(Pubblichiamo un estratto dalla tesi di laura in Lettere Moderne presentata da Chiara Villa presso l'Università diegli Studi di Milano nell'Anno accademico 2003 - 04)

La percezione e la rappresentazione del territorio italiano
nei racconti dei migranti

di Chiara Villa


Arrivando ad ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d'avere: l'estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t'aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti.
(Italo Calvino, Le città invisibili)


INTRODUZIONE

La scelta di trattare questo argomento è stata principalmente dettata dalla curiosità di analizzare un aspetto della migrazione a partire da una prospettiva ancora poco affrontata: la percezione e la rappresentazione del territorio italiano da parte degli stranieri, che spinti da motivazioni diverse decidono di lasciare le loro terre e le loro famiglie per giungere nella nostra penisola.
La branca della geografia che mi ha fornito utili strumenti per affrontare questo tipo di analisi è stata la geografia culturale.
Questa è una disciplina che si occupa di fatti di cultura e che vede il suo sorgere durante l'ultimo decennio del XIX secolo dagli studi delle scuole francesi e tedesche e successivamente, negli anni venti del XX secolo, arriva ad una istituzionalizzazione con lo statunitense O. Saur, fondatore della scuola di Barkeley o scuola del paesaggio. Le ricerche proseguono negli anni, ma la difformità delle elaborazioni teoriche proposte dalle diverse scuole non permette alla geografia culturale di assumere una vera e propria autonomia così da fare un raffronto con discipline già affermate; in alcuni casi essa è stata impiegata per l'analisi che non competeva alla materia, come lo studio delle attività economiche di un determinato territorio o della popolazione, utilizzandola come sinonimo di geografia umana.
La prima metà del XX secolo è caratterizzata da un rallentamento delle ricerche, anche se ci furono studiosi che continuarono ad interessarsi alla materia; i più noti furono Wright ed in seguito Dardel, a cui, nonostante la portata innovativa delle loro idee, non fu concessa l'attenzione sperata.
Solo negli anni Settanta le loro ricerche furono riprese ed approfondite, rivalutandole e giungendo a considerarle come teorie di una nuova geografia in cui l'uomo diveniva il protagonista assoluto del paesaggio.
Sono proprio questi gli anni che segnano una rinascita della geografia culturale, che ha saputo rinnovare studi e attività, differenziando gli approcci e le metodologie di studio del paesaggio.
Lo strumento che ho inteso utilizzare è stato quello della letteratura, perché ritengo che essa possa essere considerata come un'utile fonte di informazioni perché in grado di descrivere le emozioni e le sensazioni che l'uomo prova nel paesaggio.
Spetterà in un secondo momento al geografo trarre dati scientifici dalle descrizioni letterarie, contestualizzarli per ampliare eventuali ricerche scientifiche in atto.
La scelta di indirizzare la mia ricerca all'analisi dei racconti migranti è stata determinata anche dalla specificità degli argomenti raccontati: si narrano, nelle autobiografie o nei racconti di fantasia, le esperienze vissute dagli outsider, e vi si possono cogliere descrizioni del nostro paese frutto del soggettivismo del singolo scrittore.
