(Pubblichiamo
un estratto dalla tesi di laura in Lettere Moderne
presentata da Chiara Villa presso l'Università diegli
Studi di Milano nell'Anno accademico 2003 - 04)
La
percezione e la rappresentazione del territorio italiano
nei racconti dei migranti
di Chiara Villa
Arrivando ad
ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato
che non sapeva più d'avere: l'estraneità di ciò che
non sei più o non possiedi più t'aspetta al varco nei
luoghi estranei e non posseduti.
(Italo Calvino, Le città invisibili)
INTRODUZIONE
La scelta
di trattare questo argomento è stata principalmente
dettata dalla curiosità di analizzare un aspetto della
migrazione a partire da una prospettiva ancora poco
affrontata: la percezione e la rappresentazione del
territorio italiano da parte degli stranieri, che spinti
da motivazioni diverse decidono di lasciare le loro terre
e le loro famiglie per giungere nella nostra penisola.
La branca della geografia che mi ha fornito utili
strumenti per affrontare questo tipo di analisi è stata
la geografia culturale.
Questa è una disciplina che si occupa di fatti di
cultura e che vede il suo sorgere durante l'ultimo
decennio del XIX secolo dagli studi delle scuole francesi
e tedesche e successivamente, negli anni venti del XX
secolo, arriva ad una istituzionalizzazione con lo
statunitense O. Saur, fondatore della scuola di Barkeley
o scuola del paesaggio. Le ricerche proseguono negli
anni, ma la difformità delle elaborazioni teoriche
proposte dalle diverse scuole non permette alla geografia
culturale di assumere una vera e propria autonomia così
da fare un raffronto con discipline già affermate; in
alcuni casi essa è stata impiegata per l'analisi che non
competeva alla materia, come lo studio delle attività
economiche di un determinato territorio o della
popolazione, utilizzandola come sinonimo di geografia
umana.
La prima metà del XX secolo è caratterizzata da un
rallentamento delle ricerche, anche se ci furono studiosi
che continuarono ad interessarsi alla materia; i più
noti furono Wright ed in seguito Dardel, a cui,
nonostante la portata innovativa delle loro idee, non fu
concessa l'attenzione sperata.
Solo negli anni Settanta le loro ricerche furono riprese
ed approfondite, rivalutandole e giungendo a considerarle
come teorie di una nuova geografia in cui l'uomo diveniva
il protagonista assoluto del paesaggio.
Sono proprio questi gli anni che segnano una rinascita
della geografia culturale, che ha saputo rinnovare studi
e attività, differenziando gli approcci e le metodologie
di studio del paesaggio.
Lo strumento che ho inteso utilizzare è stato quello
della letteratura, perché ritengo che essa possa essere
considerata come un'utile fonte di informazioni perché
in grado di descrivere le emozioni e le sensazioni che
l'uomo prova nel paesaggio.
Spetterà in un secondo momento al geografo trarre dati
scientifici dalle descrizioni letterarie,
contestualizzarli per ampliare eventuali ricerche
scientifiche in atto.
La scelta di indirizzare la mia ricerca all'analisi dei
racconti migranti è stata determinata anche dalla
specificità degli argomenti raccontati: si narrano,
nelle autobiografie o nei racconti di fantasia, le
esperienze vissute dagli outsider, e vi si possono
cogliere descrizioni del nostro paese frutto del
soggettivismo del singolo scrittore.
I primi libri, alcuni pubblicati da prestigiose case
editrici, come Garzanti o DeAgostini, sono: Chiamatemi Alì
di M.Bouchane edito da , Immigrato della casa editrice
Theoria di S. Methnani, Io venditore di elefanti
pubblicato dalla Garzanti di P.Khouma nel 1990 a cui fa
seguito La promessa di Hamadi della DeAgostini di S.Moussa
Ba nel 1991, che raccontano storie dolorose e avventurose
di migrazione in Italia, descrivendo l'impatto con la
nostra società e cultura.
La particolarità di questi libri è quella di essere
scritti in italiano; ciò si è potuto realizzare grazie
alla collaborazione di giornalisti e di scrittori
italiani, che hanno deciso di prestare le loro capacità
e conoscenze a questi autori improvvisati.
