalità, ridefinendo in termini del tutto nuovi il rapporto tra testo/testi e tema letterario. La migrazione come tema letterario presenta innanzitutto dei riferimenti di ordine extra-testuale: esso non può infatti essere svincolato dalla rappresentazione di una situazione oggettiva, originata dal viaggio migratorio, ed è per questo che i testi in questione, anche i più antichi, sono leggibili anche come testimonianza delle diverse emigrazioni avvenute in area mediterranea, europea e poi anche transoceanica. Trascurerò qui di menzionare le fonti "mitiche" del tema, basti pensare all'Esodo nelle Bibbia (2,22), all'Iliade, ai lirici greci, a Virgilio a Petronio o a Marziale. Mosé, Enea, Andromaca, ad esempio, sono figure mitiche di emigranti presenti nelle fonti letterarie della cultura occidentale.
Nell'epoca delle grandi emigrazioni europee verso le Americhe, in particolare, e cioè i decenni compresi tra la seconda metà dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, il tema dell'emigrazione presenta una corrispondenza quasi perfetta con quello del viaggio nelle sue fasi della partenza, del viaggio vero e proprio e del ritorno. E' possibile tradurre queste tappe attraverso i punti di vista che specificano il trattamento letterario del tema: l'emigrante che parte, l'emigrante che narra il proprio viaggio, l'emigrante di ritorno, l'emigrante assente (raccontato da chi resta), l'emigrante che diventa immigrato e quindi racconta la sua nuova vita altrove. Ecco solo alcuni esempi. In piena epoca migratoria, il tema è oggetto di interesse rispettivamente di Stevenson ed De Amicis. Nei due racconti lunghi Emigrante per diletto e Attraverso le pianure, frutto del viaggio compiuto da Stevenson su una nave di emigranti nel 1878, da Glasgow a New York e da qui, in treno, a San Francisco, l'emigrazione è finalmente focalizzata come epopea della sopravvivenza rispetto all'epopea dell'avventura. Incline al bozzettismo è invece Sull'Oceano di De Amicis, anch'egli "scrittore emigrante" nel 1884 in occasione del suo viaggio da Genova a Montevideo. Il romanzo si intitolava I nostri contadini in America, il cui tema è un pretesto utile a dare in pasto al lettore una serie di singoli "documenti umani" della "miseria italiana" dal punto di vista del "curioso" . Sull'Oceano viene ritenuto comunque, nonostante alcuni interessanti tentativi di rilettura nel quadro della letteratura postrisorgimentale[2], il primo tentativo di scrivere un romanzo italiano sull'emigrazione, che se non è certamente un reportage è di fatto la rappresentazione letteraria di un'idea socialista e populista della condizione umana; stessa cosa dicasi per Dagli Appennini alle Ande, in Cuore (1886). Ma continuiamo con qualche altro esempio per poi spingerci fino ai nostri giorni. Frutto di un'ideologia rurale, conservatrice, sono invece I Malavoglia (1881) di Verga, dove 'Ntoni emigrante viene rappresentato in un'ottica negativa, così come la serie di poesie di G. Pascoli sul grande esodo migratorio italiano (1880-1914), tra cui le ben note Italy e Pietole. Tra le prose del Pascoli, il discorso La grande proletaria si è mossa (Barga, 26.11.1911) codifica il topos dell'emigrazione italiana come umiliazione e vergogna nazionale, da sanare (e da rimuovere) attraverso lo spirito coloniale. La sospensione del tempo per chi parte e per chi resta e l'alienazione patetica dell'emigrante dimentico di sé e di chi resta sono al centro di due novelle di Pirandello, Nell'albergo è morto un tale e soprattutto L'altro figlio (Novelle per un anno, 1922). La chiave di lettura del 'documento' si ritrova, come è noto, nei Taccuini (1899-1900) di Pascarella, sugli italiani in Argentina. Dopo la Prima Guerra mondiale si delinea la rimozione dell'emigrante, a favore di una ideologia che punta tutto sulla realizzazione del Risorgimento attraverso il completamento dell'unificazione nazionale. L'emigrazione considerata in una prospettiva positiva, piuttosto rara nella letteratura italiana, è invece in Con me e con gli alpini (1919) di Jahier, il quale ritrae un contadino veneto emigrato temporaneo in America e richiamato in guerra, o molto più tardi in Sgorlon, con La conchiglia di Anataj (1983), che è una storia di emigrati friulani che lavorano alla costruzione della Transiberiana. Autobiografia e letteratura si confondono anche in Girovago (1918), In memoria (1916) e L'Affricano a Parigi (1919) di Ungaretti. Emigrante di ritorno è invece Anguilla, protagonista di La luna e i falò (1950), contadino emigrato dal Monferrato, e il cugino de I mari del Sud (1936) di Pavese. Non mancano alcuni accenni di interesse per la vita degli emigrati italiani all'estero, come ne I trapiantati (1963) di Prezzolini. Il volume di Prezzolini è un esempio di autorappresentazione degli Italo-americani nel quadro dell'emigrazione come grande tragedia nazionale, mentre di tono opposto è invece lo straordinario romanzo autobiografico Son of Italy (1924), recentemente riscoperto e tradotto dall'inglese in italiano, di Pascal D'Angelo, leggibile come una vera e propria epopea di un contadino abruzzese che da spaccapietre diventa addirittura uno scrittore nella lingua della nuova patria. Il tema dell'emigrazione/immigrazione in Canada e negli USA ha trovato ulteriori sviluppi, tra i quali alcuni molto famosi. Per la narrativa italo-americana si pensi a Dago Red (1940) di Fante e a The Fortunate Pilgrim (1964) o a The Godfather (1969) di M. Puzo. All'emigrazione italiana in Europa, ad esempio a quella in Belgio, Svizzera e Germania, sono dedicati Le parrocchie di Regalpetra (1956) di Sciascia, Terra di emigranti (1956), Noi Lazzaroni (1978) e Gente in viaggio (1980) di Strati, la raccolta di racconti Il muro dei muri (1993) di Carmine Abate.
La letteratura sulla emigrazione e quella sulla immigrazione sembrano oggi essere trascese in un terzo 'genere', quello dei così detti 'scrittori migranti' (migrant writers), cioè, scrittori esuli, espatriati o emigrati, comunque sradicati, che ci parlano della dislocazione verso l'Europa di genti provenienti dai paesi colonizzati dagli europei negli ultimi Cinquecento anni. Si possono citare, tra i tanti: La vergogna (1983) di Rushdie, Il Budda delle periferie (1990) di Kureishi, Le pareti della solitudine (1976) di T.B. Jelloun o tra la giovane letteratura della migrazione in lingua italiana [3], Immigrato (1990) del tunisino Salah Methnani e Va e non torna (2000) dell'albanese Ron Kubati. Quello che li accomuna, nel trattare il tema dell'emigrazione, è la focalizzazione sul proprio passato: rivissuto in chiave fantastica, come fa Rushdie, nella nostalgia del sogno per Jelloun e Methnani o attraverso un ripensamento lucido e problematico come in Kureishi e Kubati.
Come risulta evidente da questa breve carrellata di esempi, la ricerca tematologica si muove in senso diacronico e comparativo, ma è accompagnabile da un approfondimento tematico, che può indugiare invece sullo studio del tema all'interno delle diverse opere di uno stesso autore, qualora ovviamente costui o costei lo abbiano estesamente elaborato [*].

