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Un altro punto di vista

Archivio legislatura 2009 - 2014
La crisi economica attuale si può guardare anche dal punto di vista delle persone più fragili e delle fasce sociali meno tutelate.
“La fila delle latrine, i mucchi di cenere, concime, immondizia,cadaveri di sorci e talpe, cenci, rifiuti, penne di polli, vecchi arnesi, avanzi di materassi sporchi… spessissimo l’unica fontana è inaccessibile per il cumulo di sporcizia che la circonda… i bambini vivono e giocano in mezzo a questo orribile semenzaio di malattia e corruzione… in cui contagi inconfessabili sono il naturale risultato.”
Questo è solo una parte di ciò che scriveva nel 1931 la giornalista americana Amy Bernardy descrivendo la vita in un “block” del distretto di Saint Louis abitato da Italiani emigrati.
Ogni volta che tocchiamo il tema dell’emigrazione, nei suoi molteplici aspetti, non possiamo dimenticare la nostra storia, né possiamo confondere questo tema così delicato col problema della sicurezza. Molte volte, direi troppe, negli ultimi tempi si è pensato agli stranieri soltanto come a una minaccia per la nostra sicurezza, per il nostro benessere: l’immediata conseguenza di questo atteggiamento è l’affermarsi di pregiudizi e stereotipi che impediscono un dialogo limpido ed onesto con i migranti, relegandoli così in condizioni che hanno provocato, provocano e provocheranno sempre illegalità e fenomeni di delinquenza. Occorre riflettere seriamente sul disegno di legge sulla sicurezza, n. 733, presentato a giugno dai ministri Maroni (Interno) e Alfano (Giustizia) e prendere coscienza del fatto che, per esempio, la nuova legge, prevede (art. 39, comma 1, lettera f. e art. 5) l'impossibilità giuridica per gli stranieri, che non siano titolari di un permesso di soggiorno in corso di validità, di contrarre matrimonio. Una chiara barriera ai matrimoni misti, in altre parole. Mentre infatti fino ad oggi per un cittadino extracomunitario era sufficiente il nulla osta del Paese d'origine, la nuova legge prevede "un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano". Il che significa limitare fortemente, nel Paese che del matrimonio fa la base delle relazioni umane, un diritto, introducendo una sottocategoria di umanità. Ancora un esempio significativo: l’art 45 ha stabilito per legge che gli immigrati extracomunitari, non dotati di valido titolo di soggiorno, non possono compiere atti di stato civile, cioè non possono (ad esempio) iscrivere i propri figli all'anagrafe. Figli di nessuno. Tutto ciò, ricordiamo, va contro la nostra Costituzione, che con l’art. 31, protegge l’infanzia, tutta, senza distinzioni.

Nell’ottica della nostra realtà territoriale, della concretezza quotidiana occorre porre attenzione ai due aspetti della famiglia e del lavoro.
LAVORO. Il primo passo da compiere dovrebbe condurci a superare una paura: quella che ci impedisce di riconoscere in pienezza l'uguale dignità sul lavoro degli immigrati. In realtà, per non pochi di noi essi sono visti come una minaccia, non solo perché considerati come uomini e donne che disturbano la tranquillità del nostro quieto vivere e del nostro paese, ma anche perché a noi "rubano" il lavoro. E se invece vengono accolti, rischiano di essere trattati come una forza lavoro a buon mercato, in particolare per quelle attività che noi ci rifiutiamo di compiere perché ritenute troppo faticose o poco dignitose, attività che essi spessissimo svolgono senza che sia garantita la sicurezza sul lavoro.
Bisogna allora prendere coscienza del fatto che l’immigrazione è essenziale per l’economia del Paese e per il sostegno alle famiglie, per il finanziamento del welfare e per l’attenuazione del processo di invecchiamento della popolazione.
E’ una nuova presenza che acuisce tutte le criticità dell’organizzazione sociale, da risolvere per il vantaggio di tutti. Per la sua natura strutturale e la sua caratteristica di stabilizzazione ci sfida sul terreno dell’integrazione sociale, culturale, dei diritti politici e di cittadinanza: è l’urgenza di politiche per assicurare una ordinata convivenza civile e la coesione sociale.

Partendo dal mercato del lavoro va sviluppata una iniziativa forte di integrazione degli immigrati, che è il modo giusto di coniugare solidarietà e legalità, di combattere xenofobia e razzismo.
Il diritto all’asilo politico, alla salute, allo studio sono riconosciuti dalla Costituzione come diritti della persona. L’entrata irregolare si contrasta non definendola un reato, ma con una politica nazionale ed europea di lotta alla criminalità e di sostegno allo sviluppo dei Paesi di origine.
In particolare, per gli immigrati va introdotto il permesso di soggiorno anche per la ricerca di lavoro e ne va prolungata, oltre gli attuali sei mesi, la durata in caso di disoccupazione. Dobbiamo avere ben presente che perdere il lavoro per un immigrato significa uscire dalla legalità, senza avere alcuna tutela né per sé, né per la famiglia che eventualmente risieda nel nostro paese.
Occorrono quelle riforme sul diritto di cittadinanza e sul diritto di voto che danno senso alla prospettiva di integrazione per chi ha deciso di restare stabilmente in Italia e soprattutto per le seconde generazioni.
FAMIGLIA. La famiglia è stata emarginata dalle politiche pubbliche spesso egemonizzate da un’etica individualistica, causa non ultima della crisi demografica, delle stesse difficoltà delle donne nel mercato del lavoro e della emarginazione della condizione degli anziani. Pertanto, a favore della famiglia vanno rivendicati interventi fiscali e di sostegno economico, soprattutto reti di servizi universali, una politica sociale della casa, nuove normative in materia di congedi familiari, anche per le patologie invalidanti e per le persone diversamente abili. In questo ambito sono particolarmente necessarie politiche di incentivazione e norme contrattuali che favoriscano il lavoro delle donne, immigrate e non, e impediscano la loro discriminazione in termini retributivi. Voglio ricordare con forza che queste stesse donne, con i loro figli sono le prime persone che pagano il costo di una separazione forzata, dell'esclusione dai diritti, della privazione per se stesse e per i propri familiari.
"Occorre, con una visione complessiva del fenomeno, guardare agli immigrati non solo come individui, più o meno bisognosi, o come categorie oggetto di giudizi negativi inappellabili, ma innanzitutto come persone, e dunque portatori di diritti e doveri: diritti che esigono il nostro rispetto e doveri verso la nuova comunità da loro scelta che devono essere responsabilmente da essi assunti. La coniugazione dei diritti e dei doveri farà sì che essi non restino ai margini, non si chiudano nei ghetti, ma - positivamente - portino il loro contributo al futuro della città secondo le loro forze e con l'originalità della propria identità". (Cardinale Dionigi Tettamanzi).
Vogliamo ricordare che una cosa è la scelta di un paese di mantenere le proprie regole, la propria dimensione e pretenderne il rispetto, altra cosa è giocare sull’ostilità preconcetta. Una cosa è perseguire i delinquenti, altra cosa è indurre a pensare che intere etnie siano composte da delinquenti.
Ancora di più dovrebbe valere per noi Italiani: dopo anni di stereotipi dovremmo ricordare sempre come l’arrivo dei nostri immigrati, con i loro fagotti, donne e bambini, sia stato accolto in passato da varie forme di razzismo.
Le stesse parole urlate che sentiamo dire oggi. Rievocano periodi bui, la grande paura, i barbari. La paura dell’altro, indegna di un paese civile.

Ferrara, 09/11/2009
Cristina Corazzari (consigliera comunale PD)








Ultima modifica: 30-01-2013
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