La scelte di scrivere nella nostra lingua è stata
determinata dal desiderio di rendere le loro parole
udibili al pubblico italiano, per fare conoscere i
problemi che quotidianamente sono costretti ad affrontare
in un paese che non è sempre disposto ad accettare chi
è diverso.
Dopo le prime pubblicazioni degli anni '90, ne seguono
altre, tanto che alcuni studiosi e ricercatori cominciano
a credere che essa potesse diventare una disciplina a se
stante; uno di questi personaggi è il prof. A. Gnisci
docente di Letteratura Comparata all'Università "La
Sapienza" di Roma, che con molto coraggio ha deciso
di collocarla nell'ambito della letteratura italiana, così
da azzardare la nascita di una letteratura italiana della
migrazione.
Attorno a lui si sono radunati studiosi universitari,
scrittori, giornalisti e gli stessi immigrati che hanno
saputo arricchire ed ampliare la disciplina, anche se
ancora poco approfondita negli ambienti universitari.
Nel quarto capitolo ho voluto analizzare tre testi: Io
venditore di elefanti di Pap Khouma, di Immigrato di
Salah Methnani entrambe del 1990 e l'ultimo La promessa
di Hamadi di Saidou Moussa Ba del 1991.
La spiegazione principale che mi ha condotto a questo
tipo di scelta è stata determinata dalla volontà di
accedere ai primi racconti migranti, in cui si descrive
un'Italia che da terra di migranti diviene terra di
migrazioni.
I primi due sono autobiografici, narrano in prima persona
il viaggio nella nostra penisola, mentre il terzo
racconta la storia di un personaggio di fantasia che vive
situazioni realmente accadute. I tre scrittori
rappresentano tutti coloro che, dopo aver ottenuto un
permesso di soggiorno, sono riusciti ad integrarsi
completamente nel nostro mondo, partecipando attivamente
alla vita sociale.
Arrivano dall'Africa e generalmente con la nave approdano
sulle coste della Sicilia; le difficoltà che affrontano
sono molteplici: dalla ricerca di un alloggio, di un
lavoro, dalla difficoltà di comprensione della lingua,
alla mancanza di cibo, ma quello che si può trarre dalle
loro storie è soprattutto la loro visione, il loro punto
di vista nel raccontare il nostro paese e la nostra
cultura, così lontana ed incomprensibile rispetto a
quella vissuta fino a quel momento nella loro terra natia.
Nell'ultimo capitolo presento con dati statistici
l'evoluzione dell'immigrazione nel nostro paese dagli
anni '90 fino al 2000.
I valori numerici riguardano gran parte dei campi sociali:
un raffronto degli arrivi nell'ultimo decennio, le
differenze fra nord e sud, le percentuali di presenza
nelle attività lavorative.
Capitolo
IV Racconti migranti
4.1 La vita di
Salah Methnani
Nasce a Tunisi nel 1963 e trascorre l'infanzia e
l'adolescenza in collegio, a causa della separazione dei
suoi genitori. Si iscrive alla facoltà di lingue quasi
per caso, scegliendo come lingue di studio l'inglese ed
il russo, non l'italiano, che imparò guardando i
programmi trasmessi dalla televisione satellitare, ogni
venerdì pomeriggio.
Dopo la laurea, che scoprirà in seguito non essere
riconosciuta valida in Italia, il desiderio di emigrare
dalla Tunisia si faceva sempre più pressante; decide di
iniziare il suo viaggio in Italia, dalla Sicilia, forse
perché gli dava la sensazione di essere più vicino a
casa.
Le motivazioni che lo spingono ad emigrare non sono
chiare: "Sto partendo come un emigrante nordafricano
o come un qualsiasi ragazzo che vuole conoscere il mondo?"
.
Dopo anni di clandestinità, finalmente regolarizza la
sua condizione di clandestino e decide di rimanere in
Italia, dove vive dal 1992 a Roma, zona Trastevere,
impartendo lezioni di arabo e francese e facendo
traduzioni.
4.2 I preparativi per il viaggio
La decisione di intraprendere il viaggio verso
l'Occidente viene motivata dal protagonista dal grande
senso di oppressione che il suo paese, la Tunisia,
suscita in lui.
"Il desiderio di evadere crebbe di giorno in giorno.
A Tunisi mi sentivo soffocare. Io sognavo di andarmene
prima o poi. In molti ragazzi come me il mito
dell'Occidente era grandissimo" .