La seconda forma di indagine che non fa ricerca sullo sviluppo storico del tema letterario, ma che studia la migrazione come poetica del transito e della transitorietà, è invece indirizzata ad individuare la messa in crisi dell'idea di appartenenza intesa come far parte di un luogo identitario fortificato e ben delimitato. Questa messa in crisi è presupposto della realizzazione del testo, ma è anche considerabile come il suo prodotto, qualora proviamo a leggere il testo come un laboratorio di trasformazione dell'identità monoculturale. Se da più parti è stata sollevata l'urgenza di sviluppare una riflessione in grado di porre il migrante al centro e non ai margini dei processi storici, con tutto ciò che ne consegue in termini di rifiuto della retorica della frontiera e dell'appartenenza genealogica, possiamo allora cominciare ad individuare i caratteri di questa seconda forma di indagine, che trova i suoi riferimenti nei lavori di alcuni critici e scrittori contemporanei (da E. Glissant e S. Rushdie, a E. Said, A. Appadurai, A. Gnisci, I. Chambers, bell hooks, ed altri). Essa riguarda, come ho detto, non un "tema", ma una "poetica", un progetto cioè di vita e di letteratura molto più elaborato, che va articolato attraverso l'analisi dei testi che si presentano come un laboratorio di trasformazione dell'identità monoculturale in una identità interculturale, la quale traduce e mette in gioco due o più culture diverse tra loro.
Farò due brevi esempi tratti da due scritture letterarie completamente diverse, l'una romanzesca, l'altra saggistico-autobiografica. Il primo esempio è tratto dal recente romanzo dell'italo-togolese Kossi Komla Ebri, Neyla, un incontro, due mondi (2002), lì dove il protagonista parla del suo viaggio di ritorno in Africa dall'Europa. Si tratta dunque di una fase "riflessiva" in cui l'emigrato ormai si sente anche europeo, ma proprio per questo si trova in difficoltà de deve spiegare ai parenti africani rimasti in patria cos'è l'Europa:

