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La memoria del Prof. Aldo Luisada
Archivio legislatura 2009 - 2014
Impegnato nei lavori del Consiglio comunale, non potrò partecipare lunedì 25 all'incontro che la Facoltà di giurisprudenza ha organizzato per ricordare le leggi razziali e l'espulsione dei docenti ebrei dalle università italiane. Affido allora a questa nota la mia testimonianza sulla vicenda del Prof. Aldo Luisada, professore ordinario di Patologia medica a Ferrara negli anni 30 del secolo scorso. Di famiglia bolognese, era divenuto Direttore dell'Istituto di Patologia Medica a Ferrara ancora meno che quarantenne. Circa due anni dopo però, per sfuggire alle persecuzioni razziali, nel 1938 fuggì negli Stati Uniti dove, dopo aver dovuto addirittura ripetere gli studi di medicina per conseguire una laurea riconosciuta in quel paese, aveva ripercorse tutte le tappe di una brillante carriera universitaria e scientifica diventando uno dei più autorevoli esperti di semeiotica cardiologica. Proprio attratto dalla sua fama, appena laureato, lo raggiunsi nel 1979 a Chicago dove ancora lavorava e insegnava nonostante l'età avanzata. Il primo incontro dopo un lungo scambio epistolare fu memorabile. Mi salutò in un italiano venato da un lieve ma percettibile accento inglese e mi disse subito che da quel momento avremmo usato solo l'inglese, perché dovevo imparare la lingua. Per molti mesi il Prof. Luisada mi seguì come un padre oltre che come un maestro, ma non affrontammo mai l'argomento "Italia" e dalla sua bocca non uscì mai più una parola in italiano.
Molti mesi dopo il mio arrivo e dopo molte sere passate a discutere le nostre ricerche, Luisada decise che avremmo scritto insieme un libro, il ché portò ad una maggior confidenza personale vista la quantità di tempo che necessariamente passavamo insieme. Solo a quel punto mi raccontò la sua esperienza di profugo e mi colpì in particolare il fatto che parlasse molto più in dettaglio delle difficoltà che dovette superare per ricominciare la sua vita praticamente da zero negli Stati Uniti, piuttosto che lamentarsi di ciò che aveva dovuto lasciare in Italia.
A metà del 1980, il Prof. Raffaele Pansini ed il Prof. Carlo Longhini, d'intesa con l'allora Rettore Antonio Rossi, invitarono il Prof. Luisada a Ferrara e organizzarono in quell'occasione una cerimonia nel corso della quale porsero formalmente le scuse dell'Accademia ferrarese per quanto successo nel periodo fascista. Io ero a Chicago e quindi seppi i dettagli solo dall'interessato, al suo ritorno. Era visibilmente contento, come se avesse chiuso un capitolo rimasto in sospeso per tanti anni, anche se non fu certo prodigo di dettagli.
Particolarmente rivelatore del suo stato d'animo rispetto a quelle ormai lontane vicende fu il colloquio che avemmo quando mi offrì un posto di lavoro che mi avrebbe consentito di stabilirmi definitivamente negli Stati Uniti, spiegandomi anche cosa avrei dovuto aspettarmi: "una vita da straniero in terra straniera; solo i tuoi figli -mi disse- saranno completamente e irrimediabilmente americani". Capii solo allora che anche dopo tanti anni, dietro la sua apparente completa integrazione, si sentiva ancora un profugo e né onori né agiatezza e nemmeno la fortuna di essere scampato alla deportazione potevano rimediare a quel fatto.
Per molti anni a Ferrara la foto del Prof. Aldo Luisada è stata esposta nell'atrio dell'Istituto di Patologia Medica, assieme a quella di alcuni dei suoi successori. L'Istituto oggi ha cambiato nome e le foto sono tutte sparite. Ma quella del Prof. Luisada ha ancora un posto importante nel mio studio in Clinica Medica. Così come la memoria dell'uomo che, prima ancora di quella del maestro, merita un posto duraturo nel tempo.