I primi libri, alcuni pubblicati da prestigiose case editrici, come Garzanti o DeAgostini, sono: Chiamatemi Alì di M.Bouchane edito da , Immigrato della casa editrice Theoria di S. Methnani, Io venditore di elefanti pubblicato dalla Garzanti di P.Khouma nel 1990 a cui fa seguito La promessa di Hamadi della DeAgostini di S.Moussa Ba nel 1991, che raccontano storie dolorose e avventurose di migrazione in Italia, descrivendo l'impatto con la nostra società e cultura.
La particolarità di questi libri è quella di essere scritti in italiano; ciò si è potuto realizzare grazie alla collaborazione di giornalisti e di scrittori italiani, che hanno deciso di prestare le loro capacità e conoscenze a questi autori improvvisati.
La scelte di scrivere nella nostra lingua è stata determinata dal desiderio di rendere le loro parole udibili al pubblico italiano, per fare conoscere i problemi che quotidianamente sono costretti ad affrontare in un paese che non è sempre disposto ad accettare chi è diverso.
Dopo le prime pubblicazioni degli anni '90, ne seguono altre, tanto che alcuni studiosi e ricercatori cominciano a credere che essa potesse diventare una disciplina a se stante; uno di questi personaggi è il prof. A. Gnisci docente di Letteratura Comparata all'Università "La Sapienza" di Roma, che con molto coraggio ha deciso di collocarla nell'ambito della letteratura italiana, così da azzardare la nascita di una letteratura italiana della migrazione.
Attorno a lui si sono radunati studiosi universitari, scrittori, giornalisti e gli stessi immigrati che hanno saputo arricchire ed ampliare la disciplina, anche se ancora poco approfondita negli ambienti universitari.
Nel quarto capitolo ho voluto analizzare tre testi: Io venditore di elefanti di Pap Khouma, di Immigrato di Salah Methnani entrambe del 1990 e l'ultimo La promessa di Hamadi di Saidou Moussa Ba del 1991.
La spiegazione principale che mi ha condotto a questo tipo di scelta è stata determinata dalla volontà di accedere ai primi racconti migranti, in cui si descrive un'Italia che da terra di migranti diviene terra di migrazioni.
I primi due sono autobiografici, narrano in prima persona il viaggio nella nostra penisola, mentre il terzo racconta la storia di un personaggio di fantasia che vive situazioni realmente accadute. I tre scrittori rappresentano tutti coloro che, dopo aver ottenuto un permesso di soggiorno, sono riusciti ad integrarsi completamente nel nostro mondo, partecipando attivamente alla vita sociale.
Arrivano dall'Africa e generalmente con la nave approdano sulle coste della Sicilia; le difficoltà che affrontano sono molteplici: dalla ricerca di un alloggio, di un lavoro, dalla difficoltà di comprensione della lingua, alla mancanza di cibo, ma quello che si può trarre dalle loro storie è soprattutto la loro visione, il loro punto di vista nel raccontare il nostro paese e la nostra cultura, così lontana ed incomprensibile rispetto a quella vissuta fino a quel momento nella loro terra natia.
Nell'ultimo capitolo presento con dati statistici l'evoluzione dell'immigrazione nel nostro paese dagli anni '90 fino al 2000.
I valori numerici riguardano gran parte dei campi sociali: un raffronto degli arrivi nell'ultimo decennio, le differenze fra nord e sud, le percentuali di presenza nelle attività lavorative.

