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Intervento in Consiglio Congiunto Comune/Provincia del 25/11/10
Archivio legislatura 2009 - 2014
25 novembre 2010 - Consiglio Congiunto Comune/Provincia
“Giornata internazionale contro la violenza alle donne”
Da un’ indagine della Casa Delle Donne Di Bologna apprendiamo questi dati: solo nel 2010 le donne uccise, ‘in quanto tali’, come afferma la stessa associazione, sono 115; 101 nel 2006; 107 nel 2007; 112 nel 2008; 119 nel 2009.
E ancora: in Emilia Romagna da gennaio ad ottobre sono 2540 le donne che hanno chiesto aiuto ai centri antiviolenza diffusi sul territorio regionale contro le 2371 del 2009.
Senza differenza di etnia, ogni contesto sociale è portatore del virus mortale della sopraffazione e della violenza alle donne: fisica, ma anche psicologica e verbale. Virus che ha un ulteriore effetto, non meno devastante: una sorta di assuefazione, di acquiescente indifferenza al reiterarsi di questi episodi.
Come siamo arrivati a questo punto? Siamo già al “non ritorno”?
E’ importante fare qualche riflessione al riguardo, il punto di partenza è la constatazione che le violenze fisiche e verbali rivolte alle donne, solo se gravi e particolarmente efferate suscitano sdegno e riprovazione, mentre la quotidiana reiterata ossessiva rappresentazione di un’immagine femminile mercificata e mortificata, fortemente irrispettosa e lesiva della dignità umana, passa quasi inosservata o viene considerata come eventualità non prioritaria, nemmeno degna di urgenza e attenzione; come accantonata tra le tante emergenze (politiche, economiche, ambientali , ecc. ecc.) che ci incalzano.
E’ urgente e prioritario, invece, affrontare con attenzione e consapevolezza questo argomento, perché è il nodo cruciale che determinerà, se condiviso nella sua emergenza, quell’inversione di marcia favorevole a farci uscire da questo tunnel di violenze e prevaricazioni. E’ un processo culturale, e in quanto tale lungo e faticoso, ma indispensabile se vogliamo contribuire a ricercare una possibile soluzione al problema.
Non c’è dubbio che il nostro Paese abbia fornito e fornisca un buon terreno di coltura nel quale la mercificazione del corpo femminile trova un bacino particolarmente fertile; il “megafono mediatico” non si risparmia in tal senso, e provvede a diffondere, scientemente o no, ma certo non disinteressatamente, una visione delle donne, ma anche della politica, dell’etica pubblica e delle istituzioni, inquinata e corrotta.
Fatti senz’altro gravi in sé, ma ancora non sufficienti a spiegare i motivi di tale violenza e in generale dell’attuale involuzione sociale.
Le nostre società occidentali, specialmente con le conquiste dei diritti espresse dai movimenti di emancipazione e liberazione femminile degli anni ’60 e ’70, hanno acquisito organizzazione e presupposti di uguaglianza fra i sessi, ed in tali contesti la percezione che le donne, giovani e meno giovani, hanno maturato su di sé non è più quella di vittime deboli e indifese, ma di persone libere e consapevoli (comprese quelle donne che, certe di fare scelte autonome e di disporre con autodeterminazione e liberamente di sé stesse, si mettono in vendita).
Ma, se è vero che i diritti e gli spazi che le donne hanno conquistato negli scorsi decenni sono garantiti da norme e leggi, come mai a questo garantismo non è corrisposta e non corrisponde un’adeguata rappresentanza di genere in tutti gli ambiti del “potere”?
Se è vero che le donne, attualmente molto più istruite e capaci degli uomini (non tesi arbitrarie, ma risultati di indagini precise), sono ai margini dello sviluppo civile e politico e sono le prime vittime della stagnazione economica e politica, evidenziando un immotivato spreco economico e sociale causato dalla loro emarginazione, perché non si rende urgente e prioritario, per la Politica e l’Economia, la focalizzazione di un intervento in tal senso?
Infine, se è vero che l’impegno sul fronte della conquista dei diritti civili ha portato a raggiungere ampi spazi e diritti di cittadinanza, perché adesso la loro voce non viene ascoltata e i loro obiettivi non coincidono con gli obiettivi che, con la stessa pari dignità di tutti gli altri e di tutte le altre emergenze, vengono perseguiti?
E’ di tutto questo che è necessario ragionare, con tutte le perplessità e le titubanze che un’analisi di questo tipo, anche se appena abbozzata, comporta.