Quando mi chiesero dell'Europa e cercai di parlare dei sobborghi di Parigi e dei quartieri di Napoli, molti rimasero scettici ed increduli. Sembrava quasi che avendo scovato la gallina dalle uova d'oro, cercassi di scoraggiarli per tenere il bottino solo per me. L'Europa è abituata a mostrare ai suo figli le immagini negative degli altri e a farsi bella invece nei riguardi dei poveri. Per molti bambini, l'immagine dell'Africa non va oltre il mondo fantastico di Tarzan […] Per altri, la conoscenza dell'Africa, si limita a quella dei bambini con la pancia gonfia di fame […] Per i più grandi, l'Africa è quel continente che fa notizia con i suoi dittatori cannibali, le sue selvagge e sanguinose guerre "tribali" […] L'Africa del virus Ebola e dell'Aids, l'Africa del "Restore Hope"… Invece ai nostri giovani fanno vedere Dallas, Dinasty e tanti sogni impossibili… Chi mai se l'aspettava, arrivando in Europa, di scoprire oltre ai grattacieli e la neve, i barboni e i quartieri popolari? […] Mi sentii grottesco e strano nel raccontare di quelli che, finite le ferie a casa, se ne tornano ai semafori, al lungomare, alle piazze […] A che pro ammonirli dei tormenti con la polizia, la questura, dei permessi di soggiorno, della trappola della droga, della prostituzione? L'attrazione dell'Europa è così "fatale", così forte, come forte è la convinzione che se tanti ce l'hanno fatta, possono farcela anche loro. […] l'Attrazione per l'Europa è così "mortale" per l'Africa che la dissangua, togliendole le forze vive e i cervelli del continente, perché partono quelli più intraprendenti, fuggendo la fame e la miseria, per legarsi di propria scelta a quella nuova catena della schiavitù dei tempi moderni. ( pp.66-67).