Una mitizzazione che si era accresciuta negli anni, a
causa di un continuo bombardamento di informazioni
provenienti dalla televisione, dai conoscenti che avevano
amici o parenti in Italia ed infine dagli stessi italiani
che per diversi motivi risiedevano a Tunisi.
Il primo contatto che Salah Methnani ha con l'Italia è
durante una breve visita in Sicilia, nelle città di
Trapani e Palermo, a differenza di alcuni amici, non
acquista nulla, ma visita chiese e musei e si reca al
cinema.
"Quando tornammo a Tunisi, i nostri amici si
scandalizzarono. Dicevano -siete andati in Italia e non
avete comprato niente- Anche mia madre era piuttosto
delusa. Io non capivo perché un ragazzo tunisino non
poteva andare in giro, in un paese straniero e
comportarsi come voleva." .
4.3 Le tappe del viaggio
4.3.1 Mazara del Vallo
Il viaggio intrapreso da S. Methnani inizia con
l'attraversamento del Mar Mediterraneo in aereo e il
successivo atterraggio all'aeroporto di Trapani. Il
trasferimento verso il paese di Mazara del Vallo distante
pochi chilometri avviene con l'autobus e come lui stesso
nota, è l'unico nordafricano presente; questo non è di
ostacolo alla conoscenza di due ragazzi del luogo, Carmen
e Fabio che gli danno utili informazioni sul paese e
sulla regione stessa: "Lei diceva che il Sud
d'Italia è molto povero e arretrato, e che i ragazzi,
anche qui, sognano di andare via per vivere in maniera più
libera" . Il protagonista si chiede se la voglia di
viaggiare e di conoscere posti nuovi sia, allora, comune
ai ragazzi di tutto il mondo.
A Mazara del Vallo alloggia all'Hotel Mediterraneo, dalle
tariffe un po' troppo alte per le sue possibilità
economiche, ma per il momento è l'unica possibilità che
gli si presenta; qui conosce due connazionali che
lavorano per l'albergo, durante la conversazione essi lo
rendono partecipe della loro soddisfazione per aver
trovato un lavoro sicuro e così poter guadagnare uno
stipendio mensile.
Dopo aver sistemato i bagagli nella camera, decide di
fare una passeggiata per le vie della città.
Attraversando il paese l'attenzione cade su alcuni
manifesti di colore viola: "Sulle porte di casa, ci
sono strani manifesti color viola. C'è scritto : - Per
mio figlio- oppure -Per mia madre-. Fabio e Carmen mi
spiegheranno poi che è un'usanza locale per ricordare i
morti. A me sembrano inviti per una festa" . Questo
è un primo contatto con una cultura diversa dalla
propria.
Il suo cammino lo conduce sul lungo mare, dove nota
diversi gruppi di persone che sedute sulle panchine
parlano fra loro; scorge, vicino al porto, più scostati
rispetto al gruppo di italiani, alcuni ragazzi
nordafricani, anch'essi chiacchierano fra loro.
La ricerca di un lavoro si rivela molto più difficoltosa
di quanto avrebbe sperato; Salah offre il suo aiuto al
porto, nei bar e nelle pizzeria, ma sembra non esserci un
posto per lui: "Passo il pomeriggio disteso sul
letto della mia stanza.Penso a Labari. Non so cosa devo
fare. Comincio a sentirmi come lui, un disgraziato, per
di più un clandestino, in un paese che volentieri
farebbe a meno di me. Dovrei uscire, scuotermi: cercare,
almeno, una sistemazione più economica
non me la
sento di fare niente."
La nostalgia e l'apatia stanno prendendo il sopravvento,
ma per fortuna la presenza sul territorio di un ritrovo
di tunisini, in via Bagno, lo fa sentire un po' più
vicino a casa; al suo interno alcuni giocano a carte,
altri fumano il narghilè, altri ancora discutono fra
loro di vari argomenti.
I giorni scorrono lenti e tutti uguali, e la speranza di
trovare un'occupazione diventa sempre più flebile. Salah
prende la decisione di trasferirsi in un città più
grande: Palermo.