Capitolo IV Racconti migranti

4.1 La vita di Salah Methnani
Nasce a Tunisi nel 1963 e trascorre l'infanzia e l'adolescenza in collegio, a causa della separazione dei suoi genitori. Si iscrive alla facoltà di lingue quasi per caso, scegliendo come lingue di studio l'inglese ed il russo, non l'italiano, che imparò guardando i programmi trasmessi dalla televisione satellitare, ogni venerdì pomeriggio.
Dopo la laurea, che scoprirà in seguito non essere riconosciuta valida in Italia, il desiderio di emigrare dalla Tunisia si faceva sempre più pressante; decide di iniziare il suo viaggio in Italia, dalla Sicilia, forse perché gli dava la sensazione di essere più vicino a casa.
Le motivazioni che lo spingono ad emigrare non sono chiare: "Sto partendo come un emigrante nordafricano o come un qualsiasi ragazzo che vuole conoscere il mondo?" .
Dopo anni di clandestinità, finalmente regolarizza la sua condizione di clandestino e decide di rimanere in Italia, dove vive dal 1992 a Roma, zona Trastevere, impartendo lezioni di arabo e francese e facendo traduzioni.

4.2 I preparativi per il viaggio
La decisione di intraprendere il viaggio verso l'Occidente viene motivata dal protagonista dal grande senso di oppressione che il suo paese, la Tunisia, suscita in lui.
"Il desiderio di evadere crebbe di giorno in giorno. A Tunisi mi sentivo soffocare. Io sognavo di andarmene prima o poi. In molti ragazzi come me il mito dell'Occidente era grandissimo" .
Una mitizzazione che si era accresciuta negli anni, a causa di un continuo bombardamento di informazioni provenienti dalla televisione, dai conoscenti che avevano amici o parenti in Italia ed infine dagli stessi italiani che per diversi motivi risiedevano a Tunisi.
Il primo contatto che Salah Methnani ha con l'Italia è durante una breve visita in Sicilia, nelle città di Trapani e Palermo, a differenza di alcuni amici, non acquista nulla, ma visita chiese e musei e si reca al cinema.
"Quando tornammo a Tunisi, i nostri amici si scandalizzarono. Dicevano -siete andati in Italia e non avete comprato niente- Anche mia madre era piuttosto delusa. Io non capivo perché un ragazzo tunisino non poteva andare in giro, in un paese straniero e comportarsi come voleva." .
4.3 Le tappe del viaggio

4.3.1 Mazara del Vallo
Il viaggio intrapreso da S. Methnani inizia con l'attraversamento del Mar Mediterraneo in aereo e il successivo atterraggio all'aeroporto di Trapani. Il trasferimento verso il paese di Mazara del Vallo distante pochi chilometri avviene con l'autobus e come lui stesso nota, è l'unico nordafricano presente; questo non è di ostacolo alla conoscenza di due ragazzi del luogo, Carmen e Fabio che gli danno utili informazioni sul paese e sulla regione stessa: "Lei diceva che il Sud d'Italia è molto povero e arretrato, e che i ragazzi, anche qui, sognano di andare via per vivere in maniera più libera" . Il protagonista si chiede se la voglia di viaggiare e di conoscere posti nuovi sia, allora, comune ai ragazzi di tutto il mondo.
A Mazara del Vallo alloggia all'Hotel Mediterraneo, dalle tariffe un po' troppo alte per le sue possibilità economiche, ma per il momento è l'unica possibilità che gli si presenta; qui conosce due connazionali che lavorano per l'albergo, durante la conversazione essi lo rendono partecipe della loro soddisfazione per aver trovato un lavoro sicuro e così poter guadagnare uno stipendio mensile.
Dopo aver sistemato i bagagli nella camera, decide di fare una passeggiata per le vie della città. Attraversando il paese l'attenzione cade su alcuni manifesti di colore viola: "Sulle porte di casa, ci sono strani manifesti color viola. C'è scritto : - Per mio figlio- oppure -Per mia madre-. Fabio e Carmen mi spiegheranno poi che è un'usanza locale per ricordare i morti. A me sembrano inviti per una festa" . Questo è un primo contatto con una cultura diversa dalla propria.
Il suo cammino lo conduce sul lungo mare, dove nota diversi gruppi di persone che sedute sulle panchine parlano fra loro; scorge, vicino al porto, più scostati rispetto al gruppo di italiani, alcuni ragazzi nordafricani, anch'essi chiacchierano fra loro.
La ricerca di un lavoro si rivela molto più difficoltosa di quanto avrebbe sperato; Salah offre il suo aiuto al porto, nei bar e nelle pizzeria, ma sembra non esserci un posto per lui: "Passo il pomeriggio disteso sul letto della mia stanza.Penso a Labari. Non so cosa devo fare. Comincio a sentirmi come lui, un disgraziato, per di più un clandestino, in un paese che volentieri farebbe a meno di me. Dovrei uscire, scuotermi: cercare, almeno, una sistemazione più economica… non me la sento di fare niente."
La nostalgia e l'apatia stanno prendendo il sopravvento, ma per fortuna la presenza sul territorio di un ritrovo di tunisini, in via Bagno, lo fa sentire un po' più vicino a casa; al suo interno alcuni giocano a carte, altri fumano il narghilè, altri ancora discutono fra loro di vari argomenti.
I giorni scorrono lenti e tutti uguali, e la speranza di trovare un'occupazione diventa sempre più flebile. Salah prende la decisione di trasferirsi in un città più grande: Palermo.