L'intero brano, come del resto anche il romanzo, è incapsulato dentro un dialogo che il protagonista conduce nella memoria parlando alla sua donna morta, Neyla, in cui è metaforizzata la stessa Africa. Dunque si tratta di un racconto alla stessa Africa. Questa soluzione narrativa consente che tutto il racconto del viaggio in Africa acquisti il tono e il senso di una riflessione: il soggetto che parla non è più Africa, non è solo Africa, si è alterato nell'essere europeo, e da questa condizione di "simbiosi" ancora immatura individua il gioco delle immagini identitarie che Europa ed Africa si scambiano, ingannandosi a vicenda.
Solo un soggetto trasformato, non più monoculturale ma incamminato verso una definitiva interculturalità, può individuare questo discorso imagologico che vediamo infatti all'opera nel secondo esempio, tratto dal diario-racconto antropologico della italo-camerunense Geneviève Makaping Traiettorie di sguardi. E se gli altri foste voi? (2001). Questa volta, attraverso la forma pseudo-diaristica, poiché di contenuto non intimo - come ci avverte la stessa autrice - bensì sufficientemente "straniato", e nella osservazione antropologica così detta "partecipante", si coglie la costruzione dell'identità proprio come implicazione tra il sé e l'altro, e tra gli altri che formano il sé. Il brano è tratto dal capitolo 5 intitolato "Chiamatemi negra":

Osservare significa guardare, vedere, scrutare e cercare di capire. Sforzarsi di guardare è molto faticoso, significa "essere implicata" […] Quando non si ha il "potere" […] perché non si appartiene all'élite che "nomina" e tramanda i preconcetti e i pregiudizi, l'esercizio diventa ancora più difficile. Come faccio ad avere la certezza che il mio sguardo sia nel giusto? Certamente i miei ex colonizzatori e quelli nuovi non si sono posti questa domanda, o, comunque, lo hanno fatto in modo da non crucciarsene. Come faccio a sapere che il mio sia un guardare corretto, senza speculazioni di sorta, solo perché sono una minoranza? […] Penso e sto zitta, convinta che un giorno prenderò la parola. Dove? Ora, qui e adesso. La parola prima a me stessa: adesso parlo io. […] Il mio sguardo si sposta da un luogo all'altro e devo ricordarmi che ci sono anch'io su cui farlo scorrere e posare. Il privilegio di questo tipo di atteggiamento può essere qualcosa di molto vicino all'ubiquità. Essere al margine e al centro di volta in volta. Essere il margine e il centro quasi contemporaneamente. […] Devo ancora fare uno sforzo, quando parlo degli altri da me (gli occidentali), per scindere il loro mondo in uomini da una parte, donne dall'altra, ed io dall'altra ancora. E poi il noi: noi extracomunitari - noi extracomunitari donne - noi africani - noi africani sub-sahariani - noi negri - noi donne negre - noi camerunesi e noi camerunesi donne, fino ad arrivare a noi Bamiléké - a noi donne Bamiléké ed infine a me, donna bamiléké immigrata, che è tutte queste donne insieme e che ha rinunciato alla cittadinanza di origine, per assumere quella italiana. […] Varie appartenenze e identità che sento il bisogno di negoziare e aggiustare continuamente. Ma la stessa elencazione, stavolta "ragionata", "mediata", "non gerarchizzata", di queste appartenenze, presenta un aspetto positivo: è la condizione di chi appartiene a varie culture, che ha dunque memorie diverse, preziose per la costruzione di uno "stato di multiculturalità", nel quale sentirsi parte di un tutto, ma anche essere libera di posizionarsi in un luogo ben preciso, non ambiguo. (pp. 36, 37; 49, 50)