4.4.2 Palermo
Il capoluogo siciliano è raggiunto con il treno, e non
può non attirare la sua attenzione la grande presenza di
nordafricani che vagano all'interno della stazione;
all'esterno, invece, l'impatto visivo è negativo:
"La città ha un aspetto sporco e confuso: è come
se la povertà ed il disordine si fossero attaccati ai
muri, all'asfalto, all'aria. Gli immigrati gironzolano
fra via Roma e il piazzale antistante la stazione in
gruppi di tre o quattro: galleggiano nello spazio privo
di direzione, di una meta. Sento un'onda di desolazione
attraversarmi. E' un'onda lieve, attutita per ora."
Per la notte riesce a prenotare una stanza in una
pensione vicino al quartiere popolare della Vucciria;
l'appartamento si trova al terzo piano ed è composto da
tre stanze con quattro posti letto più un bagno, i
proprietari sono un uomo ed una donna sulla sessantina
Trovata una sistemazione, decide di recarsi in centro
città, che, questa volta, viene descritto come una zona
molto viva, ricca di bancarelle, di sale giochi e di
traffico, subendo una trasformazione attorno alle dieci
di sera, quando le persone si ritirano nelle loro case,
rendono la città deserta, vi sono solo le automobili per
strada; il cammino prosegue attraversando strade e vie
percorse abitualmente da altri immigrati, cioè quello
che conduce alla stazione.
Le mattine seguenti si desta molto presto, verso le sei,
ed inizia la sua ricerca di un lavoro. Approda al mercato
ortofrutticolo, dove prende in affitto un carrello e
aiuta venditori a caricare e scaricare le merci, ma a
fine giornata il guadagno è minimo.
La situazione lavorativa è sempre precaria, l'unica
soluzione è quella di trasferirsi in un'altra città:
Napoli.
4.3.3 Napoli
Arrivato nella città partenopea, lo pervade la
sensazione di familiarità con il luogo, quasi si
sentisse in Tunisia, forse questa sensazione è
determinata dalla grande presenza di nordafricani nei
pressi della stazione. Il primo impatto con la città è
gradevole: "Benché sia autunno inoltrato, il tempo
è bello e c'è ancora luce. Mi metto alla ricerca di una
pensione. Per le strade, c'è un'atmosfera concitata,
nervosa. Tutti gli alberghi intorno alla stazione sono
zeppi. Vicino piazza Garibaldi, i bar sono popolati solo
da nordafricani."
Tutti gli alberghi visitati fino a quel momento sono al
completo, deve continuare la sua ricerca; lungo il
tragitto si imbatte in quello che definisce come "il
quartier generale dei miei connazionali" , cioè un
bar di via Mancini; dalla parte opposta scorge un palazzo
con appeso sul muro un cartello, che reca una scritta in
arabo, non tradotta in italiano, che vieta di sostare
davanti all'edificio.
Finalmente trova una pensione dove pernottare, l'Hotel
Maddalena; è un grande appartamento di una ventina di
camere con due soli bagni, nella stanza manca persino la
corrente elettrica e le coperte sono molto rovinate; al
senso di delusione provato per la sistemazione, subentra
un sentimento di rassegnazione
La curiosità e il bisogno di lavoro lo spingono verso la
periferia, a Villa Literno, che un'ora di viaggio da
Napoli; "C'è molto traffico. Pare di essere su un
mezzo che serve per attraversare il deserto. Fuori dei
finestrini, l'hinterland napoletano ha l'aspetto di un
gourbi, che in arabo significa più o meno baraccopoli"
.
Il paese è molto piccolo vi sono una piazza e due
strade,ma per ciò che concerne il lavoro, non vi sono
molte possibilità, "si può giusto dar da mangiare
al bestiame e fare qualche minimo lavoretto nei campi"
.
Parlando con alcune persone del luogo, viene a conoscenza
di un avvenimento accaduto alcuni giorni prima,
l'omicidio di un ragazzo di colore, così riesce a
spiegarsi la sensazione di tensione che lo aveva
accompagnato sin dal suo arrivo.
Ritorna a Napoli, ma dopo qualche giorno passato
nuovamente alla ricerca di un lavoro, decide di
rimettersi in viaggio verso la capitale: Roma.
4.3.4 Roma
Quando arriva nella capitale, pur non conoscendo la città,
prova da subito un sentimento di familiarità con il
luogo, forse determinato dalla conoscenza, almeno
libresca e scolastica, dei monumenti più famosi di Roma:
il Colosseo, Piazza Navona, la scalinata di Trinità dei
monti.