4.4.2 Palermo
Il capoluogo siciliano è raggiunto con il treno, e non può non attirare la sua attenzione la grande presenza di nordafricani che vagano all'interno della stazione; all'esterno, invece, l'impatto visivo è negativo:
"La città ha un aspetto sporco e confuso: è come se la povertà ed il disordine si fossero attaccati ai muri, all'asfalto, all'aria. Gli immigrati gironzolano fra via Roma e il piazzale antistante la stazione in gruppi di tre o quattro: galleggiano nello spazio privo di direzione, di una meta. Sento un'onda di desolazione attraversarmi. E' un'onda lieve, attutita per ora."
Per la notte riesce a prenotare una stanza in una pensione vicino al quartiere popolare della Vucciria; l'appartamento si trova al terzo piano ed è composto da tre stanze con quattro posti letto più un bagno, i proprietari sono un uomo ed una donna sulla sessantina
Trovata una sistemazione, decide di recarsi in centro città, che, questa volta, viene descritto come una zona molto viva, ricca di bancarelle, di sale giochi e di traffico, subendo una trasformazione attorno alle dieci di sera, quando le persone si ritirano nelle loro case, rendono la città deserta, vi sono solo le automobili per strada; il cammino prosegue attraversando strade e vie percorse abitualmente da altri immigrati, cioè quello che conduce alla stazione.
Le mattine seguenti si desta molto presto, verso le sei, ed inizia la sua ricerca di un lavoro. Approda al mercato ortofrutticolo, dove prende in affitto un carrello e aiuta venditori a caricare e scaricare le merci, ma a fine giornata il guadagno è minimo.
La situazione lavorativa è sempre precaria, l'unica soluzione è quella di trasferirsi in un'altra città: Napoli.

4.3.3 Napoli
Arrivato nella città partenopea, lo pervade la sensazione di familiarità con il luogo, quasi si sentisse in Tunisia, forse questa sensazione è determinata dalla grande presenza di nordafricani nei pressi della stazione. Il primo impatto con la città è gradevole: "Benché sia autunno inoltrato, il tempo è bello e c'è ancora luce. Mi metto alla ricerca di una pensione. Per le strade, c'è un'atmosfera concitata, nervosa. Tutti gli alberghi intorno alla stazione sono zeppi. Vicino piazza Garibaldi, i bar sono popolati solo da nordafricani."
Tutti gli alberghi visitati fino a quel momento sono al completo, deve continuare la sua ricerca; lungo il tragitto si imbatte in quello che definisce come "il quartier generale dei miei connazionali" , cioè un bar di via Mancini; dalla parte opposta scorge un palazzo con appeso sul muro un cartello, che reca una scritta in arabo, non tradotta in italiano, che vieta di sostare davanti all'edificio.
Finalmente trova una pensione dove pernottare, l'Hotel Maddalena; è un grande appartamento di una ventina di camere con due soli bagni, nella stanza manca persino la corrente elettrica e le coperte sono molto rovinate; al senso di delusione provato per la sistemazione, subentra un sentimento di rassegnazione
La curiosità e il bisogno di lavoro lo spingono verso la periferia, a Villa Literno, che un'ora di viaggio da Napoli; "C'è molto traffico. Pare di essere su un mezzo che serve per attraversare il deserto. Fuori dei finestrini, l'hinterland napoletano ha l'aspetto di un gourbi, che in arabo significa più o meno baraccopoli" .
Il paese è molto piccolo vi sono una piazza e due strade,ma per ciò che concerne il lavoro, non vi sono molte possibilità, "si può giusto dar da mangiare al bestiame e fare qualche minimo lavoretto nei campi" .
Parlando con alcune persone del luogo, viene a conoscenza di un avvenimento accaduto alcuni giorni prima, l'omicidio di un ragazzo di colore, così riesce a spiegarsi la sensazione di tensione che lo aveva accompagnato sin dal suo arrivo.
Ritorna a Napoli, ma dopo qualche giorno passato nuovamente alla ricerca di un lavoro, decide di rimettersi in viaggio verso la capitale: Roma.