In questo testo assistiamo ad una forzatura della monoculturalità, ottenuta attraverso un estremo sforzo rappresentativo di autoconsapevolezza, che restituisce all'altro europeo l'immagine mutata di segno dell'altro africano. L'esercizio dell'osservazione, che si traduce in narrazione del viaggio (reale e metaforico) verso la nuova identità, sfrutta il sapere e il linguaggio occidentali dell'antropologia, anche se se ne dichiara ai margini. Lo sfrutta per leggere l'identità a partire dall'"importanza dell'autorità dell'esperienza" (l'autrice sta citando esplicitamente bell hooks, Elogio del margine), ma della "sua" esperienza in Europa di donna, africana, negra, camerunese, bamiléké di cittadinanza italiana.
L'indagine tematica e quella incentrata sulla poetica possono evidenziare, quindi, come si è cercato di mostrare, aspetti molto diversi della questione che delimita il rapporto tra letteratura e migrazione. Nel praticare l'una e/o l'altra via, il punto, credo, sia quello di chiedersi cosa ci interessi conoscere e in quale piano di discorso, se prevalentemente storico-letterario oppure se prevalentemente critico-culturale, vogliamo giocare il nesso letteratura/migrazione. Se decidiamo, come studiosi, docenti o ricercatori, di tenere presente il quadro della ricerca tematica, e di praticare anche quello della ricerca che opera sul margine e che ho provato a definire come "poetica inquirente", ci troviamo molto probabilmente ad operare nel dilemma così bene individuato da Edward Said, il quale parla di "condizione metaforica" dell'intellettuale odierno: "Anche se non si è immigrati o espatriati in senso proprio, è sempre possibile pensare come se lo si fosse […]" (p.74).

Note:

[1] Per un profilo sintetico degli studi tematici vedi il capitolo 3 "Temi e miti letterari" di A.Trocchi, nel volume Letteratura comparata, a cura di A.Gnisci, Milano, B.Mondadori, 2002.

[2] Cfr. ad esempio C.Chiellino, Parole erranti. Emigrazione, letteratura e interculturalità. Saggi 1995-2000, Cosmo Iannone Editore, Isernia, 2001, pp.49-50

[3] Rimando alla Banca Dati online BASILI sulle opere degli scrittori immigrati in Italia che pubblicano in lingua italiana: www.disp.let.uniroma1.it/basili2001www.disp.let.uniroma1.it/basili2001 e alla rivista di letteratura e arti della migrazione KUMA, sempre online: www.disp.let.uniroma1.it/kuma.htmwww.disp.let.uniroma1.it/kuma.html

[*] Ho utilizzato, rielaborandoli, per questa parte del mio discorso alcuni materiali della ricerca da me svolta per la stesura del lemma "Migrazione" del Dizionario dei temi letterari, a cura di R.Ceserani, M.Domenichelli e P.Fasano, in preparazione per la casa editrice Utet.


Bibliografia


Bell Hooks, Elogio del margine, tr. it. Milano, Feltrinelli 1998
Chambers, I., Paesaggi migratori, tr. it., Roma, Meltemi 2003
Chiellino, G., Parole erranti. Emigrazione, letteratura e interculturalità. Saggi 1995-2000, Isernia, Cosmo Iannone Editore 2001
Glissant, E., Poetica del diverso, Roma, Meltemi 1998
Diaspore europee & Lettere migranti, a cura di A. Gnisci e N. Moll, Roma, Edizioni Interculturali 2002
Gnisci, A., Una storia diversa, Roma, Meltemi 2001
Gnisci, A., (a cura di), Letteratura comparata, B. Mondadori 2002
Gnisci, A., Creolizzare l'Europa. Letteratura e migrazione, Roma, Meltemi 2003
King, R., Connell, J., White, P.(a cura di), Writing across worlds, London, New York 1995
Komla-Ebri, K., Neyla, Milano, Edizioni dell'Arco 2002
Makaping, G., E se gli altri foste voi?, Soveria Mannelli, Rubettino Editore 2001
Marchand, J.-J. (a cura di), La letteratura dell'emigrazione. Gli scrittori di lingua italiana nel mondo, Torino 1991
Said, E., "Gli intellettuali in esilio: espatriati e marginali", in Id., Dire la verità. Gli intellettuali e il potere, Milano, Feltrinelli 1996, pp.59-74.
Sinopoli, F., "Migrazione", in Dizionario dei temi letterari, a cura di R. Ceserani, M. Domenichelli e P. Fasano, Torino, Utet (in preparazione).

 


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