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Intervento in Consiglio Comunale del 7 giugno 2010 sull’istituzione del Registro delle dichiarazioni anticipate di fine vita
Archivio legislatura 2009 - 2014
Grazie Presidente,
La mediazione raggiunta con questa delibera si comprende alla luce di una triplice premessa:
1. in primo luogo, il valore dell’autodeterminazione responsabile, è una componente essenziale della vita, intesa anche come relazione con gli altri; perciò la perdita sopravvenuta della capacità di autodeterminarsi non può annullare retroattivamente una volontà validamente espressa in precedenza, e impedire di tenerne conto nei limiti del possibile e della situazione nuova.
2. in secondo luogo, la salute è percepita attualmente non più come un valore statico e negativo (l’assenza di malattie); bensì come un valore dinamico, di benessere globale, di qualità della vita e soprattutto di apprezzamento soggettivo della persona.
3. in terzo luogo, il rapporto terapeutico, oggi ha abbandonato definitivamente la prospettiva di un paternalismo illuminato – che demanda la medico ogni decisione – a favore di un dialogo, di una codecisione, di una alleanza terapeutica fra medico e paziente, in cui è dominante il rispetto dell’autodeterminazione di quest’ultimo.
Dopo le iniziali incertezze dettate dalla prudenza necessaria per tutelare la vita e prevenire il rischio che nonostante tutto noi stessimo introducendo uno strumento in contrapposizione alla normativa nazionale, la lunga discussione interna sia nel nostro Partito e nella nostra maggioranza, sia con alcune realtà aggregative e associative importanti della nostra città, mi porta a votare a FAVORE di questa delibera che istituisce un Registro per le dichiarazioni anticipate di trattamento.
Non c’è dubbio che la forte spinta allo sviluppo di una sera discussione su questi temi è partito dalla recente storia di Eluana Englaro: e credo che nessuno, credente o meno, non possa avvertire la necessità di una legge, anzi l’urgenza stessa della legge: le dichiarazioni anticipate di volontà infatti hanno una valenza giuridica e quando se ne parla, non ci si riferisce all’eutanasia. Serve per evitare di tornare ad attribuire a soggetti esterni il potere di appropriarsi del corpo e del destino del malato. I miei timori personali che ho richiamato all’inizio non sono scomparsi. Tutti sanno quanto sia fallace la distinzione tra il far morire e il lasciar morire. Tra i cattolici si è discusso molto in questi mesi su temi delicati come la responsabilità personale nella tutela della propria vita, ben sapendo che non c’è alcuno spazio per un presunto diritto a disporne fino a legittimare il suicidio, in qualsiasi modo e forma, inclusa l’eutanasia. Si è discusso del modo in cui un credente guarda alla vita, amandola sempre, anche quando appare più fragile e difficile, ma senza attaccarvisi ostinatamente, perché la Vita oltre la morte è per i credenti luogo di incontro personale con Dio, quello a cui la nostra fede e la nostra speranza ci incoraggiano a guardare da sempre. La morte ha i suoi ritmi e i suoi tempi, così come la vita, e il cristiano sa accoglierla senza accelerarla, sa prepararla senza affrettarla. Si è discusso molto del senso e del valore della libertà personale nelle proprie decisioni, perché la libertà, di cui tutti godiamo, ci aiuta a considerare la vita nella sua duplice dimensione di dono e di compito. La vita di Eluana, come di tanti altri casi magari vicini a noi, ha spinto i cattolici, come tante altre persone, a cercare di mettersi nei suoi panni o in quelli di suo padre e di sua madre, per chiedersi come avrebbero reagito davanti alla stessa situazione. Una situazione difficile da accettare, proprio perché appariva chiusa alla speranza: nessuno – si diceva – si è risvegliato dopo diciassette anni! E nonostante i dubbi della scienza e della clinica, la speranza oggettiva che lei potesse riprendersi era davvero minima. Eppure si sentiva il bisogno di sperare contro ogni speranza, perché la vita è un valore in sé e la sua vita sembrava più forte della sua condizione vegetativa, come confermavano quei diciassette anni trascorsi senza particolari malattie. Non si può, infatti, comprendere la struttura e la ratio della presente delibera, prescindendo dal rispetto della dignità umana e fermarsi a domandare se chi si trova in quelle condizioni non sia una persona con al sua dignità anche se non può intrattenere relazioni socioeconomiche, anche se non è capace di interagire: a me pare, e di questo ne sono convinto da sempre, che quelle persone siano soltanto più fragili, bisognose di cure, persone che conservano la loro dignità e degne di continuare a vivere. C’era una speranza che si collocava in quel chiaroscuro su cui si fonda il dubbio: che, mentre toglie certezze in un senso o nell’altro, spinge a essere prudenti, ad applicare quel “principio responsabilità”. Credenti e non credenti nella logica della responsabilità sono impegnati a difendere il diritto alla vita su cui si fondano tutti gli altri diritti, compreso quello di autodeterminazione, necessario per decidere non solo quali cure accettare e quali rifiutare, ma quale programma di cura fare insieme.
Infatti se da una parte c’è il diritto alla vita da difendere, dall’altra c’è la tutela della libertà: in questo senso la presente delibera nel pieno rispetto della Carta Costituzionale disciplina in maniera compiuta l’autodeterminazione del soggetto, suggerendo l’informazione alla persona così come previsto dall’articolo 32 della Costituzione che recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Nella stessa logica rientra la figura del fiduciario, che non solo ha il compito di vigilare affinché venga rispettata la volontà del dichiarante, ma anche quello di rendere attuali le dichiarazioni del paziente che non è più in grado di esprimere la propria volontà.
L’utilità di questo registro, io credo, sta nell’aggiungere un ulteriore strumento al fine di rendere più chiara e trasparente la volontà di chi, non certo per volontà sua, si viene a trovare nell’impossibilità di esprimerla. In un certo senso stiamo semplificando il compito dei medici, ma anche delle famiglie, nel decidere in uno dei momenti più delicati e sensibili della vita di ciascuno noi.
Inoltre ritengo importantissimo precisare che appena verrà licenziata la Legge sulle Dat, la nostra delibera dovrà necessariamente essere aggiornata: questo a significare che non stiamo facendo nulla di contrario alla Costituzione, ma semmai stiamo procedendo con molta ponderatezza, senza nemmeno proporre alcun tipo di modulistica proprio per evitare che si interpreti questo come ad un incentivo da parte dell’Amministrazione nel registrarsi.
Per ultimo non voglio sottrarmi alla domanda che mi è stata posta: “quale dovrebbe essere la cifra distintiva del cattolicesimo in politica?” Ecco a questa domanda servirebbero molte sedute e incontri perché io credo che il tema sia interessante oltre che affascinante. Certamente una delle principali risposte è che non ci si può esimere dal discutere su questi temi, non si può rimanere indifferenti al dolore e alla tragedia che vivono diversi malati, non si può continuare a fare muro contro muro pensando di essere migliori di altri, non si può che su questioni come queste siano i giudici a decidere sulla vita delle persone, non si può nemmeno dirsi cattolici e dirselo all’interno delle proprie chiese: si può invece metterci la propria faccia e il proprio tempo per migliorare ciò che senza di noi potrebbe essere irrispettoso della nostra sensibilità religiosa.
Voto l’istituzione di questo registro con le parole del Card. Martini, che sono poi quelle del catechismo della chiesa cattolica: “l’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: SI ACCETTA DI NON POTERLA IMPEDIRE.