4.3.4 Roma
Quando arriva nella capitale, pur non conoscendo la città, prova da subito un sentimento di familiarità con il luogo, forse determinato dalla conoscenza, almeno libresca e scolastica, dei monumenti più famosi di Roma: il Colosseo, Piazza Navona, la scalinata di Trinità dei monti.
A differenza dei posti precedenti Salah si sente attanagliato da una forza nuova; vuole cambiare qualcosa di se stesso, vuole allontanare quell'immagine di clandestinità, che lo aveva accompagnato fino a quel momento. Visita, come un qualunque turista, i Musei Vaticani e la Cappella Sistina.
"Non voglio più essere dominato dall'immagine di clandestino cui sono negati piaceri e desideri. Non voglio più sopravvivere. Ora, mi prometto, sarò me stesso per intero."
Il consueto pellegrinaggio inizia per le vie della città, via Giolitti, via Marsala, via Cernia, per giungere alla stazione, consueto ritrovo di immigrati.
Non avendo trovato un alloggio dove poter dormire e non avendo alternative migliori, gli viene consigliato da un connazionale, di salire su di un treno e di utilizzarlo come rifugio notturno:
"Il treno che i connazionali chiamano el fajaa (vuol dire angoscia, pericolo), è l'ultima alternativa alle pensioni e ai centri di prima accoglienza. Tutti e cinque i miei compagni hanno un biglietto per ritiro bagagli nel deposito di Termini, così passano subito all'interno della stazione. Io aspetto il momento propizio per scivolare indisturbato davanti al gabbiotto dei ferrovieri. Un po' di folla e via, dentro." .
La notte trascorre senza problemi, anche se il risveglio è imposto dagli addetti alle pulizie ferroviarie, all'alba.
Nonostante il desiderio iniziale di mutare la propria condizione, la realtà costringe Salah a vivere come tutti gli altri immigrati, compiendo quotidianamente gli stessi gesti, che divengono così consuetudine: "la mattina ci si ritrova per la prima colazione, al centro di Piazza Bologna, poi al colle Oppio per il pranzo, una doccia nel pomeriggio in via Marsala, e così via." . Impara a riconoscere i luoghi nei quali si danno appuntamento gli stranieri, rispettando le rigide distinzioni territoriali, imposte dall'origine etnica e dalla provenienza regionale, divisioni superate per la preghiera del venerdì quando, tutti insieme, si ritrovano al centro islamico di piazza Ungheria.
Si sono venuti a creare dei confini topografici ideali con delle regole interne, la cui non osservanza porterebbe a delle conseguenze molto gravi.
L'occupazione lavorativa continua ad essere precaria, il non trovarla suscita in Salah molta preoccupazione ed inquietudine, tanto che, durante un momento di sconforto, afferma che Roma sia una città stupenda, ma "terribilmente inconoscibile. Ti avvolge in una strana malia, in una dimensione soffice e notturna che ti nega di penetrarla . E' diversa da Tunisi: qui ogni cosa ti pare distante, a una perversa distanza" .
E' forte il senso di solitudine che lo attanaglia e per la prima volta prova un grande desiderio di allontanarsi dalle storie di emarginazione e povertà che solitamente si acuiscono quando entra in contatto con i suoi conterranei.
Nei giorni successivi, la sua curiosità lo spinge verso il centro della città, dove ritrova un mondo apparentemente diverso da quello conosciuto fino a quel momento; ai suoi occhi appare una territorio molto sporco, abitato da persone che sembrano sempre indaffarate e che trasmettono allegria.
Trascorrono i giorni e la città sembra assumere connotazioni diverse dal giorno del suo arrivo, è sempre meno accogliente e si percepisce un diffuso senso di intolleranza nei confronti degli stranieri. La tappa successiva del viaggio è Firenze.

