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Intervento in Consiglio Comunale sullo Sport del 04/07/2011

Archivio legislatura 2009 - 2014
“Donne e sport”

Riprendo e ripropongo, dall’esauriente relazione dell’Assessore allo Sport, questi dati:

“Il 64,4% della popolazione tra i 14 e i 64 anni pratica attività sportiva
La disponibilità di tempo è il fattore principale che determina la sospensione dell’attività fisico/sportiva
Costi e diffusione degli impianti non sono mai indicati tra i motivi principali dell’abbandono della pratica sportiva
L’abbandono si concentra soprattutto nelle fasce di età comprese tra i 10 e i 18 anni e tra i 24 e i 39 anni, ovviamente con motivazioni molto diverse tra loro
Il 40% di chi fa attività sportiva lo fa in modo non organizzato quindi solo il 24,4% è iscritto a federazioni o a EPS”
Cosa ci raccontano, immediatamente questi dati?

In primo luogo che sono parziali o assenti del tutto quelli relativi al genere. Oggi l’attività sportiva delle donne è fatta in maniera del tutto destrutturata, dalla quale è difficile desumere una percentuale attendibile di pratica motoria: la maggior parte non è iscritta a società sportive e se fa movimento lo fa in forma libera, se trova il tempo e se non costa troppo; ma domani sarà peggio: a tutti è noto che la pratica sportiva delle donne è inversamente proporzionale alla loro attività di assistenza famigliare e, nei tempi di crisi che stiamo vivendo e che si stanno preannunciando, le speranze di un miglioramento appaiono nulle e a questo si dovrà porre rimedio;

In secondo luogo il macroscopico equivoco di partenza: che tipo di indicatori sono stati usati nell’elaborare le risposte ai questionari? Evidentemente indicatori “standard” dove elementi considerati come “basici” e neutri, leggi maschili tout court, rispetto ai generi, sono stati assunti come categorie universali. Ma universali non sono, perché non è possibile omogeneizzare sulla base di indicatori presuntivamente neutri (e ripeto: neutri non sono), una partecipazione strutturata ad attività sportive, che, se è senz’altro significativa, lo è nel merito per gli uomini, ma sicuramente non lo è per le donne, penalizzate nel dover corrispondere ad indicatori, sulle modalità di indagine, strutturati secondo canoni non loro corrispondenti.

Ciò che a mio avviso è fondamentale sottolineare, ancora prima dell’analisi della partecipazione delle donne ad attività sportiva, in che numero partecipano, a quali sport si dedicano, ecc.,
· è l’interrogarci se ci sono condizioni materiali e immateriali, tangibili e intangibili perché l’approccio all’attività sportiva possa dirsi egualmente fruibili da donne con uguali opportunità e possibilità che gli uomini,
· è riflettere sulla consapevolezza che stereotipi e preconcetti siano ancora oggi importanti fattori di inquinamento e disorientamento sociale nella pratica sportiva,
· è l’interrogarci in che misura siamo consapevoli come lo sport sia un veicolo importante di rafforzamento di categorie che definiscono culturalmente e praticamente ciò che è appropriato e naturale per un maschio e una femmina,
· è riflettere sulla consapevolezza che l’organizzazione mondiale dello sport, tramite le sue immagini, ideologie e strutture, sia un potentissimo meccanismo atto a mantenere e legittimare nella società una particolare organizzazione del rapporto tra i sessi tendente a rafforzare la stratificazione sociale basata sul genere.

Quindi, se esistono più campi di calcio piuttosto che palestre per la ginnastica dolce come cura per l’osteoporosi, se ci sono ragazze pon pon che assolvono al ruolo di allietare con la loro presenza estetica le rudi gare sportive dei maschi, se rimangono problemi di accessibilità degli impianti, se i tempi dell’organizzazione della pratica sportiva non coincidono con i tempi di vita delle donne, e mille altri sono i “se” che potrei aggiungere, è perché è necessario reinterpretare in chiave di differenza di genere l’analisi dei diversi spazi concessi a sport maschili e femminili, tanto nei media che in ogni aspetto dell’attività sportiva - dalla sua organizzazione interna agli aspetti medico fisiologici, alla rappresentazione mediatica.
Perché la frontiera della democrazia paritaria passa anche per lo sport.
“Democrazia paritaria non è una formula vaga, ma ha una sostanza culturale, giuridica e politica molto pregnante e concreta che dà forza al principio di eguaglianza. Significa costruzione comune delle istituzioni democratiche; cooperazione nelle attività sociali; condivisione del lavoro di cura; in una parola: condivisione del potere pubblico e delle responsabilità private in una democrazia che riconosce l’esistenza sulla scena pubblica di due generi che godono di eguaglianza e di eguali opportunità”, anche nello sport.

