LA STORIA DEL COLLEZIONISMO ESTENSE

«Quasi tutti i più importanti musei d'arte dell'Europa occidentale e del Nord America possiedono almeno un esemplare della scuola ferrarese di pittura... Ciò che è rimasto della pittura ferrarese [è ormai] sparso in oltre centoventicinque città e fuso in più di trecento tra musei, gallerie, chiese e collezioni private...» Così si apre il capitolo dedicato allo "Stile cortigiano nelle arti visive" nel suggestivo testo del 1973 in cui lo studioso Werner Gundersheimer individua nella “magnificenza” uno degli elementi fondamentali dello "stile del potere" della casata degli Este, a cominciare da Niccolò d’Este (1393-1441) e dai suoi figli: Leonello, Borso, ed Ercole. Leonello (1441-1450) commissionò arazzi e medaglie, codici miniati e la decorazione dello studiolo di Belfiore. Alla continua ricerca d’espressioni di “magnificenza”, Borso (1450 – 1471) fece miniare la bellissima Bibbia e si fece ritrarre negli affreschi del salone dei mesi di Schifanoia, dipinti da un gruppo di pittori tra i quali Francesco del Cossa e forse Ercole de Roberti. Con Ercole I (1471 – 1505) Ferrara divenne una delle principali città d'Europa e raddoppiò quasi le sue dimensioni con la celebre Addizione erculea progetto di città ideale dell'urbanista Biagio Rossetti grazie al quale Ferrara è stata definita la prima città moderna d'Europa. Alfonso I (1505-1534) fu collezionista eccezionale, arricchì il Castello Estense dei bassorilievi di Antonio Lombardo, dei Baccanali di Bellini, Tiziano e Dosso Dossi. Ercole II (1534-1559) promosse l’edificazione di residenze per lo svago e il cerimoniale, le delizie, e commissionò raffinati oggetti come la cosiddetta Arpa estense del 1558, decorata da Bastianino, il pittore che diventò, nella seconda metà del Cinquecento, il più attivo alla corte estense d’Alfonso II (1559-1597).

Ma il patrimonio che costituiva il tessuto connettivo della città, a causa delle complesse vicende storiche di Ferrara, fu lentamente smembrato, dando origine a quell'enorme «museo diffuso» cui accenna Gundersheimer nelle righe appena menzionate e di cui trattano, inevitabilmente, tutti i testi di storia artistica della città. A Parigi, a Londra, a New York, ma anche a Miami, Ottawa, Los Angeles musei lontani e, talvolta, lontanissimi dall'Italia, conservano testimonianze della civiltà figurativa di Ferrara. Basta localizzarli in una immaginaria mappa geografica per rendere evidente la vastità del percorso compiuto dalle opere d'arte prodotte nella città estense. Fu un percorso che conobbe, insieme, brusche accelerazioni e momenti di stasi e dove si mescolarono indistricabilmente mercato e conoscenza critica, sensibilità artistica e avidità di guadagno.

L'anno discriminante da cui ebbe inizio questa lunga migrazione è il 1598, quando la duchessa d’Urbino, Lucrezia d’Este e il cardinal Pietro Aldobrandini, firmarono a Faenza la convenzione che decretava il ritorno di Ferrara sotto il diretto dominio Pontificio ed il conseguente esilio verso Modena della corte con la quale se ne andarono anche dipinti, sculture, antichità, medaglie, ceramiche, strumenti musicali, codici miniati, libri, arredi collezionati in tanti anni di governo della città. I tesori che Cesare d’Este non riuscì a ricoverare in luoghi sicuri a Ferrara o a portare in fretta a Modena ebbero altra sorte. Le prime spoliazioni avvennero nel Castello estense: i Baccanali di Giovanni Bellini, Tiziano, Dosso Dossi, tele che adornavano uno dei camerini degli appartamenti di Alfonso I, furono subito inviati a Roma, come pure accadde ai dipinti di Bellini, Tiziano, Dosso, Garofalo, Ortolano, Mazzolino, Girolamo da Carpi che entrarono nelle collezioni dei cardinali romani. Il silenzio dei due successivi secoli del dominio pontificio è rotto soltanto da documenti grazie ai quali si intravede un'intensa attività collezionistica che coinvolge non soltanto i Cardinali Legati, ma anche l'aristocrazia cittadina. Ma il mercato dell'arte è pur sempre ancora limitato all'interno di Ferrara.

Solo col regime napoleonico un vero e proprio terremoto sconvolge la silenziosa e addormentata quiete della città. Nel 1797, a seguito delle soppressioni di chiese e conventi voluta dalla politica napoleonica, viene istituito un Comitato per i beni ecclesiastici soppressi e le opere requisite sono in parte vendute e acquistate da privati ed in parte inviate, nel 1811, alla pinacoteca di Brera a Milano. Il rivolgimento istituzionale stimola il collezionismo della nuova classe emergente ferrarese che accumula arte per investimento, ma anche per conservare il ricordo di un magnifico passato, basti pensare alle grandi raccolte di Giambattista Costabili, Antonio Massari, Giovanni Barbi Cinti. Inizia il tempo fervido del grande collezionismo ottocentesco: i conoscitori e gli esperti d'arte confluiscono a Ferrara da tutta Europa acquistando opere per i nuovi musei di mezzo mondo e spartendosi quel che resta della grande tradizione figurativa della città. E così una nuova e poderosa dispersione allontana migliaia di opere delle collezioni Santini, Massari-Zavagli, Saroli-Lombardi, Riminaldi, Canonici, Barbi Cinti, Testa, Cavalieri.

La creazione nel 1836 della Pinacoteca cittadina, ad opera della parte più illuminata della cittadinanza, tenta di contrastare la dispersione, l'alienazione o la vendita di queste raccolte, secondo un progetto di grande valore civico, ma non riesce ad impedire la grande " diaspora" e non è sufficiente ad ostacolare la partenza di tesori come la Madonna con il bambino San Giorgio e sant’Antonio abate di Pisanello e l’Adorazione dei pastori e il Cristo risorto di Ercole de Roberti che nel 1856 e nel 1858 passano, dalla collezione Costabili alla National Gallery di Londra.

Nel 1905 lo Stato acquista opere provenienti dalla collezione Santini poi disperse tra la Galleria estense di Modena, la Pinacoteca di Brera e la Pinacoteca di Bologna.

Negli ultimi cinquant’anni si è verificato un costante ritorno di opere nella Pinacoteca Nazionale di Ferrara grazie ad acquisti donazioni e depositi come le donazioni Vendeghini Baldi (1973), Valli (1977) e buona parte dei dipinti della collezione Massari donati dalla Fondazione Cassa di Risparmio (1984) la quale nel 1992, acquista insieme allo Stato ciò che rimane della collezione Sacrati-Strozzi. Sono rientrate a Ferrara, insieme con altri pezzi di grande valore storico artistico, due Muse dello Studiolo di Belfiore, forse l’esempio più alto della stagione culturale della dinastia degli Este.