Quindi: perché siamo così scarsamente rappresentate nei luoghi dove si decide?
La risposta, non la domanda, sorge spontanea: a parte poche eccezioni, la nostra classe politica non ha alcuna intenzione di farci spazio e rimane anzi strenuamente a difesa del proprio potere e delle proprie “fidelizzazioni”. Non sono escluse solo le donne, certo, ma la loro esclusione ha percentuali più alte, così come non è un fatto esclusivamente italiano! ma se in altri Paesi europei alla pressione dei movimenti delle donne ha corrisposto un ricambio generazionale e un’adeguata rappresentanza di genere, in Italia questo non si è verificato.
Se è un fatto acclarato che l’assenza di esercizio alla responsabilità politica è causa concomitante dell’attuale situazione di precarietà sociale ed economica, a maggior ragione l’assenza del coinvolgimento delle donne è uno “spreco” economico di cui dobbiamo essere tutte e tutti consapevoli, pertanto è doveroso prendere atto:
· che è un’emergenza Politica e
· che dobbiamo renderci responsabili per trovarne il contrasto.
Tre dati per fotografare, in Italia ed in Europa, l’attuale situazione:
percentuali di donne occupate (rilevazione 2009): in Italia 46,8% - in Europa 58,6% percentuali relative all’istruzione universitaria (rilevazione 2009): in Italia 57,2% - in Europa: 55,2%
Tasso di crescita del Pil (rilevazione 2008): in Italia -2,1% - in Europa 0,3%
Sono dati che evidenziano come l’accantonare un potenziale aumento della produttività, se solo non si emarginassero le donne, costituisce uno spreco di “risorse” particolarmente dannoso in questi anni di crisi economica.
Come ha detto il Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, “col lavoro femminile si crea un circolo virtuoso di occupazione e di crescita che fa aumentare il PIL: per ogni 100 donne che entrano nel mondo del lavoro, si creano 15 nuovi posti nel settore dei servizi e dell’assistenza alle persone, e le imprese guidate da donne vanno meglio: anche in periodo di crisi realizzano una crescita dei profitti fino al 20%”.
Ma proviamo a riprendere il ragionamento iniziale:
sono le donne a non volersi misurare con la responsabilità politica o sono i contesti, gli ambiti, le ristrettezze di un welfare che le opprime, ad allontanarle? Colpa delle donne e di ataviche preclusioni di carattere culturale o sono piuttosto i subliminali, o più spesso ostativi, “respingimenti” a demotivarle? A che punto si è verificato il cortocircuito che da una parte evidenzia una legislazione avanzata specchio di diritti conquistati, di libertà ed emancipazione e dall’altra, la fotografia di una realtà dove l’iniquo svilimento della loro rappresentazione è così marcato da provocare una concreta azione di violenza fisica e mediatica su di esse?
E’ più che evidente che nonostante la mutata coscienza e consapevolezza, nonostante l’indubbia crescita civile, culturale e professionale, nel nostro Paese le donne non controllano né le condizioni dell’esistere, né i modi con cui vengono rappresentate nei media e nelle istituzioni.
Il controllo, il “potere”, non è nelle loro mani: a fronte di diritti riconosciuti ma di difficile attualizzazione, si contrappone una pressoché inesistente presenza personale e collettiva dell’agire politico.
Per questo il ruolo della politica è come sempre fondamentale. E’ determinante per dare rappresentanza ad una società che deve essere a misura dei due sessi, garante di pari dignità.
E’ una priorità questa, come sono prioritarie le questioni di “genere”, come sono prioritarie le questioni legate ai diritti umani, primo fra tutti il diritto alla dignità e al rispetto. Questioni prioritarie ed urgenti.
La mattanza e lo strazio con le quali da troppo tempo conviviamo, sono la conseguenza di un clima culturale che ha allontanato e allontana le donne dai luoghi del potere; sono la conseguenza di indifferenza e inconsapevolezza che le donne, noi stesse, favoriamo quando tralasciamo di dare attenzione a “questioni femminili”.
I cambiamenti culturali sono per loro natura lenti e difficili: il cambiamento culturale che ci porterà ad una società dove la sopraffazione fra i generi diventi passato, è anche nelle nostre mani. Cerchiamo di favorirlo con ostinazione.
A questo siamo chiamate e siamo chiamati tutti: l’obiettivo è quello di raggiungere una duale parità nella rappresentanza di donne e di uomini nelle istituzioni.
E’ una priorità che deve riguardare tutti noi. Tutte noi.