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La crisi e le scelte coraggiose
Archivio legislatura 2009 - 2014
Ritengo che sia necessario fare una profonda valutazione di quale sia la portata di questa crisi, poiché non è detto che i soli aiuti statali ad aziende e banche e i tagli sulle imposte alle aziende (nei paesi dove ciò si sta facendo veramente) risolvano la situazione. Ovvero, la ripresa che già sembra registrarsi potrebbe anche essere fittizia e di breve durata, mentre credo che quanto accaduto sia una forte spia che indica che il motore non funziona più con la solita benzina ma che è necessario apportare quelle modifiche strutturali che consentano l’uso di carburanti completamente diversi.
Infatti oggi emerge che nei bilanci delle più grosse banche americane di investimento, si stiano già creando dei grossi utili, che nascono dall’utilizzo di prodotti derivati, gli stessi che hanno contribuito a creare la bolla speculativa scoppiata con il default Lehmann Brother.
Invece le banche americane che operano come banca classica con prestiti ai privati, come Bank of America, mostrano nei recenti bilanci, tutta la fragilità e la criticità di questa crescita, per l’aumento dei casi di insolvenza dei privati stessi. Dati e riflessioni riportate negli editoriali del Sole 24 ore come quelli di Walter Riolfi, o da Richard Fisher della Fed, che esprime molti dubbi su quanto accadrà tra 2010 e 2011 a causa della forte tendenza all’indebitamento dei privati che non rinunciano al consumismo. Spingere al consumismo e all’indebitamento per soddisfarlo, come ricetta per uscire dalla crisi porterà probabilmente ad una nuova bolla speculativa.
Serve una riforma strutturale dell’economia, come sottolinea Mario Draghi affermando “Con la crisi i problemi di struttura della nostra economia si sono fatti più urgenti”, ancora preoccupato per la sofferenza delle aziende italiane nonostante la ripresa. Ma al di là dell’Italia la riforma dovrebbe essere di portata mondiale e dovrebbe mettere in discussione in generale il sistema capitalistico così come è oggi, basato sul concetto dello sviluppo continuo su di un pianeta a risorse limitate, contraddizione in termini, su di una produzione fondata ancora in gran parte sullo sfruttamento di mano d’opera a basso costo, spesso non qualificata (nei paesi emergenti), corsa al ribasso del prezzo tramite abbassamento della qualità, sfruttamento delle risorse dei paesi poveri, il sistema di una finanza priva di controllo da parte degli stati, che arriva a creare tali cortocircuiti, in generale un sistema che depreda e produce inquinamento.
Analizziamo tutto ciò punto per punto.
Se il capitalismo pare essere per ora l’unico sistema sperimentato che effettivamente crea ricchezza nei paesi che via via lo adottano, anche se a costo di un iniziale scontro tra classi per le disparità che crea, forse non è lui il male quanto i meccanismi non regolati che ne fanno parte. Anzitutto necessiterebbe di una programmazione della produzione economica di lunga, lunghissima durata, che consenta di muoversi in mercato concorrenziale e libero al suo interno, ma rispettando gli obiettivi finali e i principi che devono regolarla, la quantità e l’uso delle risorse disponibili, il calcolo dell’inquinamento massimo che si può produrre, lo standard di ricchezza che si deve mantenere o ottenere. Insomma una sorta di PSC dell’economia, seguito da piani di programmazione più brevi che segnalino quali sono i settori produttivi più convenienti in cui investire o quali gli ammodernamenti richiesti alle industrie per essere concorrenti sul mercato. Ricerca scientifica e produzione economica dovrebbero lavorare affiancate, poiché nella previsione di esaurire delle risorse naturali le aziende dovrebbero orientarsi su materiali sostitutivi, per quanto possibile.
La principale voce di investimento di questa programmazione dovrebbe poi essere quella sulle risorse intellettuali dei paesi, poiché in un pianeta dalle risorse limitate, la conoscenza è l’unico bene che, in quanto astratto, è veramente illimitato, o quanto meno ancora tutto da scoprire nelle sue reali potenzialità. La ricerca dovrebbe essere sia sponsorizzata dall’industria, per dare risposte a richieste specifiche del sistema produttivo, sia in maggior parte essere finanziata dallo stato ed occupare una consistente voce del PIL, per essere libera e trainante essa stessa di soluzioni nuove da applicare all’industria. Ma le risorse intellettuali hanno due nature: da un lato il cervello, dall’altro la persona che lo possiede. E’ necessario che l’Italia in particolare comprenda l’importanza di valorizzare finalmente le menti del suo paese, la grande cultura di cui è portatrice, i suoi giovani, forse frustrati come quelli che vivono nelle ex dittature sudamericane. Se un economista come Tito Boeri è arrivato a scrivere un libro dal titolo “contro i giovani”, argomentandovi come questo paese si accanisca contro di noi, allora significa che la situazione è grave, e che non per forza l’economia si debba esprimere attraverso lo sprezzo della persona.
Si dovrebbe comprendere, soprattutto nel nostro paese, che mettere i cervelli davanti all’interesse e non al suo servizio, porterebbe portare nuovi introiti e nuove forme di economia inaspettate.
Per un mercato che oggi deve essere sostenibile le innovazioni introdotte attraverso la ricerca dovrebbero seguire l’obiettivo della diminuzione dello spreco delle risorse, dell’ottimizzazione dei consumi di materia prima ed energia, del riciclo e dell’invenzione di sostanze sempre meno inquinanti. Se ogni paese ricco della terra si sforzasse di finanziare abbondantemente questo tipo di ricerca, sono sicura che si troverebbero tante soluzioni in più rispetto ad oggi, dove i paesi trainanti e con una reale coscienza ecologica sono pochi.