4.3.5 Firenze
La città di Firenze è una città prevalentemente turistica, ne danno testimonianza gli ostelli occupati da visitatori provenienti da tutta Europa.
La stazione è quasi deserta, non si scorge la presenza di immigrati come nelle stazioni delle altre città; un connazionale che gli spiegherà in seguito, che la causa di tale situazione è la presenza delle forze di polizia che svolgono controlli molto rigorosi; infine gli indica come ritrovo abituale dei tunisini, la pizzeria da Franco, dove avrebbe potuto riceve un aiuto in caso di bisogno.
Sente crescere in lui un senso di forte demotivazione che lo portano a rivalutare la fiducia che aveva riposto nelle terre occidentali, "tutto è diventato normale e indifferente. Scivolo lungo una strada che non conduce da nessuna parte, ma non importa. Importa solo andare avanti, aprire gli occhi e chiuderli a notte inoltrata.
Ho superato la soglia della disperazione e dello stupore. Mi sento un palloncino che vola di qua e di là." .
Per la disperazione cede all'allettante proposta, suggeritagli da un suo vecchio amico Moncef, di guadagnare soldi facilmente spacciando eroina; lui stesso lo indirizza verso le zone frequentate abitualmente dai tossicodipendenti: la via Panzani, fra la pizzeria Franco e la Pasticceria Somigli, poi piazza Indipendenza e viale Strozzi.
Le aspettative nei confronti della città di Firenze ormai sono tutte deluse, e dopo giorni di vendita di stupefacenti e di incontri con personaggi meno fortunati di lui: "lascio Firenze con un senso di nausea che è diventata una seconda pelle" , la città lo ha profondamente deluso poiché lo stava trasformando in una persona che possedeva caratteristiche che lui stesso aveva sempre aspramente criticato negli altri.
Amareggiato parte dal capoluogo toscano.

4.3.6 Padova
Ancora sul treno osserva un paesaggio molto differente rispetto a quelli visti precedentemente: "E' una campagna ordinata, fa pensare a un lavoro paziente. Ogni tanto viene giù una pioggia intermittente che da una grigia brillantezza al paesaggio. Le nuvole sono basse, a perdita d'occhio: è un campo lunghissimo di forme in continuo movimento" .
Le conoscenze di Salah sulla città di Padova sono scarse, ma positive, molti connazionali gli avevano già preannunciato che era una terra ricca di opportunità per tutti.
Sceso dal treno, invece, lo colpisce il grande freddo e la desolazione che la domenica pomeriggio porta con se; la città è bella, anche se un po' "spettrale" , la poca gente che si incontra lungo la via ha fretta, tanto che nessuno si guarda in faccia.
Nonostante la grande distanza da casa, prova un sentimento di vicinanza alla sua terra e a se stesso, come era successo già a Palermo e a Mazara, l'unica differenza è che a Padova tutto sembra più ordinato e meno caotico.
La mattina presto esce dall'albergo e si dirige al mercato ortofrutticolo di via Tommaseo, dove sembra regnare la pace e la tranquillità e non il caos, che aveva caratterizzato i mercati del Sud; ma anche qui è difficile poter trovare lavoro, anche se per altri motivi, infatti per essere assunti occorre un regolare permesso di soggiorno.
Abbandonata l'idea di un lavoro tra le bancarelle, ha l'opportunità di divenire venditore porta a porta di prodotti per la casa; occupazione che riuscirebbe anche a soddisfare in parte, la curiosità nei confronti delle abitudini degli italiani. Si reca in un bar del centro per il reclutamento, dove ritrova molti aspiranti venditori, fra cui numerosi nigeriani, ormai veterani del mestiere. Riesce ad ottenere l'incarico e può così soddisfare le sue curiosità:
"Si vedono mobili in stile antico un po' approssimativo passati a lucido come nuovi. Nell'ingresso, il solito tavolino con telefono e tanti centrini. Alle pareti, litografie e calendari con nomi di ditte famose e, più raramente complicati barometri le cui lancette sembrano indicare lo stesso valore da sempre. Mi piace sentire il profumo dei detersivi per i pavimenti o essere costretto a mettere delle formine di feltro, che servono a non rovinare la cera e rendono gli appartamenti silenziosi come una moschea. In ogni salottino, c'è un grande televisore: che troneggia su tutto come una divinità domestica" .
Passano i giorni e Salah si rende conto che a differenza di altri luoghi visitati, Padova non gli trasmette quella sensazione di paura che in passato lo aveva costretto a camminare rasente i muri, come era avvenuto a Villa Literno; la giudica una città tranquilla, anche se in alcuni momenti "ti guarda dall'alto in basso" ; nonostante la serenità raggiunta decide ugualmente di partire: destinazione Bologna.