A differenza dei posti precedenti Salah si sente
attanagliato da una forza nuova; vuole cambiare qualcosa
di se stesso, vuole allontanare quell'immagine di
clandestinità, che lo aveva accompagnato fino a quel
momento. Visita, come un qualunque turista, i Musei
Vaticani e la Cappella Sistina.
"Non voglio più essere dominato dall'immagine di
clandestino cui sono negati piaceri e desideri. Non
voglio più sopravvivere. Ora, mi prometto, sarò me
stesso per intero."
Il consueto pellegrinaggio inizia per le vie della città,
via Giolitti, via Marsala, via Cernia, per giungere alla
stazione, consueto ritrovo di immigrati.
Non avendo trovato un alloggio dove poter dormire e non
avendo alternative migliori, gli viene consigliato da un
connazionale, di salire su di un treno e di utilizzarlo
come rifugio notturno:
"Il treno che i connazionali chiamano el fajaa (vuol
dire angoscia, pericolo), è l'ultima alternativa alle
pensioni e ai centri di prima accoglienza. Tutti e cinque
i miei compagni hanno un biglietto per ritiro bagagli nel
deposito di Termini, così passano subito all'interno
della stazione. Io aspetto il momento propizio per
scivolare indisturbato davanti al gabbiotto dei
ferrovieri. Un po' di folla e via, dentro." .
La notte trascorre senza problemi, anche se il risveglio
è imposto dagli addetti alle pulizie ferroviarie,
all'alba.
Nonostante il desiderio iniziale di mutare la propria
condizione, la realtà costringe Salah a vivere come
tutti gli altri immigrati, compiendo quotidianamente gli
stessi gesti, che divengono così consuetudine: "la
mattina ci si ritrova per la prima colazione, al centro
di Piazza Bologna, poi al colle Oppio per il pranzo, una
doccia nel pomeriggio in via Marsala, e così via."
. Impara a riconoscere i luoghi nei quali si danno
appuntamento gli stranieri, rispettando le rigide
distinzioni territoriali, imposte dall'origine etnica e
dalla provenienza regionale, divisioni superate per la
preghiera del venerdì quando, tutti insieme, si
ritrovano al centro islamico di piazza Ungheria.
Si sono venuti a creare dei confini topografici ideali
con delle regole interne, la cui non osservanza
porterebbe a delle conseguenze molto gravi.
L'occupazione lavorativa continua ad essere precaria, il
non trovarla suscita in Salah molta preoccupazione ed
inquietudine, tanto che, durante un momento di sconforto,
afferma che Roma sia una città stupenda, ma "terribilmente
inconoscibile. Ti avvolge in una strana malia, in una
dimensione soffice e notturna che ti nega di penetrarla .
E' diversa da Tunisi: qui ogni cosa ti pare distante, a
una perversa distanza" .
E' forte il senso di solitudine che lo attanaglia e per
la prima volta prova un grande desiderio di allontanarsi
dalle storie di emarginazione e povertà che solitamente
si acuiscono quando entra in contatto con i suoi
conterranei.
Nei giorni successivi, la sua curiosità lo spinge verso
il centro della città, dove ritrova un mondo
apparentemente diverso da quello conosciuto fino a quel
momento; ai suoi occhi appare una territorio molto
sporco, abitato da persone che sembrano sempre
indaffarate e che trasmettono allegria.
Trascorrono i giorni e la città sembra assumere
connotazioni diverse dal giorno del suo arrivo, è sempre
meno accogliente e si percepisce un diffuso senso di
intolleranza nei confronti degli stranieri. La tappa
successiva del viaggio è Firenze.
4.3.5 Firenze
La città di Firenze è una città prevalentemente
turistica, ne danno testimonianza gli ostelli occupati da
visitatori provenienti da tutta Europa.
La stazione è quasi deserta, non si scorge la presenza
di immigrati come nelle stazioni delle altre città; un
connazionale che gli spiegherà in seguito, che la causa
di tale situazione è la presenza delle forze di polizia
che svolgono controlli molto rigorosi; infine gli indica
come ritrovo abituale dei tunisini, la pizzeria da
Franco, dove avrebbe potuto riceve un aiuto in caso di
bisogno.