Le donne vogliono costruire una famiglia moderna in una forma sociale organizzata, in maniera più adeguata ai nuovi bisogni,
· con il pieno diritto (e qui ritorno al nostro tema) anche di praticare sport in ambienti sani che garantiscano la dignità umana,
· con il pieno diritto di avere le stesse opportunità di partecipare ai processi decisionali a tutti i livelli e nell’intero sistema sportivo e quindi anche di leadership,
· con il pieno diritto di impegnarsi in prima persona e di promuovere un’ottica femminile nella quale il diverso determinismo biologico sia una diversità e non una menomazione, in un ambito, quello sportivo, che delle logiche e regole solo maschili ha fatto legge, ma soprattutto ha fatto il suo tempo.

Ovviamente come tutti i processi culturali che investono il sociale, l’evoluzione è di lungo periodo; nello specifico la pratica sportiva femminile ha avuto un percorso e una diffusione che è andata di pari passo con l’evoluzione e consapevolezza di genere, supportata e in sintonia con le battaglie per i diritti e per l’autodeterminazione, ma questa evoluzione si è scontrata con i problemi di sempre. Infatti non tutti gli sport amano le donne: tra le molte problematiche quella della leadership: finché sarà sempre e solo maschile difficilmente potrà essere ricettiva di esigenze e problematiche delle donne.

Concludo focalizzando in tre macro ambiti le riflessioni che ho esposto e le attività di miglioramento:
1) E’ necessario modificare gli indicatori che rilevano i dati: se la realtà continua ad essere analizzata con modalità e visuale solo maschili, sarà sempre foriera di elaborazioni inquinate e non rispettose delle diversità di genere. Bene sta facendo l’Osservatorio Giovani del Comune di Ferrara che ha recepito questa esigenza e ha impostato ricerche, rilevazioni ed elaborazioni dati tenendo ben presente l’indicatore della variabile di genere.

2) E’ necessario continuare in un’attività di formazione culturale e di presa di consapevolezza delle prerogative e delle diverse esigenze e degli obiettivi che hanno le donne nell’ambito del mondo sportivo. Coinvolgere in questa attività Comitati, Leghe, Società sportive, per aiutare le donne a contrastare pregiudizi e stereotipi con sostegni, visibilità e riconoscimenti dei diritti, per fare in modo che anche lo sport diventi sempre di più un modo per abbattere tabù e pregiudizi. Va in questa direzione il promuovere i principi contenuti nella nuova edizione della “ La Nuova Carta dei diritti Donne e Sport” , una Carta Europea elaborata e promossa dal Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa e dei loro partners, alla quale hanno collaborato numerosi organismi internazionali e per l’Italia la UISP.

3) E’ necessario monitorare i messaggi mediatici, presidiare il contrasto agli stereotipi e capire le diversità culturali utilizzando lo sport anche come grimaldello per la facilitazione culturale. E’ necessario continuare e sostenere l’attività che l’Assessorato alle Pari Opportunità del nostro Comune sta attivando relativamente al contrasto delle pubblicità lesive, anche con la negazione di patrocinii in presenza di messaggi contrari alla dignità delle donne.

Pertanto, ampliare a donne e uomini le metodologie e gli indicatori nelle rilevazioni, impegnarsi in attività di formazione culturale sulle pari opportunità, presidiare i messaggi dei media nella loro accezione al rispetto e al contrasto degli stereotipi culturali: questi sono gli ambiti che noi tutti e la nostra Amministrazione deve porsi e continuare a porsi, come obiettivo prioritario, con una reimpostazione ab origine del problema, se si vuole democraticamente rendere accessibile anche alle donne, la pari dignità della pratica sportiva.

Amartya Sen, indiano, premio Nobel per l’economia nel 1998, ha sempre sostenuto che la più grande disuguaglianza è quella di genere e cominciare ad averne consapevolezza è un primo passo importante.

La discriminazione di genere è la grande sfida morale dei nostri tempi. La storia giudicherà come risponderemo a questa sfida.
Ultima modifica: 30-01-2013
REDAZIONE: Gruppo Partito Democratico
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