Il sistema produttivo dovrebbe anche preoccuparsi di semplificare la complessità del mercato di oggi, eliminando tutte le sue contraddizioni i suoi giri tortuosi, gli inutili passaggi tra produttori, grandi distributori, dettaglianti, consumatori, che comportano aumento dei costi al dettaglio e diminuzione dei guadagni per i produttori, infiltrazioni mafiose nei sistemi di distribuzione, e sfruttamento del lavoro per sostenere una competitività insostenibile. Si pensi al pomodoro Pachino, prodotto in Sicilia, confezionato in Campania e rivenduto a prezzi molto alti ai siciliani, negli stessi luoghi in cui si produce! Questo spreco di risorse sui trasporti e l’inquinamento inutile che ciò produce, fanno capire come sia necessario tornare anche a mercati tradizionali in cui il produttore locale vende sui mercati locali il proprio prodotto, contenendo i costi per i consumatori, mantenendo un prezzo di vendita per lui remunerativo e non inquinando con inutili viaggi di mezzi pesanti. La filiera corta è oggi una delle soluzioni che spontaneamente i cittadini hanno creato per difendersi, attraverso associazioni (i GAS, gruppi di acquisto solidali), e i prodotti oggi così commercializzati stanno aumentando di varietà. Ridurre i passaggi dal produttore al consumatore può essere un efficace sistema per ridurre il costo dei prodotti e aiutare le famiglie, ridurre il ricatto sull’abbassamento dei prezzi operato dai troppi passaggi di distribuzione che sta rovinando l’agricoltura italiana, diminuire il controllo della malavita sui mercati.
Per quanto riguarda il discorso qualità, oggi il sistema produttivo italiano si sta rovinando su molti settori giocando al ribasso della qualità e del costo del lavoro ma non rinunciando a rivendere spesso a prezzi alti i suoi prodotti. Affidiamo ai laboratori cinesi le lavorazioni artigianali che tolgono lavoro ai laboratori italiani, servendo un sistema che dequalifica l’alta professionalità artigianale che distingueva il made in Italy. Certo non si può prescindere dalla presenza della Cina sul mercato, ma che allora questo suo ingresso in Italia avvenga secondo termini di garanzia rigidi quali: qualità della produzione e rispetto delle regole del lavoro e dei lavoratori, perché la sua concorrenza in termini di ribasso dei costi e uso di lavoro nero porta allo scadere del livello dei prodotti, alla chiusura delle piccole aziende italiane, e sempre più ricorso alla cassa integrazione, con un costo sociale alto per tutti. Molte aziende italiane dimostrano che lottando per mantenere standard di qualità alta, vengono premiate pur se in tempo di crisi, per questo ritengo che qualità, ricerca e formazione siano oggi imprescindibili e che la crisi economica non giustifichi tagli a queste voci, soprattutto in Italia dove il sistema produttivo andrebbe svecchiato utilizzando più lavoratori laureati, e che dovrebbe prevedere formazione anche per i dirigenti delle molte aziende di tradizione famigliare, dove per la maggior parte i figli dei fondatori ne prendono le redini, pur essendo spesso privi di adeguate competenze.
Insomma, sono necessarie scelte coraggiose, rivoluzionarie, controcorrente e un maggiore intervento dello stato per fare assieme agli imprenditori programmazione economica, per guidare l’economia in base a obiettivi e secondo principi di crescita non materiale ma umana, intellettuale ed etica. Bisogna valorizzare le risorse dei paesi, sia quelle intellettuali che quelle lavorative, rimettendo il valore del lavoro al centro dell’attenzione anche delle linee politiche dei partiti. Il lavoro deve essere uno dei mezzi di realizzazione sociale delle persone, anche attraverso quella stabilità economica che consente di programmare il proprio futuro. Deve essere un obiettivo etico di chi decide di fare impresa. E in quanto principio costituzionale deve essere un obiettivo per gli stati garantirlo a condizioni eque e in regime di sicurezza. Ritengo che anche i dipendenti di un’azienda dovrebbero partecipare agli utili dell’impresa con premi di produzione consistenti, nei momenti economicamente positivi, che possano sostenerli nelle fasi di crisi o in caso di chiusura della stessa, premiandone l’impegno quando vi sia merito. Non è giusto che lavoratori, imprenditori e amministratori delegati debbano partecipare tutti al rischio d’impresa (chiusura in caso di fallimento), ma partendo da posizioni tanto diverse e senza garanzie per i primi. Si pensi agli stipendi d’oro di supermanager d’azienda che mantengono i loro privilegi anche nel caso non ottengano risultati positivi. Le garanzie economiche per tutti gli strati della popolazione aiutano a mantenere la pace sociale. E questo vale tanto per gli imprenditori quanto per lo Stato che deve provvedere affinchè il suo welfare state garantisca fondi per gli ammortizzatori sociali per i lavoratori a rischio, i precari, i disoccupati.
Un’economia etica e progettata dagli stati e dagli attori del mercato (imprenditori, lavoratori, intellettuali-ricercatori, consumatori, politici) è la vera rivoluzione necessaria per uscire dalla crisi ed evitarne di future. Certo un nuovo sistema economico dovrebbe vederci d’accordo sull’arricchirci tutti un po’ meno, quindi è ancora lungi dal realizzarsi, ma credo che oggi il gioco alla creazione di disparità di ricchezza e sfruttamento di risorse a danno di altri sia ormai la vera utopia. Abbiamo innescato una bomba ad orologeria che sta per esploderci in mano e facciamo finta di non saperlo.