Sente crescere in lui un senso di forte demotivazione che
lo portano a rivalutare la fiducia che aveva riposto
nelle terre occidentali, "tutto è diventato normale
e indifferente. Scivolo lungo una strada che non conduce
da nessuna parte, ma non importa. Importa solo andare
avanti, aprire gli occhi e chiuderli a notte inoltrata.
Ho superato la soglia della disperazione e dello stupore.
Mi sento un palloncino che vola di qua e di là." .
Per la disperazione cede all'allettante proposta,
suggeritagli da un suo vecchio amico Moncef, di
guadagnare soldi facilmente spacciando eroina; lui stesso
lo indirizza verso le zone frequentate abitualmente dai
tossicodipendenti: la via Panzani, fra la pizzeria Franco
e la Pasticceria Somigli, poi piazza Indipendenza e viale
Strozzi.
Le aspettative nei confronti della città di Firenze
ormai sono tutte deluse, e dopo giorni di vendita di
stupefacenti e di incontri con personaggi meno fortunati
di lui: "lascio Firenze con un senso di nausea che
è diventata una seconda pelle" , la città lo ha
profondamente deluso poiché lo stava trasformando in una
persona che possedeva caratteristiche che lui stesso
aveva sempre aspramente criticato negli altri.
Amareggiato parte dal capoluogo toscano.
4.3.6 Padova
Ancora sul treno osserva un paesaggio molto differente
rispetto a quelli visti precedentemente: "E' una
campagna ordinata, fa pensare a un lavoro paziente. Ogni
tanto viene giù una pioggia intermittente che da una
grigia brillantezza al paesaggio. Le nuvole sono basse, a
perdita d'occhio: è un campo lunghissimo di forme in
continuo movimento" .
Le conoscenze di Salah sulla città di Padova sono
scarse, ma positive, molti connazionali gli avevano già
preannunciato che era una terra ricca di opportunità per
tutti.
Sceso dal treno, invece, lo colpisce il grande freddo e
la desolazione che la domenica pomeriggio porta con se;
la città è bella, anche se un po' "spettrale"
, la poca gente che si incontra lungo la via ha fretta,
tanto che nessuno si guarda in faccia.
Nonostante la grande distanza da casa, prova un
sentimento di vicinanza alla sua terra e a se stesso,
come era successo già a Palermo e a Mazara, l'unica
differenza è che a Padova tutto sembra più ordinato e
meno caotico.
La mattina presto esce dall'albergo e si dirige al
mercato ortofrutticolo di via Tommaseo, dove sembra
regnare la pace e la tranquillità e non il caos, che
aveva caratterizzato i mercati del Sud; ma anche qui è
difficile poter trovare lavoro, anche se per altri
motivi, infatti per essere assunti occorre un regolare
permesso di soggiorno.
Abbandonata l'idea di un lavoro tra le bancarelle, ha
l'opportunità di divenire venditore porta a porta di
prodotti per la casa; occupazione che riuscirebbe anche a
soddisfare in parte, la curiosità nei confronti delle
abitudini degli italiani. Si reca in un bar del centro
per il reclutamento, dove ritrova molti aspiranti
venditori, fra cui numerosi nigeriani, ormai veterani del
mestiere. Riesce ad ottenere l'incarico e può così
soddisfare le sue curiosità:
"Si vedono mobili in stile antico un po'
approssimativo passati a lucido come nuovi.
Nell'ingresso, il solito tavolino con telefono e tanti
centrini. Alle pareti, litografie e calendari con nomi di
ditte famose e, più raramente complicati barometri le
cui lancette sembrano indicare lo stesso valore da sempre.
Mi piace sentire il profumo dei detersivi per i pavimenti
o essere costretto a mettere delle formine di feltro, che
servono a non rovinare la cera e rendono gli appartamenti
silenziosi come una moschea. In ogni salottino, c'è un
grande televisore: che troneggia su tutto come una
divinità domestica" .
Passano i giorni e Salah si rende conto che a differenza
di altri luoghi visitati, Padova non gli trasmette quella
sensazione di paura che in passato lo aveva costretto a
camminare rasente i muri, come era avvenuto a Villa
Literno; la giudica una città tranquilla, anche se in
alcuni momenti "ti guarda dall'alto in basso" ;
nonostante la serenità raggiunta decide ugualmente di
partire: destinazione Bologna.