4.3.7 Bologna e Torino
In realtà Bologna è una città solo di passaggio, perché appena giunto alla stazione prosegue il suo viaggio verso nord, vuole raggiungere Torino.
Il primo contatto con la città piemontese è caratterizzato da un fenomeno atmosferico a lui semisconosciuto, la nebbia:
"La nebbia avvolge le strade e i palazzi come una bianca inquietudine" .
Dopo il primo stupore deve ritornare alla realtà e ricercarsi un riparo per la notte:
"Ho lasciato la mia borsa al deposito bagaglio di Porta Nuova. All'improvviso, avverto una stanchezza che fa dolere le braccia e le gambe. Telefono all'ostello della gioventù. Il posto c'è, ma fino alle diciotto all'ostello è chiuso. Compro una mappa della città e mi metto a studiarla. Strano: distesa sulla carta, Torino sembra più incomprensibile. Le linee delle strade, invece che dipanarsi in una possibile lettura, si aggrovigliano, si contorcono fino a comporre una ragnatela, un arabesco che non ha capo né coda." .
Getta la cartina, perché la giudicata di difficile interpretazione; lungo il tragitto passa davanti ad una vetrina che lo pone di fronte alla sua immagine, dimessa e stanca; la reazione immediata è quella di darsi un nuovo contegno, assumendo l'atteggiamento di un turista; decide così di entrare al Museo Egizio, come avrebbe fatto un qualsiasi gitante, ma all'interno del palazzo prova un sentimento di inadeguatezza e di intrusione che lo conduce all'uscita.
Dopo diversi giorni di pernottamento all'ostello crede sia giunto il momento di cercarsi un lavoro e come era già avvenuto in passato, la meta è il mercato ortofrutticolo, che si trova presso Porta Palazzo.
Vi è una grande presenza di nordafricani tra le bancarelle, alcuni aiutano i fruttivendoli ad accatastare cassette di frutta, altri vendono spugne e accendini negli angoli delle strade; anche Salah offre il suo aiuto, ma purtroppo nessuno ha bisogno di lui.
Sconsolato decide di allontanarsi dal mercato e di recarsi nel giardino antistante la stazione, ma viene avvertito di non intrattenersi in quei luoghi da solo, a causa di avvenimenti spiacevoli accaduti nei giorni precedenti, alcuni ragazzi torinesi avevano picchiato tre spacciatori nordafricani; l'invito si estende anche al parco del Valentino, ritenuto anch'esso un posto molto pericoloso per i ragazzi di colore.
Non avendo trovato un'occupazione, l'ostello diviene una spesa troppo onerosa per Salah, che dunque decide di trovare un alloggio meno costoso; si trasferisce presso l'asilo notturno di via Ormea. "Nella mia stanza, ci sono dodici brande. Ogni tre letti, però una specie di separè in muratura che divide l'ambiente in piccoli loculi rettangolari. In tutto, ci sono solo due bagni. Per fare la doccia, al mattino, ci si deve mettere in fila, così spesso finiscono col rinunciarci." .

Anche a Torino Salah, non riesce a provare quella serenità e quella tranquillità, tanto ricercate; la soluzione che gli si prospetta è quella di trasferirsi nuovamente, verso il capoluogo lombardo.