4.3.7 Bologna e Torino
In realtà Bologna è una città solo di passaggio, perché
appena giunto alla stazione prosegue il suo viaggio verso
nord, vuole raggiungere Torino.
Il primo contatto con la città piemontese è
caratterizzato da un fenomeno atmosferico a lui
semisconosciuto, la nebbia:
"La nebbia avvolge le strade e i palazzi come una
bianca inquietudine" .
Dopo il primo stupore deve ritornare alla realtà e
ricercarsi un riparo per la notte:
"Ho lasciato la mia borsa al deposito bagaglio di
Porta Nuova. All'improvviso, avverto una stanchezza che
fa dolere le braccia e le gambe. Telefono all'ostello
della gioventù. Il posto c'è, ma fino alle diciotto
all'ostello è chiuso. Compro una mappa della città e mi
metto a studiarla. Strano: distesa sulla carta, Torino
sembra più incomprensibile. Le linee delle strade,
invece che dipanarsi in una possibile lettura, si
aggrovigliano, si contorcono fino a comporre una
ragnatela, un arabesco che non ha capo né coda." .
Getta la cartina, perché la giudicata di difficile
interpretazione; lungo il tragitto passa davanti ad una
vetrina che lo pone di fronte alla sua immagine, dimessa
e stanca; la reazione immediata è quella di darsi un
nuovo contegno, assumendo l'atteggiamento di un turista;
decide così di entrare al Museo Egizio, come avrebbe
fatto un qualsiasi gitante, ma all'interno del palazzo
prova un sentimento di inadeguatezza e di intrusione che
lo conduce all'uscita.
Dopo diversi giorni di pernottamento all'ostello crede
sia giunto il momento di cercarsi un lavoro e come era già
avvenuto in passato, la meta è il mercato
ortofrutticolo, che si trova presso Porta Palazzo.
Vi è una grande presenza di nordafricani tra le
bancarelle, alcuni aiutano i fruttivendoli ad accatastare
cassette di frutta, altri vendono spugne e accendini
negli angoli delle strade; anche Salah offre il suo
aiuto, ma purtroppo nessuno ha bisogno di lui.
Sconsolato decide di allontanarsi dal mercato e di
recarsi nel giardino antistante la stazione, ma viene
avvertito di non intrattenersi in quei luoghi da solo, a
causa di avvenimenti spiacevoli accaduti nei giorni
precedenti, alcuni ragazzi torinesi avevano picchiato tre
spacciatori nordafricani; l'invito si estende anche al
parco del Valentino, ritenuto anch'esso un posto molto
pericoloso per i ragazzi di colore.
Non avendo trovato un'occupazione, l'ostello diviene una
spesa troppo onerosa per Salah, che dunque decide di
trovare un alloggio meno costoso; si trasferisce presso
l'asilo notturno di via Ormea. "Nella mia stanza, ci
sono dodici brande. Ogni tre letti, però una specie di
separè in muratura che divide l'ambiente in piccoli
loculi rettangolari. In tutto, ci sono solo due bagni.
Per fare la doccia, al mattino, ci si deve mettere in
fila, così spesso finiscono col rinunciarci." .
Anche a Torino Salah, non riesce a provare quella serenità
e quella tranquillità, tanto ricercate; la soluzione che
gli si prospetta è quella di trasferirsi nuovamente,
verso il capoluogo lombardo.
4.3.8 Milano
A Milano la prima sensazione che colpisce Salah è la
stranezza del clima: una sensazione di freddo e caldo
percepita nello stesso istante.
La città da subito non lo entusiasma, anche se quando
era ancora in patria aveva immaginato l'Occidente proprio
come le strade di Milano.
" Quando in Tunisia avevo immaginato l'occidente ,
lo vedevo proprio così: vetrine scintillanti di negozi,
moquette rossa per le strade più chic, e un brusio fitto
ma in sordina di passanti, intenti a comprare oggetti di
buon gusto. Solo che a questa mia fantasia partecipavamo
al gioco
" .
Come consuetudine si reca alla Stazione Centrale, dove
scorge un gruppo di nordafricani seduti e sdraiati vicino
alla scala mobile.
All'uscita dalla stazione vede un cartello luminoso che
indica l'orario e la temperatura, che con suo grande
stupore segna i meno tre gradi centigradi, "non mi
era mai successo, credo, di trovarmi in un posto dove la
temperatura fosse al di sotto dello zero.Rabbrividisco
quasi per convenzione: l'aria è talmente umida e sporca
da rendere il freddo una sostanza densa e collosa."
.
L'alloggio viene trovato fuori città, a Lambrate, sul
cui territorio è presente una vecchia costruzione
disabitata, dal nome vezzoso, Cascina Rosa, ma
dall'aspetto tutt'altro che gradevole. Sgomberata più
volte dalle forze dell'ordine, è stata sistematicamente
rioccupata dagli stranieri, che vi hanno collocato anche
un caffè, un ristorante ed una moschea. Rigide regole
ordinano la vita di questa comunità, fra cui il divieto
di portare alcolici e droga.
Ovviato il problema dell'alloggio, per soddisfare la fame
si reca alla mensa gestita da frati, di via Maroncelli,
dove consegnano il cibo in buste di plastica.
Per guadagnare qualche soldo si improvvisa venditore
ambulante comprando alcuni accendini da un altro ragazzo
e rivendendoli presso le fermate della metropolitana,
dove avrebbe trovato una maggiore frequentazione di
persone.
A Milano, per distrarsi e passare qualche ora di serenità,
si reca al centro sociale di via Tadini, dove ogni sera
si organizzano discussioni che vertono su argomenti
diversi; l'unico ostacolo per la comprensione totale dei
discorsi è quello che questi avvengono in una lingua a
lui sconosciuta: il wuluf.
Con il passare del tempo la partecipazione alle riunioni
è caratterizzata da un senso di disagio: "Il fatto
è che non soltanto sono stufo di assemblee e di
chiacchiere (in Wuluf, per giunta), ma sono stanco anche
dei nostri problemi. E dei nostri diritti. E dei nostri
doveri. Anzi, per la precisione, mi sono rotto di tutti
gli immigrati del mondo. Non sarà bello pensarlo, ma io
vorrei tornare a frequentare persone qualsiasi, al di là
del colore della pelle, o del suono dei suoi dialetti."
.
Queste sono le ultime parole prima del ritorno in Tunisia
da parte di Salah Methnani,dopo aver ottenuto il permesso
di soggiorno.
4.4 Radici e radicamento
Salah Methnani parte dalla Tunisia, dopo aver ottenuto la
laurea il lingue e letteratura straniera, per migliorare
la propria condizione personale.
Il viaggio viene intrapreso da solo e durante il
soggiorno in Italia instaura pochi e deboli legami con
gli italiani; conosce casualmente sull'autobus due
ragazzi del luogo, Fabio e Carmen, che possono essere
indicati come elementi catalizzatori, perché gli
forniranno informazioni utili per meglio conoscere il
luogo nel quale si trova: "dicono che per me sarebbe
meglio tentare di cercare lavoro in una città più
grande" , ma purtroppo sono gli unici legami che
instaura.
Il suo itinerario è molto esteso, comincia dalla Sicilia
per terminare in Lombardia, attraversando tutte le
maggiori città italiane; questo avviene perché Salah
non riesce ad instaurare con il luogo un legame profondo
di appartenenza; in ogni città prova un sentimento di
estraneità: "Io guardo tutto e tutti come se ci
fosse un diaframma di vetro fra me e l'esterno." ,
aggravato da un forte senso di solitudine: "ogni
tanto vorrei parlare con qualcuno" .
Durante il racconto, Salah esprime più volte il
desiderio di divenire insider, quindi di ridurre
l'isolamento con il luogo, di imparare ad orientarsi, ed
instaurare un certa familiarità con il posto in cui vive.
Purtroppo non riuscirà mai a sentirsi a casa: "Certe
volte penso che questo mio strano peregrinare per
l'Italia non abbia altro senso che andare, andare e non
guardarsi indietro. I nomi delle persone sono talmente
uguali, da dissolversi in un'unica scia priva di centro."
Vi è una certa delusione anche per ciò che ha visto
fino a quel momento, l'immagine di un occidente dorato
muta a contatto con la realtà e i contrasti sembrano
accentuarsi soprattutto a Milano dove riscontra due mondi
in contraddizione fra loro, un centro città ricco e
bello ed una periferia povera e desolata.
Il viaggio affrontato da Salah Methnani può essere
interpretato anche come un viaggio alla ricerca di se
stesso.
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