4.3.8 Milano
A Milano la prima sensazione che colpisce Salah è la stranezza del clima: una sensazione di freddo e caldo percepita nello stesso istante.
La città da subito non lo entusiasma, anche se quando era ancora in patria aveva immaginato l'Occidente proprio come le strade di Milano.
" Quando in Tunisia avevo immaginato l'occidente , lo vedevo proprio così: vetrine scintillanti di negozi, moquette rossa per le strade più chic, e un brusio fitto ma in sordina di passanti, intenti a comprare oggetti di buon gusto. Solo che a questa mia fantasia partecipavamo al gioco…" .
Come consuetudine si reca alla Stazione Centrale, dove scorge un gruppo di nordafricani seduti e sdraiati vicino alla scala mobile.
All'uscita dalla stazione vede un cartello luminoso che indica l'orario e la temperatura, che con suo grande stupore segna i meno tre gradi centigradi, "non mi era mai successo, credo, di trovarmi in un posto dove la temperatura fosse al di sotto dello zero.Rabbrividisco quasi per convenzione: l'aria è talmente umida e sporca da rendere il freddo una sostanza densa e collosa." .
L'alloggio viene trovato fuori città, a Lambrate, sul cui territorio è presente una vecchia costruzione disabitata, dal nome vezzoso, Cascina Rosa, ma dall'aspetto tutt'altro che gradevole. Sgomberata più volte dalle forze dell'ordine, è stata sistematicamente rioccupata dagli stranieri, che vi hanno collocato anche un caffè, un ristorante ed una moschea. Rigide regole ordinano la vita di questa comunità, fra cui il divieto di portare alcolici e droga.
Ovviato il problema dell'alloggio, per soddisfare la fame si reca alla mensa gestita da frati, di via Maroncelli, dove consegnano il cibo in buste di plastica.
Per guadagnare qualche soldo si improvvisa venditore ambulante comprando alcuni accendini da un altro ragazzo e rivendendoli presso le fermate della metropolitana, dove avrebbe trovato una maggiore frequentazione di persone.
A Milano, per distrarsi e passare qualche ora di serenità, si reca al centro sociale di via Tadini, dove ogni sera si organizzano discussioni che vertono su argomenti diversi; l'unico ostacolo per la comprensione totale dei discorsi è quello che questi avvengono in una lingua a lui sconosciuta: il wuluf.
Con il passare del tempo la partecipazione alle riunioni è caratterizzata da un senso di disagio: "Il fatto è che non soltanto sono stufo di assemblee e di chiacchiere (in Wuluf, per giunta), ma sono stanco anche dei nostri problemi. E dei nostri diritti. E dei nostri doveri. Anzi, per la precisione, mi sono rotto di tutti gli immigrati del mondo. Non sarà bello pensarlo, ma io vorrei tornare a frequentare persone qualsiasi, al di là del colore della pelle, o del suono dei suoi dialetti." .
Queste sono le ultime parole prima del ritorno in Tunisia da parte di Salah Methnani,dopo aver ottenuto il permesso di soggiorno.
4.4 Radici e radicamento
Salah Methnani parte dalla Tunisia, dopo aver ottenuto la laurea il lingue e letteratura straniera, per migliorare la propria condizione personale.
Il viaggio viene intrapreso da solo e durante il soggiorno in Italia instaura pochi e deboli legami con gli italiani; conosce casualmente sull'autobus due ragazzi del luogo, Fabio e Carmen, che possono essere indicati come elementi catalizzatori, perché gli forniranno informazioni utili per meglio conoscere il luogo nel quale si trova: "dicono che per me sarebbe meglio tentare di cercare lavoro in una città più grande" , ma purtroppo sono gli unici legami che instaura.
Il suo itinerario è molto esteso, comincia dalla Sicilia per terminare in Lombardia, attraversando tutte le maggiori città italiane; questo avviene perché Salah non riesce ad instaurare con il luogo un legame profondo di appartenenza; in ogni città prova un sentimento di estraneità: "Io guardo tutto e tutti come se ci fosse un diaframma di vetro fra me e l'esterno." , aggravato da un forte senso di solitudine: "ogni tanto vorrei parlare con qualcuno" .
Durante il racconto, Salah esprime più volte il desiderio di divenire insider, quindi di ridurre l'isolamento con il luogo, di imparare ad orientarsi, ed instaurare un certa familiarità con il posto in cui vive. Purtroppo non riuscirà mai a sentirsi a casa: "Certe volte penso che questo mio strano peregrinare per l'Italia non abbia altro senso che andare, andare e non guardarsi indietro. I nomi delle persone sono talmente uguali, da dissolversi in un'unica scia priva di centro."
Vi è una certa delusione anche per ciò che ha visto fino a quel momento, l'immagine di un occidente dorato muta a contatto con la realtà e i contrasti sembrano accentuarsi soprattutto a Milano dove riscontra due mondi in contraddizione fra loro, un centro città ricco e bello ed una periferia povera e desolata.
Il viaggio affrontato da Salah Methnani può essere interpretato anche come un viaggio alla ricerca di se stesso.




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